1.9. La giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione: dalle origini alla riforma del Titolo V
1.9.2. Sulla giurisprudenza costituzionale a seguito della costituzione delle regioni ordinarie
Anche a seguito della costituzione delle regioni ordinarie la Corte continua ad allinearsi agli stessi schemi di giudizio utilizzati in relazione alle regioni speciali; infatti, nelle prime pronunce in cui si inizia a riconoscere la possibilità di un agire concordato, il canone cooperativo continua ad operare come semplice meccanismo idoneo a derogare ai criteri di riparto delle competenze, non assurgendo ancora a “principio generale” cui sono ispirate le azioni di Stato e regioni136.
Una vera svolta nell’interpretazione della cooperazione, che segna il definitivo affermarsi del canone nella giurisprudenza costituzionale, si registra solo con una decisione del 1984137 in materia di pubblico impiego in cui la Corte, sotto la spinta della dottrina del tempo138, giunge ad auspicare che i rapporti tra i due enti siano improntati “più che a una gelosa, puntigliosa e formalistica difesa di posizioni, competenze e prerogative, a quel modello di cooperazione ed integrazione nel segno dei grandi interessi unitari della Nazione”.
A seguito di questa decisione il richiamo al principio diviene sistematico nella giurisprudenza costituzionale; l’ambito di applicazione del canone interessa prevalentemente ancora gli ambiti materiali interferenti139 e, in particolare, la
136 Vedi, Corte costituzionale, sent. n. 174 del 1970 e sent. n. 35 del 1972 che, riguardanti anche le regioni speciali, trovano un riferimento al coordinamento nei procedimenti decisionali di Stato e regioni a sostegno della struttura unitaria dello Stato. In particolare nella decisone n. 35 del 1972 la Corte afferma che “nello spirito di una necessaria collaborazione fra tutti gli organi centrali e periferici che, pur nella varia differenziazione di appartenenza, sostengono la struttura unitaria dello Stato, questo possa utilizzare direttamente (…) gli uffici ed il personale di tutti gli enti autonomi, compresi quelli delle Regioni”, così agganciando la fattispecie concreta al disposto dell’art. 118 c. III, in materia di funzioni amministrative delegate. Successivamente, vedi anche, Corte costituzionale, sent. n. 175 del 1976 nella quale in riferimento ai poteri urbanistici in tema di parchi nazionali, la Corte stabilisce come “competenza regionale e competenza statale devono coordinarsi tra loro, di guisa che possa realizzarsi un giusto contemperamento delle finalità rispettive”. Parte della dottrina, M. LUCIANI, Un regionalismo senza
modello, in Le Regioni, 1994, n. 5, p. 1313 e ss., ritiene che in quest’ultima decisione debba rinvenirsi il
fondamento giurisprudenziale del principio di leale collaborazione.
137 Corte costituzionale, sent. n. 219 del 1984, in Giur. Cost., 1984, p. 1940 e ss.. 138
Si tratta di una dottrina che aveva evidenziato l’inadeguatezza del riparto delle attribuzioni sostenendo la esistenza di una necessità di coordinamento fondato sulla base di prassi decisionali flessibili; sul punto, L.PALADIN, Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale, cit., p. 36 e ss.; A.CERRI, Logica deduttiva ed analisi delle funzioni, cit., p. 104 e ss.; S.BARTOLE,
Ripensando alla collaborazione tra Stato e Regioni, cit., p. 2420.
139 S. MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 73 e ss., evidenziava come oltre alla materia ambientale vi erano altri settori nei quali cresceva il tema della collaborazione, che peraltro denotavano il ruolo centrale delle previsioni legislative statali; ad esempio l’esercizio del potere estero, aperto “ad un possibile ruolo internazionale delle regioni” per via della decisione statale contenuta nel d.p.r. n. 616/1976, era considerato dalla Corte, in ossequio al valore unitario, come “un terreno dove necessariamente i rapporti tra lo Stato e le regioni si devono svolgere secondo il principio di collaborazione”. Sul punto, emblematica Corte costituzionale sent. n. 187 del 1985, in Giur. cost., 1985, p. 1303. Secondo l’autore, poi, anche l’attivazione dei poteri di emergenza era ispirato al modello cooperativo “non solo per le interferenze che possono sussistere con le competenze regionali” quanto per
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materia dell’ambiente140 nella quale si assiste ad un intreccio di diversi interessi alcuni dei quali, come i profili relativi al settore dell’urbanistica, rimessi alla potestà delle regioni.
