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3 L A TUTELA DEL LAVORATORE NEGLI APPALTI PUBBLICI

3.1 INTRODUZIONE

3.1.4 LE CLAUSOLE SOCIALI: NATURA GIURIDICA

Come anticipato, l’ecletticità delle c.d. clausole sociali impone all’interprete uno sforzo di non poco momento, in vista della costruzione di uno statuto plausibilmente unitario che, senza perdere di vista le peculiarità di ciascuna singola clausola, ne colga - attraverso progressive generalizzazioni – gli aspetti maggiormente caratterizzanti. Si tratta, come evidente, delle difficoltà proprie dell’eterna dialettica tra categorizzazione e individualizzazione, innanzi alla quale l’interprete non può ingenuamente orientare la propria attività verso uno dei due estremi, dovendo piuttosto rintracciare ed intraprendere percorsi esegetici ragionevoli ed equilibrati.

320 Probabilmente, provvedimenti di regolazione dell’ANAC che attribuissero rilevanza - in ottica incidente sulla valutazione del rating di impresa - a dati pro labour non sarebbero esenti da profili di illegittimità, risultando preferibile che fosse il legislatore ad assumersi tale responsabilità.

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Proprio muovendo da tale istanza metodologica verrà condotta l’analisi circa requisiti e natura giuridica delle clausole sociali: sia di quelle previste, attraverso una tipizzazione, da parte del legislatore, sia di quelle che - nell’esercizio dell’autonomia privata, di cui all’art. 1322 c.c. (321) - vengano ad essere delineate dalle singole stazioni appaltanti.

Quella appena descritta, lungi dal poter essere considerata una dicotomia limitata all’individuazione della fonte delle clausole sociali, merita di essere scrutinata al fine di coglierne, più a fondo, aspetti di “sistema”.

A ben vedere, infatti, si contrappongono due meccanismi, affatto differenti quanto all’incidenza sull’autonomia privata, eppure caratterizzati (non soltanto già meramente da compatibilità, ma forse addirittura) da medesimezza funzionale. Procedendo per progressive approssimazioni, è ben possibile scorgere che la finalità di tutela pro labour, strumentale rispetto alla salvaguardia ed implementazione - in ottica solidaristica - della persona umana, viene perseguita nell’un caso (previsione legale) tramite una riduzione degli spazi d’autonomia privata; nell’altro (clausola di fonte negoziale), tramite una speculare valorizzazione dell’autonomia medesima.

Icasticamente: la solidarietà, in funzione di promozione delle istanze sociali, da limite, diviene “causa” - in parte qua - d’esercizio dell’autonomia privata (322). Come anticipato, vi sono clausole sociali modellizzate dal legislatore; eppure, in sé considerata tale tipizzazione non può - quasi si fosse innanzi ad un’implicazione necessaria - condurre a ritenerne obbligatoria l’inserzione nel bando di gara.

321 Recita l’art. 1322 c.c.: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto

nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative. 2. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”.

Ebbene, in tal caso, probabilmente l’inserzione di una clausola sociale potrebbe essere inquadrata non tanto nell’ambito del comma II, che autorizza i paciscenti a costruire schemi di composizione di interessi meritevoli ulteriori rispetto a quelli predisposti dal legislatore, quanto piuttosto, nell’alveo del I° comma, limitandosi la stazione appaltante ad arricchire il contenuto del regolamento negoziale, in vista del soddisfacimento di un interesse perfettamente compatibile con i limiti imposti dalla legge, anzi proprio al fine di attuare alcune delle finalità assiologiche centrali dell’ordinamento.

322Emerge con evidenza la cooperazione, quasi-istituzionale, tra legislatore e pubblica amministrazione, nella specie stazione appaltante, in vista dell’attuazione dei valori che connotato - dal punto di vista assiologico - l’ordinamento nazionale.

E proprio tale lettura, probabilmente, permetterebbe di ricostruire la giusta “gerarchia” assiologica rinvenibile nella Costituzione repubblicana.

141 È evidente, infatti, che un conto è l’impegno del legislatore nella perimetrazione dei contorni di una clausola sociale; un altro conto è la previsione di un obbligo di inserimento delle stesse nel bando di gara.

Infatti, è ben possibile che il legislatore decida di vincolare nel contenuto una determinata clausola, impregiudicato il potere - in capo alla stazione appaltante - di non introdurre la stessa nel bando; parimenti può darsi che, ferma una più o meno ampia possibilità, riconosciuta alla p.a., di modulazione del contenuto della clausola, il legislatore imponga (tramite diversi meccanismi ed altrettanti rimedi) l’inclusione della stessa nella lex specialis di gara (323).

