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Anche la composizione dell’organismo dimostra un lungo processo evolutivo della Conferenza, sin dalla sua istituzione, in cui era costituita da soli due membri effettivi oltre ai soggetti di volta in volta invitati a discrezione della componente governativa, fino al varo della legge n. 400 del 1988, che trasformava i Presidenti delle Regioni da meri invitati a “componenti ordinari”.

In particolare, ancora oggi l’articolo 12, c. II, della legge n. 400 del 1988, stabilisce che la Conferenza sia composta “dal Presidente del Consiglio che la presiede, dai Presidenti delle Regioni a statuto speciale e ordinario e dai Presidenti delle Province autonome, nonché dai ministri interessati agli argomenti iscritti all’ordine del giorno, e dai rappresentanti di amministrazioni dello Stato o di enti pubblici invitati”, se invitati dal Presidente del Consiglio.

Dal tenore letterale della norma si evince preliminarmente come la Conferenza, operando sul piano delle competenze amministrative, assicuri un collegamento a livello degli apparati esecutivi, escludendo dunque la partecipazione delle assemblee legislative; dalla disposizione citata si evince pure come la Conferenza sia un organismo a composizione “variabile” sul solo versante statale, considerata la partecipazione “mobile” del ministro di volta in volta funzionalmente interessato e della facoltà del Presidente del Consiglio di allargare la composizione della stessa mediante l’invito estendibile nei soli confronti dei rappresentanti delle amministrazioni statali e non di quelle regionali.

Proprio la possibilità di coinvolgere altri rappresentanti di estrazione governativa comprova la disomogeneità nella distribuzione dei poteri tra la compagine statale e quella regionale, ma non altera le regole sulle modalità di deliberazione e di raggiungimento del quorum; infatti, da un lato, in via di prassi i rappresentanti delle amministrazioni statali eventualmente invitati, pur

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partecipando alla discussione, non partecipano alla relativa deliberazione263; d’altra parte, per evitare che il potere di invito statale possa influire sulle regole deliberative – e anche al fine di far emergere in modo chiaro il punto di vista complessivo delle regioni – si è preferito mantenere separati i voti dei due apparati, regionali e statali264.

Per questi motivi, la Conferenza, nonostante la variabilità della sua composizione, non rappresenta tecnicamente un organismo a composizione “mista”265

, considerato che ogni regione esprime un voto che va a confluire nella indistinta posizione della componente regionale, in contrapposizione alla unitaria posizione governativa.

In riferimento alla componente regionale, escluso un possibile allargamento alla partecipazione di diversi rappresentanti delle amministrazioni locali eventualmente interessate, si è visto come tutte le regioni siano rappresentate dai Presidenti delle Giunte regionali o da loro delegati.

La partecipazione regionale in Conferenza è dunque paritaria e non legata alla consistenza demografica266 della singola regione; essa è inoltre “collettiva”267, considerato che il voto della singola regione confluisce nella indistinta e complessiva posizione della componente regionale, non lasciando quindi permeare il punto vista della singola regione.

Inoltre, la partecipazione delle regioni per mezzo del Presidente della Giunta, se da un lato assicura, nel nuovo sistema elettorale regionale, un legame diretto con l’elettorato, dall’altro, tuttavia, non risulta una forma di garanzia per le assemblee legislative, le quali sono inesorabilmente escluse da siffatti procedimenti.

263

Così, F.S.MARINI, La “pseudocollaborazione” di tipo organizzativo, cit., p. 346 e ss..

264 La netta separazione tra i voti dei due apparati si desume da varie disposizioni; in particolare dalla regola di carattere generale contenuta nell’art. 2, c. II, del d.lgs. n. 281/1997, che prevede che “ferma la necessità dell’assenso del Governo, l’assenso delle Regioni è espresso, quando non è raggiunta l’unanimità, dalla maggioranza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano”, nonché dalle regole specifiche relative alle intese (art. 3, c. II, secondo il quale “le intese si perfezionano con l’espressione dell’assenso del Governo e dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano) e agli accordi (art. 4 c. II, a mente del quale “gli accordi si perfezionano con l’espressione dell’assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano”).

265 Concorda con questa soluzione, F.S.MARINI, La “pseudocollaborazione” di tipo organizzativo, cit., p. 346, il quale a sostegno della tesi richiama Corte costituzionale, sent. n. 408 del 14 dicembre 1988, cit., p. 3509, nella quale i Giudici, pur riferendosi alla Conferenza Unificata, hanno sottolineato come non si tratterebbe di un organismo indifferenziato, in quanto non si prevede “il venir meno delle due conferenze e delle due rappresentanze in esse presenti”.