In casi siffatti, a detta della Corte, l’impossibilità di affidare le funzioni all’uno piuttosto che all’altro soggetto giustifica, in adesione al valore dell’unità, una riallocazione delle competenze in favore dello Stato, bilanciata appunto per mezzo della previsione di raccordi cooperativi che assicurino una partecipazione delle regioni.
Inoltre, la frequenza del richiamo alla cooperazione in questa giurisprudenza determina la trasformazione del canone cooperativo in un vero principio generale in grado di incidere sul complessivo sistema dei rapporti tra i soggetti della Repubblica e, in particolare, sulle regole costituzionali relative al riparto delle competenze; per questo motivo, il Giudice delle leggi affina il suo punto di vista e inizia necessariamente ad interrogarsi sulle modalità di raggiungimento del consenso e soprattutto sulla esistenza di una copertura costituzionale per la leale collaborazione.
In molte decisioni, tra cui ad esempio nella sentenza n. 94 del 1985, la Corte precisa che, ferma l’attribuzione dello Stato per la predisposizione delle pratiche concordate, è necessaria “l’intesa tra Stato e regioni” nella materia ambientale in quanto essa presuppone “la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi” rappresentati da una “pluralità di soggetti”, ma tutti asserviti al fine unitario “costituzionalmente imposto, appunto, della tutela del paesaggio”141
; ancora, in una successiva decisione, si afferma che, la riconduzione delle pratiche negoziate al disposto dell’articolo 9 della Costituzione, impone un impegno di Stato e regioni i quali sono tenuti “a concorrere alla tutela ed alla promozione del valore”142.
la necessità in caso di calamità “di interventi la cui tempestività ed efficacia riguarda (…) l’intera collettività nazionale”; di qui l’esigenza “di assicurare sia effettiva unità di indirizzo e dei azione”, quanto anche di garantire “partecipazione da parte dei diversi soggetti, e in primo luogo, delle Regioni”. Sul punto vedi, Corte costituzionale, sent. n. 243 del 1987 in Giur. cost., 1987, p. 2019, nella quale i giudici ritengono necessaria la predisposizione di pratiche concordate per bilanciare l’impossibilità delle regioni di rivendicare proprie competenze in tema di “protezione civile”.
140 Dall’esame delle pronunce del periodo in materia ambientale è possibile sostenere che questa abbia costituito “il banco di prova” del principio di leale collaborazione; così, S.MANGIAMELI, L’ambiente nel
riparto di competenza tra Stato e Regioni (dalla configurazione di una materia, all’assetto di un difficile modello) in ID. (a cura di), Giornate teramane sull’ambiente, Milano, 1998, p. 139 e ss..
141 Corte costituzionale, sent. n. 94 del 1985, in Le Regioni, 1985, p. 877 e ss., con nota di M. MARPILLERO, Incertezze ed equivoci sui poteri regionali nei confronti di concessionari di opere dello
Stato, ivi, p. 878. Si tratta di una pronuncia nella quale la Corte dichiara l’illegittimità di una legge della
Provincia autonoma di Bolzano in tema di grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico perché “si inserisce in un tessuto normativo che prevede una pluralità di strumenti di coordinamento dell'attività dello Stato, della Regione e della provincia” senza però prevedere idonee procedure di leale collaborazione.
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Anche le successive pronunce sempre in materia di ambiente143 costituiscono la riprova dell’impossibilità di tenere distinte le sfere di competenza statali e regionali, in questo caso riferite rispettivamente all’interesse del “paesaggio” e “dell’urbanistica”, che devono invece risultare coordinate in vista del perseguimento di un valore unitario, che poi giustifica la competenza statale sull’individuazione delle specifiche modalità cooperative.