In tale ultimo caso, potrebbe probabilmente discutersi circa la “reazione” (in termini meramente obbligatori, reali, ovvero lato sensu sanzionatori) dell’ordinamento a fronte della violazione di tale vincolo; eppure, un dato pare incontestabile: in virtù del principio di etero-integrazione del bando di gara, clausole imposte dalla legge dovrebbero essere considerate inserite di diritto, anche - se del caso - in sostituzione di indicazioni difformi (324).

Diversamente sarebbe a dirsi per quelle clausole la cui previsione nel bando viene lasciata alla scelta da parte della stazione appaltante: in tali casi, non essendovi vincolatezza circa l’an, non pare poter operare alcun meccanismo integrativo; ciò in ragione del fatto che di lacune della regolazione si potrebbe parlare soltanto in senso assolutamente improprio, versandosi, piuttosto, in una situazione di legittimo esercizio del potere di auto-regolamentazione (di natura privatistica

323 Tale tematica è resa particolarente problematica in ragione dell’esistenza del principio di etero-integrazione del bando di gara (su cui amplius, infra), oggetto, peraltro, di peculiari interpretazioni ad opera della giurisprudenza nazionale. Si pensi a Cons. St., Ad. Plen., 9/2014, che ha affermato il principio della eterointegrazione del bando di gara, ogniqualvolta questo rimanga silente circa determinati aspetti interferenti con norme imperative, le quali si impongono nel quadro regolatorio ai sensi dell’art. 1339 c.c.

324 Eppure attenzione: si è ben consci dell’annoso dibattito circa l’operatività dell’art. 1339 c.c. in relazione alla particolare clausola sociale, inquadrata nell’alveo di quelle c.d. di prima generazione, di cui all’art. 36 Statuto dei lavoratori (su cui amplius, infra). Invero, l’affermazione contenuta nel corpo del testo, di carattere generale, afferisce al meccanismo di etero-integrazione che presuppone come già scrutinata e risolta la questione relativa alla sussistenza di un vincolo di inclusione di quella clausola nella lex specialis di gara, che è esattamente il punto da cui si dipartono le diverse ricostruzioni che hanno dato luogo al dibattito circa l’operatività dell’art. 1339 c.c.

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ovvero pubblicistica, a seconda delle diverse impostazione diffusesi in dottrina e giurisprudenza) da parte della stazione appaltante (325).

Si tratta di una tematica capace di produrre riflessi rilevantissimi circa la ricostruzione della natura giuridica delle clausole sociali; operazione, resa particolarmente problematica dalla loro natura proteiforme più volte evidenziata. Con riferimento alle clausole di prima generazione, tra cui spiccherebbe quella di cui all’art. 36 Statuto dei Lavoratori, pare rinvenibile una certa concordia intorno alla qualificazione delle stesse in termini di “pattuizioni a favore di terzi

indeterminati, ma determinabili, ex artt. 1411-1414 c.c., aventi diritto a determinati trattamenti subordinatamente all'adempimento di una corrispettiva obbligazione di lavoro” (326).

Tale inquadramento, a ben vedere, muove da una precisa premessa relativa all’atteggiarsi del rapporto tra autorità e libertà, in punto di inclusione di quelle prescrizioni pro labour nella lex specialis; precisamente, tale visione pare presupporre che l’art. 36 Statuto dei lavoratori (che - sommariamente - impone l’applicazione di condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi) non potrebbe operare di diritto, ma necessiterebbe di trovare espressa menzione nel bando di gara, non potendo soccorrere, in ragione dell’insussistenza di vincolatezza circa l’an dell’inclusione, l’art. 1339 c.c., in punto di etero-integrazione del bando (327).

325 Qualora determinate clausole - non imposte - vengano introdotte nel bando, la fonte delle stesse andrebbe rintracciata proprio nella lex specialis di gara, così come ricostruita dalla stazione appaltante. Più complesso probabilmente è l’inquadramento delle ipotesi in cui il legislatore preveda un vincolo all’inclusione nel bando di gara di determinate clausole sociali. In tali casi, infatti, ad avviso di alcuni, l’eventuale inclusione espressa ad opera della P.A., che precluderebbe l’operatività dell’art. 1339 c.c., non potrebbe non riflettersi sulla fonte di tali clausole, che non potrebbe essere rintracciata nella legge, ma proprio nel bando di gara, quale atto amministrativo generale, che delinea un auto-vincolo progressivamente più incisivo sulla formazione di volontà della P.A. Diversa è la posizione di coloro i quali, valorizzando la vincolatezza dell’operatività della clausola detta, presidiata dal meccanismo d’integrazione legale ex art. 1339 c.c., pervengono ad individuare, quale fonte, la legge medesima; di qui: il vincolo all’esercizio dell’autonomia privata non deriverebbe dal potere di auto-regolamentazione della stessa stazione appaltante, ma sarebbe posto dall’esterno, in funzione antagonista rispetto al libero esercizio dell’autonomia.

