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La negoziazione “debole”: pareri e intese

2.7. Intese, pareri e accordi. Per una sistematica dei principali modelli decisionali

2.7.1. La negoziazione “debole”: pareri e intese

A seguito dell’istituzione della Conferenza l’unico modello decisionale a carattere generale tipizzato dal legislatore era costituito dal potere consultivo; i pareri espressi dalla Conferenza erano in origine peraltro di carattere facoltativo, oltreché non vincolanti e solo successivamente l’acquisizione del parere è stata ritenuta obbligatoria, prima in via pretoria, ma poi anche per espressa previsione del legislatore.

Nel vecchio quadro normativo di riferimento la Conferenza tradiva quindi una logica chiaramente “statalistica”, non solo per la citata facoltatività della consultazione, ma anche per la possibilità per il Governo di deliberare in modo difforme dalla posizione espressa dalle regioni, talché l’unico limite al potere statale era costituito dall’obbligo di rispettare il decorso di un determinato lasso

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temporale ove il Governo si fosse convinto della necessità di richiedere il parere349.

Si deve principalmente alla giurisprudenza costituzionale il tentativo di compensare questa disomogeneità nella distribuzione dei poteri per mezzo, prima dell’interpretazione di alcune fattispecie come ipotesi di consultazione obbligatoria350 – cui ha fatto seguito un’ampia legislazione di settore che ha spesso previsto siffatto obbligo in diversi procedimenti – e poi attraverso l’introduzione di un obbligo di motivazione a carico del Governo per le decisioni adottate senza il preventivo parere della Conferenza, ovvero in assenza dello stesso351.

A seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 281/1997 è giudizio condiviso in dottrina che l’attività consultiva della Conferenza manifesti profondi miglioramenti, ma assuma comunque una logica ancora marcatamente centralistica352, scarsamente favorevole per le istanze partecipative delle Regioni.

Infatti, in linea generale, vi è da considerare che mediante l’espressione di pareri la Conferenza è unicamente in grado di aderire ad un atto già perfezionato, non assumendo incisivi poteri di modifica di scelte ormai concretizzate dal Governo; inoltre, in relazione più da vicino alla disciplina del d.lgs. n. 281/1997, il legislatore ha cura di rimarcare come il Governo possa in caso di urgenza deliberare unilateralmente senza attendere lo spirare del termine in cui ordinariamente la Conferenza ha la facoltà di esprimersi sul provvedimento (art. 2, c. V, d.lgs. n. 281/1997).

In ogni modo il legislatore del 1997 ha cercato di equilibrare gli interessi governativi alla rapidità ed al buon andamento della procedura con le istanze di partecipazione delle regioni. Infatti, l’articolo 2, c. III, del d.lgs. n. 281/1997, affianca ai pareri facoltativi353, l’obbligatorietà della previa consultazione della

349 Cfr., I.RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 880 e ss.. 350

Corte costituzionale, sent. n. 263 del 1992, cit., p. 2025, che ha riconosciuto il carattere obbligatorio dei pareri sui “criteri generali relativi all’esercizio delle funzioni statali di indirizzo e coordinamento. 351 Corte costituzionale, sent. n. 204 del 1993, in Giur. cost., 1993, p. 1387, in cui ha qualificato l’obbligo di motivazione come “connaturato” al principio cooperativo, nonché Corte costituzionale, sent. n. 116 del 1994, cit., p. 987, che sancisce come la motivazione si configuri come “requisito minimo” in grado di legittimare l’azione singola del Governo e come questa debba individuare le “ragioni di interesse nazionale che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente”. Anche alcune normative precedenti al d.lgs. n. 281/1997 prevedevano questo onere motivazionale, tra cui, ad esempio, vedi l’art. 1 del d.lgs. n. 502/1992.

