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La partecipazione della Conferenza alla formazione dell’indirizzo politico nazionale e l’asserita violazione dell’articolo 95 della

2.6. L’attività della Conferenza. Alcune possibili classificazioni

2.6.1. La partecipazione della Conferenza alla formazione dell’indirizzo politico nazionale e l’asserita violazione dell’articolo 95 della

Costituzione.

Secondo le prospettate classificazioni l’operato della Conferenza è preliminarmente distinguibile in relazione alla natura giuridica dell’oggetto, a seconda che questo incida, come tradizionalmente accade, sul piano amministrativo, ovvero si apra a decisioni dal contenuto “politico”.

Proprio la funzione di coinvolgere la Conferenza Stato-regioni nella formazione dell’indirizzo politico nazionale ha rappresentato, soprattutto nella vigenza del vecchio Titolo V, l’attribuzione maggiormente problematica, come dimostra la decisione di non dar corso al progetto della Commissione Bassanini, il quale esplicitamente conteneva un riferimento alla definizione di indirizzo politico286.

284

Cfr., A.SANDULLI, La Conferenza Stato-Regioni e le sue prospettive, cit., p. 851. 285 A.SANDULLI, La Conferenza Stato-Regioni e le sue prospettive, cit., p. 845.

286 Come si è già visto, infatti, nel progetto della Commissione la Conferenza avrebbe dovuto possedere il ruolo di “promuovere la partecipazione delle regioni e delle Provincie autonome all’elaborazione e attuazione dell’indirizzo polito generale del Governo”.

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Nonostante il tramontare del progetto citato, sin dalla emanazione della legge n. 400 del 1988, la Conferenza ha visto ampliare la sfera delle proprie competenze in materia.

Infatti, già l’articolo 12, c. I, della legge citata prevedeva a favore dell’organismo “compiti di informazione, consultazione e raccordo, in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza regionale”; questa ampia formulazione, sostituendo la controversa nozione di “indirizzo politico” con la diversa formulazione linguistica di “politica generale”, apriva però le strade ad un preliminare dibattito sulla fungibilità tra le due formule normative utilizzate287.

La legge n. 400/1988 introduceva anche una consultazione facoltativa della Conferenza in relazione ad altri provvedimenti, tassativamente individuati, dall’alto tasso di politicità; in particolare, si prevedeva il parere della Conferenza “sulla determinazione degli obiettivi di programmazione economica nazionale e della politica finanziaria e di bilancio”.

Nonostante i passi in avanti realizzati con la legge del 1988, è solo con il seguente d.lgs. n. 281/1997 che il coinvolgimento della Conferenza in numerose attività espressione dell’indirizzo politico acquista carattere effettivo e stabile.

Infatti, sancisce ora il decreto come la Conferenza partecipi a tutti i “processi decisionali di interesse regionale, interregionale e infraregionale” (art. 2, c. I, d.lgs. n. 281/1997) concorra, altresì, all’approvazione di numerosi atti in cui sostanzia il potere politico – come la legge si stabilità, il DPEF, la legge comunitaria, i decreti legislativi ed i regolamenti del Governo nelle materie di competenza delle regioni (art. 2, c. III, d.lgs. n. 281/1997) – e infine rivesta un ruolo attivo in materia di programmazione dell’azione governativa, mediante l’approvazione di atti di “indirizzo e coordinamento”288.

287

La nozione di “politica generale“ e la sua fungibilità con quella di “indirizzo politico”, in particolare volta a valutare se tra i due termini vi sia un rapporto di genere a specie, è oggetto di controversia. Per una ricostruzione del dibattito, vedi P.CIARLO, Commento all’art. 95, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna, 1989, p. 333 e ss., il quale comunque accoglie la tesi della dottrina prevalente nel tempo che identifica la “politica generale” con tutte le attività effettuate al fine di attuare l’indirizzo politico. Diversamente,P.A.CAPOTOSTI, Tendenze e prospettive dei rapporti fra Regioni e Governo, cit., p. 1189 e ss. e S.BARTOLE, Presidente del Consiglio, Conferenza regionale e Ministro per gli affari

regionali, in Quad. cost., 1982, p. 98 e ss., i quali evidenziavano come a causa della formulazione troppo

ampia e della portata non vincolante delle decisioni della Conferenza, non si potesse parlare di attività di indirizzo politico.

288 I. RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 886 e ss.,

evidenzia come questa sia una competenza tradizionalmente attribuita alla Conferenza; già infatti la legge n. 400/1988 stabiliva che questa potesse deliberare “sui criteri generali relativi all'esercizio delle funzioni statali di indirizzo e di coordinamento”, quando poi il seguente d.lgs. n. 418/1989 richiedeva un parere sui “criteri generali relativi agli di programmazione e indirizzo in materia di competenza regionale (...) e su quelli per la ripartizione delle risorse”; infine, evidenzia l’autrice come queste clausole generali siano state concretizzate per mezzo di diverse normative che hanno previsto il parere della Conferenza in determinate politiche, tra cui, vedi l’art. 3 del d.lgs. n. 286/1998, in materia di immigrazione.