326 In tal senso, FORLIVESI M., Le clausole sociali negli appalti pubblici: il bilanciamento possibile

tra tutela del lavoro e ragioni del mercato, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 275/2015,

13).

327 Precisamente, si dice: “Tali considerazioni spiegano la configurazione delle clausole sociali,

accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominante, come pattuizioni a favore di terzi indeterminati, ma determinabili, ex artt. 1411-1414 c.c., aventi ad oggetto il diritto a determinati trattamenti subordinatamente all'adempimento di una corrispettiva obbligazione di lavoro. Di conseguenza l'obbligo di applicare condizioni non inferiori a quelle fissate dalla contrattazione

143 Si tratta di un’impostazione, pur autorevolmente sostenuta, che non pare esente da profili critici.

Come noto, il contratto a favore di terzo trova disciplina negli artt. 1411 ss. c.c., dalla cui lettura pare emergere l’autorizzazione - da parte dell’ordinamento - in favore dei paciscenti di concludere contratti, includenti una clausola, fonte di effetti che si produrranno direttamente ed immediatamente nel patrimonio di un soggetto terzo, c.d. beneficiario. Precisamente, “le parti contraenti sono dunque il

promittente, che si obbliga alla prestazione in favore del terzo, e lo stipulante, che designa la persona del terzo e nel cui patrimonio di regola gli effetti si sarebbero dovuti produrre ove non fosse stata conclusa la stipulazione, con conseguente deviazione degli effetti stessi verso il patrimonio del terzo designato” (328).

Si è dibattuto a lungo circa l’individuazione della consistenza dell’effetto oggetto di tale meccanismo di deviazione; problematica che meriterebbe di essere risolta al lume del paradigma normativo, specificamente tramite l’art. 1411, III comma c.c., che prescrive “in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di

profittare, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante”.

Ebbene, proprio muovendo dalla valorizzazione della formulazione, in dottrina e giurisprudenza si ritiene che, ad essere oggetto di deviazione, sarebbe la prestazione oggetto del contratto tra stipulante e promittente.

Emerge ictu oculi la controvertibilità dell’inquadramento delle clausole sociali (segnatamente di quella individuata dall’art. 36 Statuto dei lavoratori) in termini di pattuizione a favore di terzo: anzitutto, in quanto, perché possa discorrersi di contratto a favore di terzo “non è sufficiente che il terzo”, per effetto della clausola di deviazione, “riceva un vantaggio economico”, indiretto e riflesso, collettiva non è munito di efficacia reale ma subordinato all'effettivo inserimento della clausola nella lex specialis. È consolidato, infatti, l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'obbligo stabilito dall'art. 36 di applicare o fare applicare nei confronti dei lavoratori condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi della categoria e della zona, non opera di diritto ma sia condizionato all'effettivo inserimento di tale “clausola sociale” nei provvedimenti di concessione e nei capitolati d'appalto. Detta previsione, ove inserita, «costituisce una pattuizione a favore del terzo lavoratore il quale può fondare direttamente su di essa le proprie pretese nei confronti del datore di lavoro; mentre, nell'ipotesi di omessa inserzione, non è configurabile un diritto dei dipendenti di fruire del trattamento minimo previsto dalla contrattazione collettiva, dovendosi escludere che possa trovare applicazione il meccanismo di integrazione contrattuale previsto dall'art. 1339 c.c”. Così FORLIVESI M., Le clausole sociali negli appalti pubblici, cit., 13.

328 Così, nella manualistica, GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2015, 959.

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perché attinente ad un vincolo che uno dei paciscenti assuma con riferimento ad un ulteriore esercizio d’autonomia privata, da trasfondere nel contratto stipulato o stipulando con altri soggetti, specificamente coi lavoratori, di cui quel soggetto si servirà per portare ad esecuzione l’appalto, oggetto della procedura d’evidenza pubblica.

E ancora: a ben guardare, ciò che deve essere “deviato” in favore del terzo, purchè sussista un interesse in capo allo stipulante è un quid (l’effetto, collegato ad un bene della vita che si correla alla prestazione oggetto della clausola di destinazione) di cui lo stesso stipulante si spoglia in favore del terzo. A conferma di ciò, pare soccorrere la stessa espressione “qualora lo stipulante vi abbia

interesse”; interesse che è chiamato a giustificare il trasferimento di ricchezza in

favore del beneficiario, in ossequio al principio causalista che permea l’ordinamento nazionale.

