• Non ci sono risultati.

3 L A TUTELA DEL LAVORATORE NEGLI APPALTI PUBBLICI

3.1 INTRODUZIONE

3.1.3 UNA PRECISAZIONE: DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI “CLAUSOLA SOCIALE”

Sempre in ottica di impostazione generale, occorre correttamente perimetrare la valenza semantica che, nell’ambito del presente contributo, verrà attribuita al concetto di clausole sociali, anche in vista della proposta di modellare, in senso estensivo, le conseguenze derivanti dalla mancata osservanza delle stesse.

Centrale, a tali fini, è l’art. 3, lett. qqq) D. Lgs. 50/2016, ad avviso del quale sono clausole sociali quelle “disposizioni che impongono ad un datore di lavoro il

rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie”. Si tratta di una

disposizione che, prima facie, pare aver recepito l’impostazione probabilmente prevalente in dottrina e giurisprudenza, secondo cui “per clausole sociali (in

senso proprio)” si intendono “quelle previsioni, di fonte normativa o contrattuale, che impongono specifici obblighi a carico dei soggetti appaltatori o concessionari nella fase di esecuzione dell’appalto” (314).

Eppure, procedendo per progressive approssimazioni, non convince l’idea che tra le due definizioni possa ravvisarsi un rapporto di identità, ovvero di necessaria continenza logico-formale.

A ben vedere, la prospettiva ermeneutica di una parte della dottrina e della giurisprudenza muove da precise premesse, asseritamente incontrovertibili:

135 nell’eterno conflitto, che caratterizza il mondo del lavoro globale, tra persona e mercato, tale sarebbe la preminenza delle istanze propulsive della libertà d’iniziativa economica che la considerazione delle esigenze dei lavoratori dovrebbe limitarsi alla fase di esecuzione dell’appalto (315).

Approfondendo, pare proprio che la difficile ricerca di un assetto equilibrato nei rapporti di forza tra libertà e solidarietà conduca ad assicurare prevalenza alla prima, relegando la seconda a mera limitazione dall’esterno afferente ad una fase di esecuzione, logicamente successiva a quella della scelta del contraente.

Semplificando, sul punto, icasticamente si potrebbe dire: la solidarietà, valore “antagonista” della libertà d’iniziativa economica che pretende di farsi quasi-arbitrio (316), non meriterebbe di poter condizionare la stessa partecipazione di un soggetto alla procedura d’evidenza pubblica, ma soltanto le fasi logicamente conseguenti.

Eppure, si tratta di un’impostazione che, oltre che su mere petizioni di principio, che porterebbero a delineare in quel modo i rapporti tra libertà e solidarietà, si asside su una lettura non convincente del disposto di cui all’art. 3, lett. qqq) D. Lgs. 50/2016.

Tale disposizione - lo si afferma con forza, sia pure ab imis - non può essere letta come volta a delineare lo statuto ontologico delle clausole sociali, le quali ben potrebbero atteggiarsi in diverse guise, a seconda delle scelte di regolazione effettuate (o effettuande) dal legislatore, da cui inferire - facendo emergere dati sottaciuti, eppur sussistenti - precise composizioni tra interessi antagonisti.

315 In particolare, la prevalenza del mercato sulla persona viene generalmente ricostruita alla luce del principio di primazia del diritto unionale e del rilievo primario che la libertà di concorrenza assume, quale principio fondamentale del Trattato.

Per un approfondimento sulle ricadute che la libertà di concorrenza ha all’interno dell’ordinamneto nazionale (e, in particolare, sulla possibile riconduzione della libertà de qua all’art. 41 Cost.) si veda OPPO G., L’iniziativa economica, in AA.VV., La Costituzione economica

a quarant’anni dall’approvazione della Carta fondamentale, Milano, 1990, 65. Sinteticamente, la

Costituzione italiana parrebbe non contenere un’espressa affermazione del principio di concorrenza; semmai esso sembrerebbe essere implicitamente espresso all’art. 41 Cost. Si consideri, inoltre, che l’art. de quo ha acquistato un valore diverso – da quello originariamente ad esso attribuito – alla luce dell’entrata in vigore dei Tratti europei. Si veda altresì: DELLI PRISCOLI,

Mercato e diritti fondamentali, Torino, 2011, 139 ss.

