• Non ci sono risultati.

Cittadinanza fragile Un significato politico dell’informalità

PARTE 3 | ESITI DELLA RICERCA E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

7. APPRENDERE DALLA CITTÀ IN DIVENIRE Ricucire immersioni ed emersion

7.2. Cittadinanza fragile Un significato politico dell’informalità

Alla luce di quanto emerge dalle considerazioni conclusive, il termine informale mostra dei limiti interpretativi nel rendere conto della natura, del funzionamento e delle dinamiche della governance urbana. L'imposizione di un confine (per quanto mobile) tra formale e informale, è strumentale per ostacolare le dinamiche dell'informalità urbana come modo di produzione della città. Gli attori della scena urbana (istituzionalizzati e non) con le loro pratiche/politiche negoziano uno spazio per sviluppare interessi non strettamente strumentali alla ricerca di un profitto. Allo stesso tempo, l’esclusione politica degli abitanti non si traduce necessariamente in un’assenza del governo che invece, nel caso del Sudafrica, si dota di politiche sugli insediamenti informali e che fornisce acqua, bagni ed elettricità. Lontani dall’idea di uno Stato fornitore di servizi, la marginalità dal sistema politico e sociale è correlata ad un’assenza del riconoscimento dello status di cittadinanza, ovvero il riconoscimento – e la conseguente legittimazione – di attori politici attivi e influenti.

A danno di una lettura dell’informalità in chiave politica vi sono alcune narrazioni dell’informalità, che spesso celano una visione dualistica del binomio formale-informale. Queste narrazioni sono quelle che alimentano il mito dell’informalità letta come forma di urbanizzazione inevitabile e luogo ideale di una narrazione antiautoritaria, di una contro immagine della modernità, di pratiche abilitanti. Il rischio è quello di depoliticizzare le questioni problematiche di ingiustizia sociale e spaziale ed esclusione politica che la vita ai margini comporta. Disconnettere l’informalità urbana dalla dimensione politica rientra in quello che Ananya Roy descrive come l’estetizzazione della povertà (2004: 302).

L’informalità urbana mostra l'ineguaglianza in sé stessa. Squilibri di potere, iniquità e accesso differente ai capitali portano alla luce i meccanismi sbilanciati interni al governo della città nella sua totalità. In particolare, l'informalità urbana sembra essere funzionale al livello della vita

175

quotidiana e permette ai poveri urbani di rispondere a bisogni che lo Stato non riesce spesso a gestire. Si osserva che gli accordi informali sono flessibili, il che significa che crescono fuori dalle esigenze di una famiglia o della comunità e forniscono soluzioni praticabili e quotidiane che non sono vincolate dalle normative. Questo però non si ritiene abilitante per gli abitanti informali. Nonostante la presenza di agency di fatto, le comunità non riescono ad autodeterminarsi su una scena politica, sociale ed economica alla pari del resto della città. Molte storie hanno in comune una serie di fallimenti dovuti alla mancanza di informazioni e supporto adeguati. Ad esempio, sperimentando una lunga attesa per l'accesso agli alloggi molti hanno subito truffe nel tentativo di superare le loro condizioni di privazione.

Gli abitanti informali versano in una condizione di illegalità, rafforzata da un atteggiamento punitivo dello Stato. L’illegalità ha conseguenze non indifferenti sulla riproduzione dell’informalità urbana, in quanto compromette l’abilità degli abitanti di rivendicare i diritti e diminuisce il loro accesso alla giustizia, spogliandoli a livello pratico della veste di cittadini (Holston 2009). Gli abitanti ai margini sono capaci di delineare atti di cittadinanza che partono dalle pratiche di trasformazione e d’uso del territorio. Tuttavia, la capacità di impegnarsi in processi di organizzazione con un forte impatto sul territorio si contrappone alla capacità limitata di agire come attore sociale nella scena politica urbana nel suo complesso. Questo spinge a considerare il loro status come una cittadinanza fragile.

Una questione concreta che ritorna nei discorsi dell’informalità è quella dei diritti e della loro rivendicazione. Tutte le narrazioni rendono visibili le modalità in cui i residenti si impegnano in una trattativa in corso e incrementale per rivendicare il diritto ad una casa, in modi che funzionano sia all'interno che all'esterno della legge e dei regimi statali (Bhan 2016; Cirolia e Scheba 2018). Guardando i processi di pratiche informali da una prospettiva di citymaking, si possono cogliere le potenzialità e i rischi di processi attivati dal basso per la costruzione di una città più equa.