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Ma il terreno elettivo, in cui si è sostanziato il potere della Conferenza di influire nella determinazione delle politiche nazionali, è stato quello della distribuzione delle risorse finanziarie. A seguito, infatti, dell’emanazione di una vasta congerie di disposizioni normative sul punto289, l’articolo 2, c. I, lett. f), del d.lgs. n. 281/1997, ha determinato in via generale il coinvolgimento della Conferenza in siffatte procedure mediante l’attribuzione del potere di determinare “i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, anche a fini di perequazione”.

Infine, è possibile ritenere costituiscano espressione della formazione dell’indirizzo politico anche ulteriori funzioni “minori” attribuite oggi alla Conferenza dallo stesso d.lgs. n. 281/1997; tra queste è possibile ricordare il potere di “designazione” (art. 2, c. II, lett. d), quello di “nomina” (art. 2, c. II, lett.

i) e la potestà di promuovere il “coordinamento della programmazione statale e

regionale ed il raccordo di quest’ultima con l’attività degli enti o soggetti, anche privati, che gestiscono funzioni o servizi di pubblico interesse aventi rilevanza nell'ambito territoriale delle regioni” (art. 2, c. II, lett. c).

Come si è anticipato, il coinvolgimento della Conferenza nell’attività di formazione dell’indirizzo politico, soprattutto nella vigenza del vecchio Titolo V della Costituzione, ha determinato dubbi di compatibilità con l’articolo 95 della Costituzione, nel momento in cui riserva questa attività al Governo.

A quanti ritengono che la cogenza del principio sotteso dall’articolo 95 della Costituzione sia ostativa al coinvolgimento di diversi soggetti nell’attività di determinazione dell’indirizzo politico si affiancano diverse dottrine che hanno tentato di giustificare la compatibilità costituzionale delle norme di apertura alla partecipazione della Conferenza nella definizione delle politiche nazionali.

In particolare, vi è chi ha sostenuto la legittimità di queste disposizioni sulla base della teoria dell’autolimitazione in forza della quale sarebbe possibile distinguere la titolarità del relativo potere, che permarrebbe comunque in capo al Governo, dal suo effettivo esercizio che ben potrebbe essere delegato a soggetti differenti, tra cui anche la stessa Conferenza290; si tratta, tuttavia, di una tesi che, sostenuta sulla base del presupposto che l’attività della Conferenza non si spinga mai ad una codecisione effettiva ma sia espressione di atti giuridicamente non vincolanti, collide ora inevitabilmente con il progressivo ampliamento dei poteri della Conferenza.

289 Sul punto, I.RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 887, in particolare nota sub n. 113.

290

P.A.CAPOTOSTI, Tendenze prospettive dei rapporti fra Regioni e Governo, cit., p. 1189 e ss.. Anche se nota giustamente F.S.MARINI, La “pseudocollaborazione” di tipo organizzativo, cit., p. 259, la tesi dell’autolimitazione è stata fondata sul presupposto che la Conferenza non si spinga mai “fino alla formulazione di atti giuridicamente impegnativi, bensì soltanto alla emanazione di criteri generali di valore esclusivamente politico”.

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In una differente prospettiva, pur sempre nella vigenza del vecchio Titolo V, è da segnalare una dottrina291 che, partendo dalla distinzione di indirizzo politico in senso normativo e in senso costituzionale292, affermava una compatibilità dello svolgimento di questa attività, nella sua seconda accezione, con la partecipazione degli altri soggetti componenti la Repubblica. Mentre, infatti, secondo la visione normativa l’attività di indirizzo politico si risolverebbe nell’attività di fissazione delle finalità dello Stato, non predeterminabile a priori e quindi riservata gerarchicamente al Governo, nella sua accezione costituzionale, essendo la determinazione delle finalità già contenuta in Costituzione e non modificabile dalla maggioranza, il coinvolgimento dei territori sarebbe sempre ammissibile.

In questo contesto si inserisce con tutta la sua carica innovativa il processo di riforma in senso federale introdotto dal nuovo Titolo V della Costituzione; oggi, infatti, il coinvolgimento delle autonomie territoriali nella formazione dell’indirizzo politico nazionale, anche se non esplicitamente previsto, non solo deve ritenersi ammissibile, quanto anche auspicabile, alla luce della differente collocazione, paritaria e non gerarchica, dei soggetti componenti la Repubblica ai sensi dell’articolo 114 della Costituzione, che determina una lettura ampia del principio autonomistico contenuto nell’articolo 5 della Costituzione, in grado, quindi, di informare a sé anche l’attività di determinazione delle politiche nazionali.

2.6.2. Il coinvolgimento della Conferenza nel procedimento di

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