Nonostante la fermezza dell’impostazione della Corte nel ritenere la leale collaborazione un principio di rango costituzionale, in questi anni la cooperazione stenta comunque a trovare un chiaro ancoraggio costituzionale il cui fondamento, prima individuato nell’articolo 9 della Costituzione, in altre pronunce viene identificato nell’articolo 32 del testo costituzionale144, per poi essere ricollegato all’articolo 5145
e, infine, all’articolo 97 della Costituzione146. Anche a causa di queste frequenti oscillazioni, la dottrina notava come nella maggior parte delle decisioni147 risultava carente un fermo aggancio
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In particolare Corte costituzionale, sent. n. 294 del 1986, in Giur. cost., II, 1986, p. 2328 e ss.. L’indirizzo della Corte che in materia ambientale ha giustificato un rafforzamento delle funzioni statali a scapito di quelle regionali bilanciate per mezzo di procedure unilateralmente imposte dallo Stato, è stato poi modificato solo sul finire del primo regionalismo. Infatti, si legge in Corte costituzionale, sent. n. 437 del 2000, in Giur. cost., 2000, p. 3287, che l’interferenza della materia ambientale con la disciplina dell’urbanistica esige la piena attuazione del canone della cooperativo “che deve attuarsi in forme concrete ed effettive ed operare reciprocamente”.
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Corte costituzionale, sent. n. 294 del 1986, cit., p. 2328 e ss., in cui si legge che la cooperazione verrebbe in rilievo come strumento per la salvaguardia della tutela della salute di cui all’art. 32 Cost., quale “valore costituzionale alla cui realizzazione sono chiamati Stato e soggetti di autonomia”.
145 Vedi Corte costituzionale, sent. n. 470 del 1988, nella quale si afferma che l’avvalimento da parte dello Stato degli uffici regionali “risponde alle esigenze della leale collaborazione fra le componenti essenziali dello Stato regionale, che deve necessariamente caratterizzare i rapporti tra gli organi statali e regionali in un’amministrazione pubblica ispirata a norma dell’art. 5 Cost. al riconoscimento delle autonomie nell’ambito di un disegno unitario”.
146 In una prima pronuncia, Corte costituzionale, sent. n. 214 del 1988, i Giudici costituzionali pur senza affermarlo esplicitamente sembrano già ritenere la leale collaborazione un corollario del principio del buon andamento. Successivamente, Corte costituzionale, sent. n. 139 del 1990, ricollega in modo esplicito il canone in questione al principio del buon andamento ex art. 97 Cost., il quale impone “una collaborazione tra le varie amministrazioni pubbliche, comprese quelle statali e quelle regionali nei loro reciproci rapporti”, in specie in relazione ai reciproci doveri di informativa. Vedi, con osservazioni critiche, A.COSTANZO, Collaborazione fra Stato e regioni e buon andamento dell’amministrazione, in
Giur. cost., 1988, p. 815 e ss.. Sul rilievo dell’art. 97 sulla tematica della cooperazione in generale, vedi
C.PINELLI, Art. 97, in Commentario della Costituzione – Art. 97 -98 – La Pubblica Amministrazione, a cura di G. Branca e A. Pizzorusso, Bologna –Roma, 1994, p. 127 e ss..
147 Vedi, Corte costituzionale, sent. n. 151 del 1986, in Giur. cost., I, 1986, p. 1010 e ss., con nota di A. ANZON, Principio cooperativo e strumenti di raccordo tra le competenze statali e regionali, ivi, p. 1039, nella quale la Corte si limita a rimarcare la possibilità che la leale collaborazione giustifichi la compiuta riallocazione di alcune funzioni regionali in favore dello Stato. Dubbi sulle argomentazioni della sentenza sono stati formulati anche da S.BARTOLE, La primarietà di valori costituzionali è giustificazione di
interventi in emergenza?, in Le Regioni, 1986, p. 1284 e ss. il quale evidenziava il salto logico operato
dalla Corte rispetto alla logica della cooperazione. Vedi, anche Corte costituzionale, sent. n. 153 del 1986, in Le Regioni, 1986, p. 1338 e ss., che ha giudicato legittima l’interpretazione data dalla circolare ministeriale alla legge 431/1985 in tema di poteri surrogatori dello Stato verso le regioni inadempienti alla formazione dei piani paesistici o urbanistici, in cui non risulta alcun collegamento con le disposizioni costituzionali. Sul punto, vedi, A.ROCCELLA, La circolare di attuazione della l. 431/1985 riaccende il
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costituzionale per la leale collaborazione, la quale veniva per lo più imposta “in modo apodittico”148 come principio di livello costituzionale al fine di giustificare la destrutturazione del riparto delle competenze e la consequenziale riallocazione delle funzioni a vantaggio dello Stato.
