Con la costituzione delle regioni nel nostro ordinamento si realizzava una particolare formazione istituzionale a vocazione territoriale dal carattere “ibrido” che mescolava insieme elementi tratti dalla esperienza federale tedesca (tra cui la costituzionalizzazione del riparto delle competenze e la previsione di una competenza ripartita) e da quella spagnola (come l’esistenza di regioni ad autonomia speciale accanto a quelle ordinarie)69.
33
Tuttavia, a differenza che negli ordinamenti a carattere federale, in cui furono gli Stati a delegare proprie attribuzioni alla Federazione, nel nostro ordinamento il percorso è stato antitetico70, considerato il carattere derivato delle regioni che ha comportato uno spostamento delle funzioni dal centro alla periferia; inoltre, diversamente da altre esperienze regionali, tra cui quella spagnola, le regioni non sono state istituite per mezzo di un riconoscimento autonomo71, ma hanno subìto la decisione unilateralmente imposta dai poteri statali.
La mancata creazione delle regioni per mezzo di un’autonoma e spontanea iniziativa delineava dunque un sistema regionale strettamente dipendente dalla legge statale, alla cui competenza era rimessa la concretizzazione di numerose funzioni dell’apparato regionale72
; era infatti il legislatore statale a poter disciplinare, ad esempio, gli strumenti atti ad assicurare l’autonomia finanziaria delle regioni, il sistema delle elezioni, i casi di ineleggibilità ed incompatibilità dei consiglieri, ed era sempre lo Stato ad influenzare tanto l’attività legislativa – attraverso il rispetto nelle materie enumerate di esclusiva competenza regionale del limite dei “principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato” – quanto quella amministrativa, mediante il potere di delega alle regioni o agli atri livelli di governo di altre funzioni amministrative.
Nell’originario modello dello Stato regionale italiano il principio di leale collaborazione non otteneva nessun esplicito riconoscimento, non solo per la citata dipendenza verticistica delle funzioni regionali dalle scelte del legislatore statale, ma anche a causa dell’affermarsi di una prospettiva “duale” che costruiva le sfere di competenza di Stato e regioni73 secondo la logica della separazione.
70 Sulla differenza nel modo di creazione delle regioni rispetto alle Federazioni,A.D’ATENA,La vicenda del regionalismo italiano ed i problemi della transizione al federalismo, inFederalismo e regionalismo in Europa, a cura di A. d’Atena, Milano, 1994, p. 199 e ss.;ma vedi, anche in relazione ai profili attinenti al principio cooperativo, S. AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e regioni, cit., p. 10; G. DE VERGOTTINI, Stato federale, cit., p. 831 e ss.; P.CARROZZA, Principio di collaborazione e sistema delle
garanzie procedurali ( la via italiana al regionalismo cooperativo), cit., p. 477; G. BOGNETTI,
Federalismo, Torino, 2001, passim. Sostiene F.RIMOLI, Il principio di cooperazione tra Stato e regioni
nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., p. 366, come la presenza di siffatte differenze non
consentirebbe una netta trasposizione degli schemi propugnati da latri ordinamenti per innestarli nella nostra esperienza regionale.
71 Per un raffronto con l’ordinamento spagnolo al momento della istituzione delle regioni, vedi M.VOLPI,
Stato federale e Stato regionale: due modelli a confronto, in AA. VV., La riforma delle autonomie
regionali. Esperienze e prospettive in Italia e Spagna, a cura di G. Rolla, Torino, 1995, p. 33 e ss., nonché
ancora A.D’ATENA, voce Regione, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 317 e ss..
72 Così ancora, S. MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 32, per il quale analizzando il complessivo impianto costituzionale si notava come la regione risultava dotata di competenze, poteri e funzioni “tassativamente e puntualmente definiti, e rimessi per la loro concretizzazione al legislatore statale”, e “proprio per questa dipendenza dalla legge statale il sistema costituzionale italiano realizzava una forma di autonomia artificiale”.
