A seguito della costituzione delle regioni ordinarie anche la dottrina inizia ad interessarsi del tema della collaborazione.
L’occasione per una rilettura del sistema dei raccordi cooperativi era costituita dall’introduzione delle “funzioni amministrative statali di indirizzo e coordinamento”97 che attestavano una possibile incidenza degli “interessi centrali sulle materie devolute alla competenza amministrativa esclusiva delle regioni ordinarie”98, rafforzando così l’idea del fallimento del garantista modello di separazione delle competenze.
Proprio in questo scenario la dottrina inizia ad auspicare “una riscoperta – accanto al principio di distinzione e di contrapposizione – anche dei principi di contemperamento e di integrazione degli interessi regionali e degli interessi nazionali”99.
Nel caso, tuttavia, dell’attività amministrativa incidente su materie riservate alle regioni, il limite “dell’interesse nazionale”, o anche l’utilizzo della legislazione di “principio” dello Stato, non sembravano idonei allo scopo di “orientare l’esercizio delle funzioni amministrative regionali a garanzia degli interessi nazionali unitari”100
.
96 Così, F.MERLONI, Relazione, cit., p. 176, P.CARROZZA, Principio di collaborazione e sistema delle
garanzie procedurali, cit., p. 473, nonché L. TORCHIA, Le autonomie territoriali: dalla riforma
amministrativa alla riforma costituzionale, a cura di G. Berti, G.C. De Martin, Milano, 2001, p. 195. 97 S.MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 41, evidenzia come l’attenzione della dottrina per la leale collaborazione a seguito dell’introduzione delle funzioni di indirizzo e coordinamento, di cui alla legge n. 281/1970, era dovuta anche all’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 39 del 1971, aveva ravvisato nella disposizione un meccanismo atto a rafforzare le funzioni statali, alternativo al fenomeno del “ritaglio delle materie” che aveva caratterizzato le regioni speciali. Su questo specifico punto vedi anche, S. MANGIAMELI, L’indirizzo e il coordinamento: una funzione
legislativa costituzionalizzata dalla Corte, in Giur. cost., 1997, II, p. 1131 e ss..
98 S.BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 91, per il quale non si potrebbe escludere un influsso “sulle dimensioni delle materie devolute alla competenza amministrativa delle Regioni”.
99 G.BACHELET, Strutture giuridico- amministrative per l’azione di sviluppo regionale nel Mezzogiorno, in Scritti giuridici, I, Milano, 1981, p. 343 e ss..
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Per queste ragioni, la dottrina inizia a ricercare un diverso fondamento normativo a giustificazione dell’attribuzione statale delle funzioni amministrative direttive e di coordinamento nelle materie di interesse regionale nonché, poi, un meccanismo idoneo ad assicurare un’adesione effettiva da parte delle regioni agli indirizzi espressi dai poteri centrali.
Nella sua prima accezione, l’ingerenza statale sul piano amministrativo veniva fondata sul “principio di unità” sotteso all’articolo 5 della Costituzione101
che, a garanzia e chiusura del sistema di riparto, postulava una nuova “positiva definizione della posizione dello Stato-persona nei rapporti con le regioni”102.
In particolare, l’esigenza di interventi uniformi comprovava l’esistenza di una sorta di “supremazia” dello Stato103, intesa non come prevalenza generale ed indiscriminata dell’attività statale, ma come possibilità dell’intervento statale a garanzia delle istanze di unità, “limitata a quelle ipotesi in cui le autorità statali risultavano effettivamente investite di poteri di ingerenza nelle materie di interesse regionale” e “condizionata all’esistenza di clausole costituzionali giustificatrici dell’intervento statale stesso”104.
Questa valorizzazione delle istanze unitarie, non solo produceva il definitivo accantonamento del modello di rigida separazione delle attribuzioni di Stato e regioni105, ma poneva anche le giuste premesse per l’affermazione di un regionalismo di tipo “cooperativo”106.
101 C.ESPOSITO, Autonomie locali e decentramento amministrativo nell’art. 5 della Costituzione, cit., p. 67 e ss., che vede nel principio sotteso all’art. 5 Cost., una sorta di norma posta a chiusura del sistema. La tesi è poi ampiamente ripresa da vari autori, tra cui, M.MAZZIOTTI, Studi sulla potestà legislativa delle
Regioni, Milano, 1961; F.CUOCOLO, Le leggi cornice nei rapporti tra Stato e regioni, Milano, 1967; L. PALADIN, La potestà legislativa regionale, Milano, 1958.
102 Così, S.MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 44.
103 Cfr., S.BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., passim. 104
S. BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 125; l’autore individua queste clausole, in particolare, nel bisogno di soddisfare interessi unitari, nell’esecuzione degli obblighi internazionali, nonché nella riduzione del ventaglio delle scelte regionali al fine di impedire risultati configgenti con l’unità statale.
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La dottrina non mancò di rimarcare lo stravolgimento dei meccanismi di raccordo determinato da queste prassi, che creava una distanza con il dato reale; per S.BARTOLE, Ripensando alla collaborazione
fra Stato e Regioni alla luce dei principi di diritto, in Giur. cost., 1982, p. 2431 e ss., la soluzione voluta
dal Costituente “doveva essere ripensata alla luce dei dati offerti da un’esperienza la cui ampiezza e articolazione il costituente medesimo non aveva probabilmente intravisto”; per A. CERRI, Logica
deduttiva ed analisi delle funzioni nella definizione delle competenze regionali, in Le Regioni, 1983, p.