352 Sul punto, S. MANGIAMELI,Il principio cooperativo, cit., p. 123, per il quale la chiara ispirazione

centralistica della Conferenza si riscontra anche nella codificazione dell’attività consultiva, in cui il ruolo primario, anche a discapito del Parlamento, è svolto dal Governo per assicurare unità di intenti “negli anni segnati dalla profonda crisi finanziaria dello Stato, in corrispondenza dell’accentuarsi dei processi di integrazione europea e di internazionalizzazione dell’economia”.

353 Ai sensi dell’art. 2 c. IV del d.lgs. n. 281/1997, infatti, “la Conferenza è sentita su ogni oggetto di interesse regionale che il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene opportuno sottoporre al suo esame”, ed ora “anche su richiesta della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano”.

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Conferenza in relazione agli atti normativi di interesse regionale354, fattispecie nelle quali il legislatore precisa anche la scansione temporale, assegnando alla Conferenza un termine di venti giorni per pronunciarsi; inoltre, si prevede anche che in caso di omessa presentazione del parere per ragioni di urgenza debitamente motivate la Conferenza sia comunque consultata successivamente e che il Governo debba tenere conto del parere tardivo “in sede di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti legge”, ovvero ”in sede di esame definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al parere delle commissioni parlamentari” (art. 2, comma V, d.lgs. n. 281/1997).

Questa “procedimentalizzazione” dell’iter inerente la fase successiva in caso di omessa presentazione dell’atto da parte del Governo non sembra però determinare, anche per ragioni di carattere puramente letterale355, alcun obbligo a carico del Governo stesso, tanto di dare ascolto alla Conferenza in via successiva, ma prima della formale adozione dell’atto, quanto di accogliere nel seguito parlamentare la posizione regionale eventualmente espressa.

Del resto anche la Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare che il procedimento descritto dall’articolo 2 del d.lgs. n. 281/1997 non abbia carattere vincolante per il Governo e che, in relazione più da vicino alla consultazione successiva sui decreti legge, “la procedura ivi prevista appare configurata come una mera eventualità”356

.

La postulata facoltatività della consultazione successiva della Conferenza è peraltro confermata dal disposto di cui all’articolo 2, c. VI, del decreto n. 281/1997 che sancisce che “quando il parere concerne provvedimenti già adottati in via definitiva” la Conferenza Stato-regioni possa “chiedere che il Governo lo valuti ai fini dell’eventuale revoca o riforma dei provvedimenti stessi”; la previsione di un potere di stimolo per la Conferenza ai fini dell’apertura di una procedura di riesame del provvedimento governativo implicitamente ammette l’eventualità che l’atto statale sia stato approvato senza l’acquisizione del previsto parere, anche successivo.

354 Tale disposizione, sopendo le dispute sorte sull’obbligatorietà del parere nell’alveo della previgente disciplina, sancisce ora come non possa essere disatteso il parere della Conferenza delle Regioni, per gli “schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano”.

355 Testualmente, infatti, l’art. 2 C. V del decreto n. 281/1997 stabilisce che quando il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiara che ragioni di urgenza non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza Stato-regioni è consultata successivamente. L’utilizzo di questa formulazione normativa, peraltro priva di eventuale sanzione, sembra poter escludere l’obbligatorietà della consultazione successiva. Sarebbe tuttavia auspicabile l’introduzione espressa dell’obbligatorietà almeno per la sola consultazione successiva, al fine di permettere al parere di essere sempre allegato nel successivo seguito parlamentare in modo da far emergere la posizione regionale, incentivando un collegamento con le sedi legislative.

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Inoltre, anche l’istanza di riesame presentata dalla Conferenza, non determina la doverosità per il Governo di tenere in considerazione il punto di vista della Conferenza ai fini della eventuale modifica del provvedimento già adottato, né introduce uno specifico obbligo di motivare le ragioni ostative all’accoglimento della posizione eventualmente espressa della Conferenza; dovere che invece consentirebbe una forma di controllo sull’operato governativo.