316 Non può che emergere con evidenza il contesto socio-culturale che pare ispirare il bilanciamento tra opposti valori di cui si discorre: un contesto in cui all’operatore economico si tenta di assicurare uno ius (non soltanto) “utendi”, bensì - se del caso - “abutendi re sua”, qualora ciò fosse funzionale alle pretese “istanze del mercato”.

136

Ma vi è di più: quella impostazione, volta a perimetrare alla sola fase d’esecuzione l’ambito denotativo dei vincoli in funzione del rispetto di determinati standards di protezione sociale e del lavoro, muove da una eccessiva riduzione del tenore semantico del termine “svolgimento”, utilizzato dall’art. 3 citato.

Al fine di dimostrare l’asserto, occorre muovere dalla definizione della parola “svolgimento”, da intendere come “il graduale sviluppo (…), l’attuazione

progressiva in vista di un fine preordinato, al verificarsi di una serie concatenata di circostanze” (317).

Proprio in ragione di ciò non pare cogliere nel segno tentare di delineare il significato di tale termine, intrinsecamente dinamico (volto - com’è - a connotare l’incedere coordinato di atti da un “punto α” ad un “punto ω”), facendo riferimento soltanto ad una delle fasi (peraltro, quella logicamente finale/terminale: l’esecuzione) del rapporto tra p.a. ed impresa; opzione ermenutica che pecca per difetto, articolata intorno ad un vizio definitorio, legato ad una deficienza semantica.

Ebbene, la possibilità di rifuggire da una siffatta pretesa di riduzione concettuale delle clausole sociali risulta asseverabile anche pel tramite del ricorso ad un’interpretazione teleologicamente orientata dell’art. 3 D. Lgs. cit.

A tal fine si mostra rilevante il criterio di delega delineato dall’art 1, comma 1, lett. ddd), fff), ggg) della legge n.11 del 2016 che prevede la “valorizzazione delle

esigenze sociali (…) mediante l’introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l’esecuzione dell’appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti giù impiegati nel medesimo appalto”, oltre che la “previsione di una disciplina specifica (…) che introduca clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”.

Ad una prima lettura, si potrebbe essere tentati di affermare che tale disposizione militerebbe a favore della circoscrizione della rilevanza delle clausole sociali alla sola fase d’esecuzione dell’appalto, espressamente richiamata dal legislatore.

137 Eppure, ad una lettura maggiormente approfondita, questa prospettiva ermeneutica non convince appieno: non soltanto si fonda su di una assoluta minimizzazione della portata dell’ultima parte dell’articolato, ove si fa riferimento alla previsione di clausole volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, senza perimetrarne l’ambito denotativo in executivis; ma anche laddove il regolatore si riferisce alla fase di esecuzione dell’appalto, non pare che tale espressione possa essere letta in maniera totalmente avulsa dal contesto in cui è utilizzata, dal “significato proprio delle parole secondo la

connessione di esse”, né dalla “intenzione del legislatore” (arg. ex art. 12 prel.

c.c.). Infatti, non può non assumere rilevanza l’espressione, utilizzata dalla disposizione in parola, “introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione

delle offerte in caso di aggiudicazione”, costituente l’antecedente

logico-concettuale della successiva “per l’esecuzione dell’appalto”; rilevanza che dovrebbe condurre a perimetrare, in senso estensivo, l’ambito denotativo delle clausole sociali, viste dal legislatore come oggetto di possibili criteri e modalità premiali afferenti alla fase di valutazione delle offerte (318).

Così intesa la questione, peraltro, ci si avvede di come, indefettibilmente, la valorizzazione del momento dell’esecuzione dell’appalto non è finalizzata alla individuazione dell’estensione della definizione di clausola sociale, ma è volta, meno pregnantemente, a delineare le possibili fattispecie concrete, le vicende reali, cui ancorare il precetto di comando, a pena, eventualmente, di esclusione o di conseguenze in punto di valutazione dell’offerta.