266 Sul punto, con osservazioni critiche, G. MOR, Tra Stato-regioni e Stato-città, cit., p. 515, il quale evidenzia come le “cinque Regioni in cui vive il 50% della popolazione dispongono di meno di un quarto dei voti, mentre potrebbe essere costruita una maggioranza di 11 tra Regioni e Provincie autonome con meno di un quarto degli abitanti del paese”; vedi anche A. AZZENA, Conferenza Stato-Autonomie

territoriali, cit., p. 433 e ss..

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In conclusione, anche la composizione della Conferenza solleva forti perplessità sulla neutralità dell’organo; la facoltà di invito per i soli rappresentanti delle amministrazioni statali e l’attribuzione della Presidenza dell’organismo al Presidente del Consiglio evidenziano come i poteri delle due componenti non siano di natura paritaria.

Per ripianare questa distanza si potrebbe introdurre una diversa regolamentazione sulla composizione della Conferenza al fine di assicurare una partecipazione paritaria tra i membri regionali e quelli governativi268, accompagnata dall’attribuzione all’intera Conferenza della facoltà di eleggere il proprio Presidente269.

Inoltre, la postulata rimodulazione dei componenti della Conferenza dovrebbe essere tale da assicurare a ciascuna regione il potere di esprimere singolarmente il proprio punto di vista in modo da escludere un “appiattimento delle differenze regionali”270

che il confluire dei voti nella indistinta posizione regionale oggi determina.

Infine, in ottica puramente costituzionale, le maggiori problematiche derivano, non tanto dalle predette regole deliberative che non lasciano trasparire il singolo voto regionale facendolo confluire nella indistinta complessiva posizione regionale, quanto dall’assenza di collegamento con le sedi titolari della funzione legislativa, tanto a livello regionale, quanto a livello statale; una problematica acuita peraltro dal fatto che la leale collaborazione che stimola spesso l’attivazione dei meccanismi cooperativi in Conferenza opera nella giurisprudenza costituzionale principalmente a deroga del riparto legislativo delle competenze e, in particolare, come si è visto, nelle materie “trasversali”, “interferenti” o in quegli ambiti in cui, in presenza di interessi unitari, è possibile attivare la chiamata in sussidiarietà delle funzioni in favore dello Stato.

Per questi motivi sarebbe auspicabile l’introduzione di alcuni correttivi271 – come, ad esempio, imporre la preventiva sottoposizione delle questioni

268 A.SANDULLI, La Conferenza Stato-Regioni e le sue prospettive, cit., p. 853 evidenzia come al fine di salvaguardare il criterio di proporzionalità tra membri statali e regionali, si “potrebbe pensare ad una Conferenza composta da quaranta membri, venti statali (nominati dal Governo centrale) e venti regionali, uno per ciascuna regione”.

269 Sempre, A.SANDULLI, La Conferenza Stato-Regioni e le sue prospettive, cit., p. 854. 270 Così, F.S.MARINI, La “pseudocollaborazione” di tipo organizzativo, cit., p. 348. 271

Per F. S. MARINI, La “pseudocollaborazione” di tipo organizzativo, cit., p. 347, per rafforzare il collegamento tra la Conferenza e l’apparato legislativo delle Regioni si potrebbe “prevedere la previa discussione nei singoli Consigli regionali delle questioni poste all’ordine del giorno nei lavori della Conferenza” che avrebbe l’effetto di garantire la partecipazione delle minoranze consiliari, senza però introdurre “un vincolo di mandato nei confronti del Presidente della Regione”; a detta invece di G. CARPANI, La Conferenza Stato-regioni, cit., p. 212, almeno non andrebbe preclusa “la possibilità di condividere, in un dibattito in aula, le linee generali a cui l’esecutivo regionale si atterrà nelle decisioni da assumere in sede di raccordo”, né andrebbe esclusa l’eventualità che l’ordinamento regionale prefiguri un “dovere per la Giunta e il suo Presidente di illustrare periodicamente al Consiglio le iniziative e le decisioni assunte”.

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dibattute in Conferenza nei rispettivi Consigli regionali – che assicurino un collegamento con le assemblee legislative, in assenza dei quali la Conferenza non può aspirare a compensare, in nome del canone cooperativo, la deroga al riparto delle attribuzioni legislative cui spesso si assiste nelle richiamate fattispecie.

2.5. La (scarna) regolamentazione sul funzionamento della Conferenza; le

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