Considerata la scarsa attitudine dei pareri ad accrescere il peso decisionale dell’organismo, la trasformazione della Conferenza in un organo dotato di maggiore capacità negoziale è avvenuto quindi prevalentemente per mezzo dell’attribuzione della facoltà di stipulare intese; in particolare, sotto la spinta della giurisprudenza costituzionale357, il legislatore, dopo aver introdotto delle tipiche e tassative fattispecie358, ha generalizzato il modello nell’articolo 3, c. I, del d.lgs. 281/1997, che infatti ora prevede una procedura applicabile “a tutti i procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un’intesa nella Conferenza Stato – regioni”.

Nelle linee generali il decreto rimarca il carattere obbligatorio dell’acquisizione dell’intesa e l’esistenza, per le sole intese previste da una specifica disposizione legislativa, di una precisa scansione temporale, dovendosi la Conferenza esprimere sulla richiesta governativa “entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui l’oggetto è posto all'ordine del giorno” (art. 3, c. II, d.lgs. n. 281/1997); dalla citata disposizione si evince, non solo l’attribuzione in favore del Governo della funzione di presentazione e predisposizione degli atti, quanto anche il carattere endoprocedimentale359 delle intese, le quali sono infatti destinate a culminare in un provvedimento amministrativo, o in alcuni casi anche in un atto di carattere legislativo, la cui concretizzazione resta però sempre di competenza governativa.

357 Come si è visto la giurisprudenza ha iniziato a valorizzare lo strumento dell’intesa, anche se debole, sin da un pronuncia del 1988 (Corte costituzionale, sent. n. 747 del 1988, cit., p. 3432) il cui schema di giudizio è stato poi valorizzato più volte; al riguardo, Corte costituzionale, sent. n. 351 del 1991, cit., p. 2806 e ss., e Corte costituzionale, sent. n. 336 del 1992 cit., p. 2910.

358 I. RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 877 e ss., evidenzia come questo modello decisionale nasca agli inizi degli anni ’90 e trovi una crescita esponenziale negli anni 1997-1999, in cui si concentrano ben 34 atti normativi attributivi del potere di stipulare intese, a fronte dei 31 documenti attributivi del potere consultivo; per la prima volta, dunque, sul finire degli anni ’90 questo più forte potere di negoziazione supera le attribuzioni di meri pareri, che da sempre hanno costituito il tradizionale modello decisionale della Conferenza. Conclude l’autrice evidenziando come la crescita delle intese segnano un evidente miglioramento qualitativo, “creando un’entità sempre più presente nei processi decisionali”.

359 Cfr.,A.D’ATENA, Diritto regionale, cit., p. 334; sugli atti endoprocedimentali in generale, per tutti E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010 e F. CARINGELLA, Manuale di diritto

amministrativo, Milano, 2010, i quali evidenziano come si tratti di atti interni al procedimento

amministrativo e quindi destinati a produrre effetti rilevanti nell’ambito del procedimento stesso, atteso che questi, non soltanto generano l’impulso alla progressione del procedimento, ma contribuiscono altresì a condizionare in vario modo la decisione finale, ovvero la produzione dell’effetto sul piano dell’ordinamento generale.

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Infine, a differenza dell’attività consultiva in cui non è prevista esplicitamente alcune regolamentazione sulla deliberazione, per le intese il legislatore prevede espressamente la necessità del raggiungimento nella componente regionale di una posizione unitaria360.

In adesione agli indirizzi citati espressi dalla giurisprudenza costituzionale, al fine di non ostacolare il principio del buon andamento, il d.lgs. n. 281/1997 ha peraltro introdotto intese dal carattere “debole”361. L’articolo 3, c. III, d.lgs. n. 281/1997, attribuisce infatti al Consiglio dei Ministri il potere di deliberare in via unilaterale e sostituiva in caso di mancato raggiungimento dell’intesa nel termine previsto; a seguito delle già citate pronunce della Corte la deliberazione sostitutiva è tuttavia legittima non solo se debitamente motivata, ma anche se preceduta da “reiterate trattative” volte a superare le eventuali divergenze.