Ebbene, non pare che nel caso di specie vi sia un soggetto - né la stazione appaltante, né l’impresa - che si spogli di una prestazione, oggetto di regolamentazione pattizia, in favore del terzo beneficiario (ossia il lavoratore); piuttosto - lo si permetta di notare, sia pure en passant - pare essersi innanzi ad un vincolo afferente ad un minimum salariale, incidente, dal basso, sul quantum della prestazione che il datore di lavoro si obbliga a prestare al lavoratore.

Ma vi è di più: al netto della criticità sopra delineata, l’inquadramento in termini di pattuizione a favore di terzo, presupporrebbe che - rispetto all’oggetto della stipulazione (ossia la clausola sociale di cui all’art. 36 Statuto dei lavoratori) sussistesse la possibilità stessa d’esercizio d’autonomia privata; detto diversamente: presupporrebbe l’insussistenza di un obbligo di inclusione, la cui violazione venisse fronteggiata dall’art. 1339 c.c., tramite l’inserzione automatica di clausole (in chiave etero-integrativa della lex specialis di gara, e - successivamente - del contratto stipulato tra i paciscenti all’esito della procedura d’evidenza pubblica), circostanza, per vero non incontroversa in dottrina e giurisprudenza (329).

329 Si veda, ad es. VINCENTI, Origine ed attualità della c.d. clausola sociale dell'art. 36 dello

Statuto dei Lavoratori, DL, I, 429 ss. e spec. 438 ss., che pur non attribuendo rilevanza

all’incompatibilità ontologica tra autonomia privata e debenza d’inclusione della clausola sociale, che escluderebbe la possibilità di discorrere di pattuizione a favore di terzi, afferma che “in caso di

145 Sviluppando - sia pure con la massima prudenza, data la delicatezza e complessità della questione - alcune argomentazioni supra delineate, pare dunque più corretto inquadrare le dette tipologie di clausole sociali in termini di vincolo posto all’autonomia privata, capace di diversamente atteggiarsi a seconda che si ritenga dovuta o meno l’inserzione di clausole siffatte.

Approfondendo, qualora si ritenesse sussistente un vincolo all’inserimento esso non potrebbe che atteggiarsi come limite esterno rispetto all’autonomia privata, in ottica conformativa del (futuro) regolamento negoziale, teleologicamente orientata alla salvaguardia e promozione della solidarietà sociale, quale medio per la tutela del lavoratore.

Ebbene, al lume di una prospettiva “rimediale”, che faccia seguire alla disamina della fisiologia, quella delle conseguenze giuridiche in caso di patologia, centrale parrebbe l’art. 1339 c.c.

Tramite tale previsione, il legislatore, sul presupposto implicito dell’afferenza della questione a norme di validità-attizie (e non anche di comportamento, la cui violazione darebbe luogo soltanto a rimedi di responsabilità), in luogo della sanzione-invalidità dell’atto giuridico violativo del vincolo di inserimento richiamato, ritiene di poter (-dover) addirittura incidere sull’autonomia privata, al punto da imporre (in parte qua) il contenuto della regolamentazione; con quanto ne segue, di positivo, in punto di tutela pro labour.

Diversamente, sarebbe a dirsi nel caso in cui non sussistesse alcun vincolo all’inclusione di dette clausole; circostanza che permetterebbe l’inquadramento in termini di auto-vincolo, destinato a esplicare i propri effetti in relazione alle pattuizioni del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori, in ottica funzionale analoga a quella sopra delineata.

Ciò posto, occorrerebbe chiedersi se tale impostazione possa essere predicata anche con riferimento alle c.d. clausole sociali di seconda generazione, tra cui spicca quella afferente all’obbligo, gravante sull’appaltatore subentrante, di riassunzione degli addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente (330). Il rischio - con tutta evidenza - è quello di proporre inquadramenti unitari, conseguente integrazione del contenuto negoziale attraverso il meccanismo della inserzione automatica della clausola sociale”.

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minimizzando le peculiarità e specificità di ciascuna clausola: eppure, data l’ampia capacità descrittiva della dicotomia tra autorità e libertà, pare appropriata, anche in tal caso, la categoria de qua che - come supra precisato - è capace di diversamente atteggiarsi, quale limite interno ovvero ab externo, a seconda che trovi fonte nella legge o meno.