104, il disegno del Costituente nasceva “in qualche modo già vecchio, muovendo dal presupposto di una società agricola, contrario alle reali tendenze di sviluppo della nostra economia”. Vedi anche le successive opinioni, in senso conforme, di A.BARBERA, Regioni e interesse nazionale, cit.; G.VOLPE,
Autonomia locale e garantismo, Milano, 1972; F. GABRIELE, Il principio unitario nell’autonomia
regionale. Studio critico sui modi e sull’incidenza della funzione statale di indirizzo e coordinamento,
Milano, 1980; T.MARTINES, Dal regionalismo garantista al regionalismo cooperativo,cit., passim;P. CARETTI, Regioni e autonomie locali. I rapporti Stato-Regioni al centro del dibattito sulle autonomie, cit., passim; A. COSTANZO, Il controllo sul procedimento di determinazione dei principi generali
dell’ordinamento, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, IV, 1989. 106
S.BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 149, il quale, se da un lato postula l’inefficienza di un sistema di riparto completamente separato e, quindi, la necessità di
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In assenza di diversi strumenti107, la dottrina sottolineava infatti come la predisposizione di modelli di concertazione (o codecisione) fosse l’unico meccanismo atto a garantire la “riuscita di quell’azione unificatrice che allo Stato compete di svolgere in ragione della posizione di supremazia”108; la collaborazione serviva dunque a realizzare un fattore di unità per lo Stato, assicurando un’attività regionale attuativa corrispondente al quadro direttivo indicato dallo Stato109.
Tuttavia, questo stretto legame tra cooperazione e istanze unitarie sottese al principio costituzionale di cui all’articolo 5 della Costituzione, se da un lato premetteva alle leale collaborazione di trovare un aggancio costituzionale110, al contempo concentrava il potere di concretizzazione delle modalità cooperative nelle mani del legislatore statale, il quale otteneva quel preciso potere di individuare e disciplinare i modelli procedimentali, relegando in tal modo la regione ad un ruolo di passivo recepimento delle scelte.
In relazione poi agli specifici meccanismi di raccordo, la citata impostazione dottrinale sottolineava la esistenza di varie e diverse forme cooperative, dalla “codipendenza organica”111 ai meccanismi di codecisione sugli atti112 – strumenti questi tuttavia ritenuti operativi, in un sistema fondato sulla
introdurre procedimenti concertati al fine di assicurare il rispetto del principio di unità, dall’altro non sembra del tutto sganciato dalla logica antecedente nel momento in cui afferma gli strumenti di codecisione introdotti dallo Stato, cui le regioni devono ossequiare, non sono suscettibili di violare “quel principio di distinzione e contrapposizione dei poteri che sta anche alla base della disciplina delle relazioni tra organi statali e regionali”.
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S.MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 46 evidenzia infatti come il sistema dei controlli sugli atti e sugli organi non si prestasse ad ottenere l’adesione delle regioni all’indirizzo specifico dello Stato, in quanto questi potevano assicurare solo l’osservanza del “complesso dei limiti senza specializzazioni particolari” e come la previsione di eventuali controlli ad hoc, per le attività amministrative di indirizzo e coordinamento avrebbero invece potuto comportare una lesione costituzionale delle prerogative di autonomia delle regioni.
108 S.BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 148.
109 S. BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 149, sosteneva come la forza del principio di unità avrebbe imposto la predisposizione di modelli cooperativi di modo che le regioni, prime destinatarie del principio, non avrebbero potuto vedere “in tale richiesta un’intrusione indebita nella sfera operativa loro garantita”.
110 S.MANGIAMELI,Il principio cooperativo, cit., p. 49, evidenzia come il clima fosse favorevole alla
ricostruzione dottrinale che riconduceva la cooperazione al principio di unità di cui all’articolo 5 della Costituzione, anche se “la consapevolezza che non esisteva un vero e proprio disegno costituzionale” in tal senso rendeva difficile l’emersione di un vero e proprio principio cooperativo di rango direttamente costituzionale, ragion per cui “si rinviava all’azione del governo il compito di realizzare un sistema di collaborazione tra stato e regioni”. Per S.BARTOLE, Ripensando alla collaborazione fra Stato e Regioni, cit., p. 2431 ss., se da un lato “era eccessivo attribuire al principio una qualità tout court costituzionale”, al contempo “ad esso non poteva essere negata (…) una immediata incidenza direttiva nell’interpretazione delle norme costituzionali espresse, per di più sorretta dalla constatata maggiore adeguatezza dei modelli di collaborazione alle esigenze di una società industriale complessa quale evidentemente era diventata negli anni la società italiana”.
111 S.BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, cit., p. 156, che descrive questa forma di raccordo come un meccanismo che permette a ciascun soggetto di avvalersi delle strutture organizzative dell’altro.
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separazione delle competenze, solo in caso di espressa previsione della possibile azione comune – finanche alla “collaborazione di risultato”113 o a quella “di indirizzo”114; tuttavia, questa dottrina, ancora non del tutto slegata dal modello di separazione delle attribuzioni, concludeva poi preferendo quelle forme di raccordo operanti solo sul piano attuativo, in grado di salvaguardare l’attribuzione statale relativa alle decisioni di coordinamento ed indirizzo, ragion per cui si ripudiavano tutte quelle soluzioni che implicavano una “contitolarità di determinate attribuzioni”, privilegiando una collaborazione di risultato, fondata su un “orientamento teleologico da Stato e regioni condiviso”115.
1.8. Le forme di raccordo tra Stato e regioni prima dell’istituzione delle