Ancora: a sostegno della impostazione di cui - qui - si tenta di mostrare le carenze logico-giuridiche, si soleva addurre il testo di cui all’art. 69 d.lgs. 163/2006, pedissequamente ripreso dall’art. 100 d.lgs. 50/2016, secondo cui: “Le stazioni

appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l'esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto europeo e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione e

318 Si tratta di argomentazioni che, seppure autonomamente, non paiono sufficienti a sostenere la possibile valorizzazione della tutela dei lavoratori in chiave di esclusione tout court dell’impresa dalla procedura, sicuramente permetterebbero al regolatore di costruire clausole sociali incidenti sulla valutazione dell’offerta; quindi consentirebbero di superare l’impostazione che vorrebbe precludere la formulazione di clausole sociali da rispettare, a pena di una reazione relegata alla fase esecutiva di un appalto già aggiudicato.

138

siano precisate nel bando di gara, o nell'invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d'oneri. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali. In sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare i requisiti particolari nell'ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari”.

Parte della dottrina, seppure con riferimento all’impianto normativo previgente – con considerazioni che possono ritenersi tutt’ora attuali - aveva rilevato come “da

un’attenta lettura delle norme (…) viene subito in rilievo che, tanto la normativa comunitaria quanto la normativa nazionale di recepimento, prevedono che debba trattarsi di clausole di esecuzione del contratto e non di condizioni per la partecipazione alla gara” (319).

Si tratta di una prospettiva ermeneutica non esente da profili critici, liddove pare sovrapporre due piani, affatto divergenti e distinti: quello relativo alla perimetrazione della fattispecie oggetto del precetto (di comando, espresso in termini di obbligo di rispetto di determinate clausole sociali) formulato dal legislatore, descritta - effettivamente - tramite il riferimento a situazioni, vicende reali afferenti alla fase d’esecuzione dell’appalto; e le conseguenze della violazione del precetto, che non necessariamente debbono limitarsi - né ontologicamente né normativamente - alla fase esecutiva dell’appalto, ben potendo riguardare la fase della valutazione dell’offerta ovvero, ancora prima, quella della stessa partecipazione alla procedura d’evidenza pubblica.

Peraltro, in un’ottica a metà strada tra osservazione dello ius positum e prospettazioni “de iure condendo”, sarebbe possibile valorizzare istanze sociali,

pro labour nell’elaborazione del meccanismo del c.d. rating di impresa, ai sensi

dell’art. 83, X comma D. Lgs. 50/2016, ove è previsto che l’ANAC - nel calcolo di tale valore - possa tenere “conto altresì della regolarità contributiva, ivi compresi

i versamenti alle Casse edili, valutata con riferimento ai tre anni precedenti”.

Una disposizione che, se da un lato, già permette di valorizzare la “condizione per

svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a

319 D’ADAMO V., Le clausole sociali negli appalti pubblici: tra libera iniziativa economica e tutela

della coesione sociale e territoriale, in Urb. e app., 2014, 1, 8.

In particolare, l’Autore muove dai seguenti riferimenti normativi: direttive CE n. 17 e 18 del 2004, rispettivamente artt. 38 e 26; 33° considerando della direttiva CE n. 18/2004; artt. 2 e 69 d.lgs. n. 163/2006.

139

benefici di legge e agevolazioni finanziarie”, ai sensi dell’art. 3 D.lgs. cit.,

dall’altro, potrebbe essere posta maggiormente in rilievo, dal legislatore o dal regolatore pubblico (320) in vista della promozione di standards di maggior tutela per i lavoratori.

Conclusivamente sul punto, ferma l’esigenza che la perimetrazione dell’ambito connotativo e denotativo delle clausole sociali non si ponga in contrasto con il diritto dell’Unione europea, né con il quadro normativo nazionale, è possibile affermare la natura potenzialmente proteiforme delle clausole sociali, descritte, preminentemente tramite il riferimento a vicende relative alla fase esecutiva, ma plausibilmente modulabili anche avendo riguardo a fattispecie affatto differenti, purchè funzionalmente coerenti con le istanze di tutela del lavoratore, quale strumento di attuazione dei diritti dei lavoratori. Ciò, ovviamente, impregiudicata la questione, affatto divergente, afferente alla selezione delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto di tali clausole; conseguenze non riducibili - nella loro rilevanza - al segmento esecutivo di un rapporto previamente instaurato con la p.a., sulla premessa pervasività - a tutt’oltranza - della libertà d’iniziativa economica; ma ragionevolmente coinvolgenti stadi logico-giuridici anteriori, quali la valutazione delle offerte, ovvero - ancora prima - la stessa partecipazione alla procedura d’evidenza pubblica.