Tra i diritti rivendicati dagli abitanti informali vi è il possesso della terra. Dall'esplorazione sulle storie abitative emerge un possesso della terra che opera attraverso una confusione di pratiche legali e illegali. Alcuni degli attori intervistati non hanno il titolo di proprietà oppure la possibilità di usufruire della proprietà (ad esempio tramite l’affitto) in modo sicuro e con meno rischi per i loro investimenti (non solo economici).

Si riconosce il ruolo della proprietà come mezzo di sussistenza (un esempio è l’affitto degli shack) e non si mette in dubbio l’importanza una maggiore sicurezza del possesso e un processo di trasferimento più agevole ed economico per incoraggiare le persone a seguire il percorso formale per ottenere una dimora. Avere garanzie reali aiuterebbe, ad esempio, i proprietari di immobili a raccogliere finanziamenti esterni per costruire edifici migliori, gli affittuari ad evitare sfratti improvvisi e a ridurrebbe l'incertezza che caratterizza oggi alcune forme di abitare. Tuttavia, ritengo che il presente lavoro non fornisca basi empiriche sufficienti per esprimere una direzione definitiva e chiara per le politiche di accesso alla proprietà. Al riguardo, si ritiene necessario approfondire dinamiche strutturali più ampie che includano le spinte del mercato e le pressioni di privatizzazione, per metterle in relazione alle dinamiche di potere che agiscono nello spazio urbano all’interno, attraverso e oltre la relazione Stato-cittadini. Dall’altro lato però,

176

la tesi apporta elementi conoscitivi che mostrano gli sforzi individuali e collettivi nel miglioramento delle condizioni delle abitazioni. Questo suggerisce un movimento di forze economiche e di potere cui il governo della città non tiene conto. Inoltre, processi di questo tipo possono avere outcome inaspettati, non necessariamente positivi. Nonostante vi siano alcune politiche finalizzate a supportare processi di negoziazione del possesso della terra, gli aspiranti residenti non riescono spesso ad intercettarle. Questo comporta una diseguale ridistribuzione dei rischi sociali ed economici (si pensi alle truffe reiterate nel caso degli stokvel) che rimangono a carico dei più fragili. Tali rischi non sono solo legati al singolo e al livello economico, ma riguardano una scala più ampia. Un esempio è dato dal fenomeno degli affitti nei backyard che, seppur ricco di potenzialità, cela il rischio di innescare una spirale negativa. L’aumento della densità dovuto alla creazione di abitazioni nei backyard comporta un aumento della popolazione e il conseguente sovraccarico dei servizi e delle infrastrutture già sofferenti. Inoltre, le sovvenzioni del governo si concentrano sulla proprietà individuale, molto poco viene dato a spazi pubblici o interventi pubblici in generale. L’assenza di una consapevolezza sui processi esistenti e sulla redistribuzione dei rischi che questi processi comportano risulta limitante per l’azione nei territori.

Quanto detto va a sostegno della prospettiva secondo cui il formale e l’informale non sono due nuclei autonomi e in contrasto, ma due parti entrambe eterogenee e compresenti. Non sono mondi che si escludono a vicenda, ma si compenetrano e vengono attraversati da elementi di passaggio, tra cui le politiche istituzionali.

Esiste una parte di popolazione – che in Sudafrica e in molte altre città del mondo rappresenta una minoranza – capace di rivendicare la piena cittadinanza, mentre un’altra parte non è nelle condizioni per farlo. Dunque, possiamo affermare che esiste un confine (ibrido e osmotico) che separa la “società civile” dalla “società politica” in accordo con quanto detto da Chatterjee (2004). Questo confine non corrisponde ad una separazione della sfera formale da quella informale. Per cui si ritiene proficuo abbandonare l’analisi della coppia concettuale formale- informale di per sé e lavorare, piuttosto, sulle relazioni di potere che si manifestano nei luoghi marginali e che attraversano i domini da noi definiti di formale e informale.

Outline

Documenti correlati