Il carattere debole delle intese si desume anche dalla previsione contenuta nell’articolo 2, c. IV, del decreto del 1997, nel momento in cui determina la possibilità per il Governo di omettere, per ragioni di urgenza debitamente motivate, il coinvolgimento della Conferenza in via preventiva.

In quest’ultima fattispecie il decreto, nell’intento di recuperare poteri per le regioni, precisa poi come i provvedimenti adottati siano “sottoposti all’esame della Conferenza Stato-regioni nei successivi quindici giorni”, e che il Consiglio dei Ministri sia “tenuto ad esaminare le osservazioni della Conferenza Stato-regioni ai fini di eventuali deliberazioni successive”.

Anche in questo caso la legge non specifica se la presentazione successiva dell’atto alla Conferenza sia obbligatoria o facoltativa. Mentre la prima parte

360 L’art. 3, c. II, del d.lgs. n. 281/1997 prevede infatti testualmente che “le intese si perfezionano con l'espressione dell’assenso del Governo e dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano”. Sulla eventualità che anche sui pareri sia raggiunta una deliberazione unanime si tornerà successivamente al momento dell’analisi delle prassi di voto dell’organismo.

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Come si è già visto (supra par. 1.8.4.), il carattere debole delle intese ha condotto una parte della dottrina a rimarcare come in concreto questo modello decisionale non sarebbe distinguibile dalle fattispecie consultive. Così, G.MANFREDI, “Intese in senso debole e leale collaborazione a senso unico, cit., p. 1419;A.COSTANZO, Equivalenze tra parere favorevole ed intesa, nei rapporti tra Stato e Regione, cit., p. 2451 e ss.; ID., Aspetti problematici delle intese tra Stato e Regione, cit., p. 447 e ss.; A.D'ATENA,

Sulle pretese differenze tra intese "deboli" e pareri, nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 3908 ss..; A.

SANDULLI, La Conferenza Stato-Regioni e le sue prospettive, cit., p. 854, il quale evidenzia come il vantaggio per la componente governativa trasformi la concertazione in “strumento di pseudo collaborazione”. Vedi anche, I.RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo sommerso, cit., p. 879, la quale evidenzia come l’intesa si sia rivelata una “mera finzione, essendo l’attività espletata assimilabile a quella consultiva”. La giurisprudenza, in particolare, Corte costituzionale, sent. n. 444 del 1994, cit., p. 3876, ha cercato di rafforzare la distinzione mediante l’introduzione di due presupposti per la legittimità delle intese, quali l’onere motivazionale per il Governo in caso di intervento unilaterale, nonché la necessità di specifiche “trattative” tra le due componenti; in particolare, per la Corte, nell’intesa debole è comunque necessario che l’autorità statale si attivi per promuovere la necessaria collaborazione dell’ente regionale attraverso una richiesta e, quindi, una fase di “contatto”, a differenza del parere in cui si assiste ad un “rigido schema della sequenza non coordinata di atti unilaterali da parte dell’uno e dell’altro ente”.

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della disposizione, nel momento in cui prevede che “i provvedimenti sono sottoposti alla Conferenza”, sembra postulare, allineandosi alla disciplina dei pareri, la facoltatività della presentazione del documento, la seconda parte della norma denota un diverso tenore letterale.

Il legislatore in questo caso stabilisce infatti come il Governo “debba tenere in considerazione“ il punto di vista della Conferenza, rimarcando l’intenzione di rendere l’esame del punto di vista della Conferenza obbligatorio; nonostante la doverosità dell’apertura della procedura volta all’esame delle osservazioni della Conferenza, è bene sottolineare come il legislatore abbia precisato che questa attività non sia in grado di incidere sul provvedimento già emanato, quanto solo sulle “successive deliberazioni”, talché non sarà giammai suscettibile di determinare l’apertura di procedure di riesame dell’atto adottato.

2.7.2. Il potere di “contrattazione” della Conferenza: gli accordi e le

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