2.6. L’attività della Conferenza. Alcune possibili classificazioni
2.6.2. Il coinvolgimento della Conferenza nel procedimento di formazione degli atti normativi
Oltre all’attribuzione di poteri incisivi sul piano dell’indirizzo politico, la Conferenza assume oggi peso decisionale anche sul procedimento di formazione degli atti normativi.
Invero, si tratta di un’attribuzione già catalogata nella legge n. 400 del 1988 che assicurava la consultazione della Conferenza “sulle linee generali dell’attività normativa che interessa direttamente le Regioni”; nella prassi, tuttavia, la disposizione rimaneva sostanzialmente inattuata a causa, non solo dell’elevato tasso di generalità ed astrattezza della norma nella descrizione della fattispecie, quanto anche della facoltatività della consultazione della Conferenza.
Per queste ragioni, sistematici interventi del legislatore degli anni ’90 cercarono di favorire il coinvolgimento della Conferenza nella formazione degli atti normativi mediante puntuali interventi che di volta in volta prevedevano la
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I.RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 888 e ss.. 292 P.CIARLO,Mitologie dell’indirizzo politico e identità partitica, Napoli, 1988.
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previa consultazione della Conferenza; in particolare, l’organismo veniva chiamato ad esprimere pareri293, ed in alcuni casi anche a raggiungere intese294, soprattutto in relazione a fonti normative di natura secondaria295.
Solo con l’avvento del d.lgs. n. 281/1997 si è provveduto a “sanare” quei difetti contenuti nella legge n. 400 del 1988 che non avevano premesso una piena espansione della concertazione sul piano normativo.
L’articolo 2, c. III del d.lgs. n. 281/1997 precisa infatti ora le tipologie di atti – gli “schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo” – e concretizza l’oggetto dei provvedimenti, i quali necessitano della partecipazione della Conferenza solo ove incidano “nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano”.
Sebbene la legge non abbia espressamente previsto il parere della Conferenza sui decreti legge, in vai di prassi, come si vedrà di seguito, il Governo ha ricercato il consenso della Conferenza anche in queste ipotesi, per aumentare le proprie prerogative sul piano legislativo, facendo valere l’accordo con le autonomie nella dialettica con il Parlamento; inoltre sempre la prassi dimostrerà altre deviazioni dal modello legale, in considerazione della frequente richiesta di intese, e non di pareri, soprattutto in sede di esercizio della delega legislativa.
Infine, è bene considerare come solo per questi pareri il decreto determini espressamente l’obbligatorietà della consultazione, individuando anche una scansione temporale ben definita, considerato che la Conferenza è tenuta a pronunciarsi sul relativo provvedimento nel termine di venti giorni.
Con l’avvento del decreto del 1997, dunque, il coinvolgimento della Conferenza nella formazione degli atti normativi diviene stabile e permanente, non essendo necessario, come invece accadeva in passato, attendere l’emanazione di una specifica norma di legge che subordini l’approvazione del provvedimento alla previa consultazione della Conferenza; inoltre, la
293 Vedi, ad esempio, l’art. 1, c. II, del d.l. n. 412/1992 che prevedeva un contributo straordinario in materia di servizio pubblico locale attribuito con decreto del Ministro dei trasporti, sentita la Conferenza; nonché il d.l. n. 551/1994 ( Misure urgenti per il rilancio economico e occupazionale dei lavori pubblici e del’edilizia privata) che stabiliva il coinvolgimento della Conferenza ai fini dell’adozione di un decreto del Ministero del lavoro sui “criteri di formazione e i contenuti dei programmi di interevento”, nonché circa le “modalità di concessione dei finanziamenti”.
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Vedi il d.l. n. 224/1996 il cui art. 2 testualmente recitava: “con decreto del Ministero della sanità, adottato in accordo con la Conferenza Stato-regioni, sono stabiliti i criteri e le modalità di ripianamento del debito eventualmente accertato fino alla data di costituzione in azienda delle unità sanitarie locali e degli ospedali”.
295 Sul punto, I.RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 884, la quale evidenzia come prima dell’intervento del d.lgs. n. 281/1997 siano rari i casi di norme che prevedevano un intervento sulla produzione normativa di fonti primarie ( tra questi è possibile citare l’art. 9, c. II, legge n. 127/1997 che prevedeva il parere della Conferenza sullo schema di decreto legislativo); infatti, nella maggior parte dei casi la partecipazione aveva “ad oggetto quasi esclusivamente fonti secondarie, con particolare riguardo alla decretazione ministeriale”.
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partecipazione dell’organismo è, per espressa previsione della legge, di natura obbligatoria e incidente tanto nella legislazione primaria, quanto in quella secondaria, ove si tratti, però, di provvedimenti relativi a specifiche materie di competenza regionale.