73Per tutti, A. COSTANZO, Modelli, principi e loro genesi nelle argomentazioni interpretative, cit., p. 2467, il quale evidenziava come il modello fondato sulla rigida separazione di competenze tra i due enti era stato introdotto al fine di “contemperare le due istanze contenute nell’art. 5 della Costituzione: il
34
Per queste ragioni era assente in Costituzione una disposizione generale espressa sul principio di leale collaborazione e gli isolati e sporadici meccanismi di raccordo introdotti rivestivano un carattere così marginale e secondario che, dall’analisi del complesso assetto dei poteri, era dunque impossibile dedurre anche implicitamente l’esistenza di un principio generale finalizzato alla compartecipazione dei diversi livelli di governo nella formazione delle scelte statali.
Gli unici strumenti riconducibili al canone cooperativo erano infatti limitati nel primo regionalismo74 sul piano dei “raccordi per organi”75, alla partecipazione delle regioni al procedimento di elezione del Presidente della Repubblica (art. 85, c. II, Cost.) e a quei meccanismi mediante i quali, senza peraltro poter incidere sul contenuto della deliberazione, le regioni potevano indirettamente influire sul procedimento legislativo (art. 121, c. II, Cost., sul potere di iniziativa legislativa riconosciuto ai singoli Consigli regionali e art. 75, c. I, Cost., in tema di referendum abrogativo) e di revisione costituzionale (art. 138, c. II, Cost., in tema di proposizione del referendum in caso di approvazione a maggioranza assoluta e non qualificata).
Si trattava, quindi, di formule cooperative limitate a particolari fattispecie e comunque, in una prospettiva globale, scarsamente influenti sull’assetto complessivo dei poteri.
Altre tracce di forme collaborative, sul versante dei “raccordi per atti”, erano concentrate nelle modalità di impugnazione delle leggi regionali mediante la tecnica del preventivo rinvio di cui al “vecchio” articolo 127 della Costituzione76, nella disciplina dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi
riconoscimento di sfere costituzionalmente garantite agli enti e l’individuazione di interessi unitari facenti capo allo Stato quale ente esponenziale della collettività nazionale”.
74 Per un’analisi generale degli strumenti di cooperazione nel primo regionalismo, vedi, F.RESCIGNO, Le
“funzioni costituzionali” delle Regioni fra previsione ed attuazione, Torino, 2001. 75
Così. S.AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e regioni, cit., p. 22 e ss. e p. 45 e ss., il quale evidenzia una possibile distinzione dei raccordi “intersoggettivi” in raccordi “per organi”, relativi alla partecipazione delle sedi istituzionali alle attività statali, e raccordi “per atti”, ovvero di ”partecipazione di un livello territoriale al procedimento di formazione degli atti appartenenti ad un altro livello”. In modo non dissimile, A. D’ATENA, Diritto regionale, cit., p. 319 e ss., il quale distingue tra “raccordi procedimentali”, che trovano espressione nel riconoscimento alla regione di poteri nell’ambito di procedimenti statali, tra cui, ad esempio, i poteri di iniziativa legislativa ed in materia referendaria e “raccordi organizzativi” che si sostanziano invece nell’integrazione di organi statali con rappresentanti regionali, come accade per il collegio a composizione integrata per l’elezione del Presidente della Repubblica.
76 Sul ruolo del Commissario di Governo nel vecchio art. 127 Cost. vedi, E.GIANFRANCESCO, Il controllo
governativo sulle leggi regionali. Profili procedimentali, Milano, 1994, nonché E.ROSSI, Il giudizio di
costituzionalità delle leggi in via principale, in AA. VV., Aggiornamenti in tema di processo
costituzionale (1996-1998), a cura di R. Romboli, Torino, 1999, p. 225 e ss.. Sulle prassi relative al rinvio
delle leggi regionali, per tutti, G.FALCON, Contestazione e contrattazione di legittimità: aspetti di prassi
e spunti ricostruttivi per l’applicazione dell’art. 127 della Costituzione, in Giur. cost., 1980, p. 531 e ss.,
che evidenzia come, se questo controllo fosse nato di legittimità, in realtà spesso accadeva in via di prassi una contrattazione anche di merito sul contenuto della legge, cosicché “non era infrequente che ad una
35
(art. 125, Cost.), nonché nella presenza di un Commissario di Governo che aveva il compito di coordinare l’esercizio delle funzioni amministrative (art. 124 della Costituzione)77; tuttavia si trattava di istituti “imbevuti di una logica gerarchica di tipo verticale”78, nati per lo più al fine di sanzionare attività regionali legislative o amministrative eventualmente lesive del principio di unità.