D’altra parte, l’incidenza della leale collaborazione a giustificazione della modificazione del sistema di riparto delle attribuzioni consigliava alla Corte di ritenere sicura la natura costituzionale del principio, anche in assenza di un preciso riferimento normativo; al riguardo è emblematica la pronuncia n. 177 del 1988 in cui la Corte, senza individuare un preciso referente costituzionale, afferma che il principio cooperativo consista in una garanzia rispondente ai “valori fondamentali cui la Costituzione informa i rapporti tra Stato e regioni, per tale motivo operante “in ogni ipotesi (…) nelle quali non sia applicabile l’opposto principio della separazione delle sfere di attribuzione”149
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Inoltre, la dottrina rimarcava come i concreti modelli cooperativi legittimati dalla Corte per giustificare l’alterazione del sistema delle competenze non erano in grado di compensare la conseguente perdita di attribuzioni delle regioni; infatti, in origine la Corte, attribuendo il potere di concretizzazione del principio allo Stato, riteneva spesso sufficiente l’acquisizione del parere delle regioni sul provvedimento statale, risultando sporadiche le decisioni nelle quali si imponeva il preventivo raggiungimento di accordi o intese150.
I meccanismi cooperativi non erano frutto di strumenti di codecisione, quanto di scelte unilaterali imposte dal legislatore statale151 che relegavano le regioni ad un ruolo subalterno152, potendo queste solo accettare le prescrizioni statali senza peraltro aver partecipato alla loro concretizzazione.
In conclusione, è possibile sostenere che nella prima giurisprudenza il canone della cooperazione sia stato imposto dalla Corte come principio di rango costituzionale al fine di giustificare espropriazioni e ritagli di competenze regionali, attribuite allo Stato quale soggetto garante del principio unitario153; la frequenza sistematica nell’utilizzo del principio ha determinato una
148 Così, S.MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 58. 149
Corte costituzionale, sentenza n. 177 del 1988, in Giur. cost. I, 1988, p. 608, con nota di C. MEZZANOTTE, Interesse nazionale e scrutinio stretto, ivi, p. 631 e ss..
150 Tra queste, Corte costituzionale, sent. n. 94 del 1985, cit., p. 877 e ss., in materia ambientale.
151 S. BARTOLE, La Corte costituzionale e al ricerca di un contemperamento fra supremazia e
collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, in Le Regioni, 1988, p. 563 e ss., il quale notava come se
era fuori discussione la competenza statale a “promuovere ed organizzare le sequenze del rapporto cooperativo”, altrettanto non poteva dirsi in relazione ai “termini e i contenuti della sequenza collaborativa”. In questo modo la cooperazione si risolveva nella pedissequa accettazione della regione delle decisioni unilaterali dei poteri centrali.
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Cfr., S.MANGIAMELI, L’ambiente nel riparto di competenza tra Stato e Regioni, cit., p. 145 e ss.. Vedi anche S. BARTOLE, La primarietà di valori costituzionali, cit., passim, il quale evidenziava come l’interpretazione a senso unico del principio aveva trasformato l’autonomia regionale in una “ausiliarietà subalterna”.
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destrutturazione dell’originario modello costituzionale, tanto da assumere “un carattere derogatorio e complementare rispetto al riparto costituzionale delle competenze”154.
Tuttavia la perdita di attribuzioni del legislatore regionale non ha trovato adeguata compensazione, avendo spesso la Corte legittimato la salvezza della legislazione statale prescrittiva del solo onere di consultazione delle regioni, risultando rara la previsione di modelli effettivi di codecisione.
1.9.3. La giurisprudenza costituzionale nel segno della continuità a