Proprio il riferimento alla partecipazione della Conferenza esclusivamente sui provvedimenti statali “nelle materie di competenza delle regioni”, si confaceva pienamente al precedente sistema di riparto caratterizzato dalla competenza legislativa generale dello Stato e dalla “supremazia” amministrativa degli apparati statali, dacché se ne deduceva anche l’adeguatezza dell’acquisizione del parere per soddisfare le istanze partecipative delle regioni.
La previsione contenuta nel nuovo Titolo V di competenze statali enumerate, ha condotto una dottrina a sostenere come la procedura di consultazione regionale sarebbe ora “priva di senso”296.
In realtà, nel nuovo tessuto costituzionale si è visto come siano varie le fattispecie in cui il legislatore statale, con l’avallo della giurisprudenza costituzionale, acquista la possibilità di “invadere” materie di potestà regionale tanto, ad esempio, nelle ipotesi delle materie “trasversali”, quanto nei casi di esercizio del potere sostitutivo ai sensi dell’articolo 120, c. II, Cost., ovvero anche negli ambiti materiali “interferenti”; ma la vistosa sottrazione di attribuzioni di esclusiva spettanza regionale che produce l’attivazione di questi meccanismi dovrebbe consigliare, in armonia con il principio cooperativo, l’adozione di procedure di coinvolgimento effettivo per le Regioni.
Il legislatore, accontentandosi infatti della partecipazione regionale mediante l’espressione di meri pareri, ed escludendo la più incisiva forma dell’intesa, attribuisce alla Conferenza la sola possibilità di aderire o meno alle scelte del Governo; in questo modo alle regioni è sottratto il potere di presentare richieste di modifica, di negoziare il contenuto del provvedimento e , quindi, di incidere sulla proposta governativa, talché non sembra che l’introduzione di fattispecie consultive possa compensare la modifica del sistema di riparto delle competenze.
Questa legislazione evidenzia, dunque, la problematica di fondo della partecipazione della Conferenza alla formazione degli atti normativi, consistente nell’adattare schemi decisionali pensati per il vecchio sistema di riparto delle competenze, in cui la funzione che della cooperazione era di aprire le attribuzioni legislative dello Stato alla partecipazione delle regioni (anche se poi la Corte costituzionale ha fatto della cooperazione un uso differente sul piano del riparto delle competenze), in un contesto diverso in cui la leale collaborazione opera per
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compensare la perdita di funzioni del legislatore regionale determinata dalla “ricentralizzazione” di numerose competenze297.
Ad essere mutato, inoltre, non è solo il ruolo della cooperazione – anche se nella giurisprudenza vi è una linea di continuità nel suo utilizzo – ma anche il rapporto tra i soggetti della Repubblica, ora informato ai sensi dell’articolo 114 della Costituzione, ad un “pluralismo paritario”, che necessiterebbe, per questo motivo, di forme bilaterali di concretizzazione del principio.
Infine, è bene considerare che, nonostante il decreto preveda espressamente che il parere sia reso anche su fonti di natura primaria, in concreto il coinvolgimento della Conferenza ha avuto come terreno elettivo la formazione delle norme di carattere secondario, ponendosi in tal modo in linea di continuità con il modello cooperativo di cui la Conferenza è espressione.
Infatti, la Conferenza per collocazione e composizione non è sede di rappresentanza delle autonomie territoriali, né al suo interno è prevista alcuna forma di collegamento con gli organi parlamentari e con i Consigli regionali; per questa ragione una eventuale costante partecipazione della Conferenza al procedimento di formazione delle leggi andrebbe a depotenziare le sedi effettive titolari del relativo potere.
D’altra parte, non deve però essere sminuito il peso politico delle decisioni contenute in fonti secondarie; infatti, dal 1997 in poi si è assistito ad una crescita esponenziale del ricorso a siffatti strumenti normativi, i quali assumono peraltro, ove debitamente autorizzati per legge, il potere di abrogare norme primarie298.
In conclusione, in riferimento più da vicino agli atti normativi primari, possiamo ritenere come la cooperazione incentrata sulla Conferenza, da un lato, visto il mero potere di consultazione attribuito all’organismo, non assicuri una effettiva codecisione sul contenuto del provvedimento, d’altra parte, come essa escluda le sedi titolari del potere legislativo, regionale e statale, alle quali si imporrà di adeguarsi ad un provvedimento frutto di una decisione governativa.
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Cfr., S.MANGIAMELI, Letture sul regionalismo italiano, cit., p. 14 e ss..
298 Cfr., I. RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 884, che sottolinea come i regolamenti delegati costituiscano “uno dei centri nevralgici della produzione normativa”, talché, partecipando alla loro formazione, la Conferenza “si conquista un posto privilegiato”, potendo anche “concorrere ad indicare quali norme primarie dovranno essere espulse dall’ordinamento”.
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2.6.3. Sulla Conferenza come soggetto partecipante al processo di