Ispirati alla medesima logica centralistica anche quelle residuali forme di raccordo relative alla concentrazione nell’attività legislativa statale della funzione di coordinamento dell’autonomia finanziaria dei diversi livelli di governo (art. 119, c. I, Cost.)79 nonché, sul piano attuativo, nella previsione che affidava al Presidente della Giunta il compito di dirigere le funzioni amministrative delegate in senso conforme alle istruzioni governative80.
Nella struttura costituzionale del primo regionalismo, quindi, non erano previste forme incisive e dirette di partecipazione delle regioni alle funzioni statali mancando, rispetto ad esperienze straniere, quelle inevitabili forme di raccordo, quali ad esempio la costituzione di una seconda Camera di rappresentanza delle autonomie territoriali81.
Neppure la presenza di regimi differenziati e flessibili relativi alle Regioni a Statuto speciale82 era riuscito a scardinare il rigido sistema di separazione delle competenze; anche a causa della debolezza politica83, nonché dell’esiguità numerica84, le regioni speciali vantavano pochi strumenti di raccordo85 che di fatto non scalfivano l’organizzazione separata e verticistica del modello regionale.
legge fosse concesso il visto e per un’altra, di analogo contenuto, tale concessione non avesse luogo”. Così anche, S.AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e regioni, cit., p. 24.
77 Per tutti, P.COSTANZO, Sub. art. 124, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca e A. Pizzorusso, Bologna, 1990, p. 177 e ss..
78
Così, F.MERLONI, Relazione, in AA.VV., Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla
riforma costituzionale, a cura di G. Berti - G.C. De Martin, Milano, 2001, p. 175 e ss.
79 Sul punto, L. M. BERTOLISSI, Lineamenti costituzionali del “Federalismo fiscale”. Prospettive
comparate, Padova, 1982. 80
Così, S.MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 33.
81 Sul punto, C.PINELLI, Il Senato della Repubblica: dall’Assemblea costituente alle proposte di riforma, in Un senato delle autonomie per l’Italia federale, Napoli, 2003, p. 83 e ss..
82 Per una completa analisi dei raccordi cooperativi nelle regioni ad autonomia speciale, vedi A. BALDASSARRE, I raccordi istituzionali tra Stato e regioni speciali, in Le Regioni, 1984, p. 663 e ss. 83 Cfr., P.A.CAPOTOSTI, La Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni: una tendenza
verso il regionalismo cooperativo?, in Le Regioni, 1981, p. 899.
84 Cfr., S.AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e regioni, cit., p. 28.
85 Sul piano amministrativo e della formazione dell’indirizzo politico, lo strumento più importante di raccordo era certamente la previsione degli Statuti circa la partecipazione dei Presidenti delle regioni alle sedute del Consiglio dei Ministri per le deliberazioni riguardanti gli interessi della singola regione. Sul punto, S.AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e regioni, cit., p. 47, in particolare nota n. 21; per l’autore questa forma di collaborazione si rendeva necessaria non in presenza di un interesse unitario avente influssi sulle regioni, bensì in occasione di interessi propri e peculiari delle singole regioni.
36
In definitiva, il modello regionale italiano era in origine ispirato ad una logica duale- garantista86 che postulava una separazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo e che lasciava spazio a limitate pratiche collaborative fondate peraltro su una logica di tipo “verticale-gerarchico”.
1.6. La progressiva “destrutturazione” del sistema duale di riparto delle