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La giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione dopo la riforma del Titolo V. Cenni

1.10.1. La giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione dopo la riforma del Titolo V. Cenni.

Nonostante gli auspici della dottrina, nel contesto del nuovo Titolo V la Corte costituzionale ha utilizzato con frequenza gli stessi schemi di giudizio già collaudati nell’esperienza del primo regionalismo (interpretazioni elastiche del concetto di “principi fondamentali della materia” nei settori di competenza ripartita, concorrenza di competenze statali e regionali negli ambiti materiali interferenti), cui si sono affiancati percorsi logici di nuovo conio (valorizzazione delle materie-obiettivo, interventi in sussidiarietà” delle funzioni statali) ma comunque sempre serventi a superare la rigidità del sistema di riparto delle competenze, per assicurare flessibilità all’intervento statale a garanzia della finalità di uniformazione delle discipline.

Siffatti canoni interpretativi, erodendo attribuzioni di potestà regionale, hanno nuovamente accresciuto l’esigenza di provvedere all’introduzione di strumenti cooperativi per compensare la perdita di funzioni dei poteri regionali; inoltre, questa frequente richiesta di attivazione di meccanismi di concertazione, nella perdurante inattuazione del citato articolo 11 della legge costituzionale n. 3/2001, ha determinato un consolidamento della cooperazione fondata sul sistema delle Conferenze.

La Corte costituzionale ha dunque contribuito in modo notevole a determinare una nuova opera di decostituzionalizzazione delle materie per favorire un’apertura ai poteri statali, bilanciata ancora una volta mediante il richiamo al canone cooperativo, che peraltro in questa giurisprudenza diviene sempre più frequente e sistematico.

Per questa ragione è possibile affermare che anche a seguito della riforma del Titolo V il principio di leale collaborazione, pur avendo un retaggio più vasto, ha operato nella giurisprudenza costituzionale ancora prevalentemente nel contesto relativo al riparto di competenze tra Stato e regioni in funzione

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compensativa della “supremazia statale”, ponendosi in tal senso in linea di continuità con la precedente giurisprudenza.

In particolare, nella giurisprudenza successiva alla riforma del Titolo V, l’onere di predisporre meccanismi cooperativi è stato imposto negli ambiti materiali interferenti, nelle materie trasversali, nonché in relazione alle fattispecie in cui lo stato ha esercitato la chiamata in sussidiarietà.

La prima delle ipotesi richiamate, in cui si nota chiaramente la stessa linea di pensiero della giurisprudenza pregressa187, riguarda i casi in cui l’intreccio delle materie sarebbe tanto forte da non poter attribuire la competenza legislativa in via prevalente allo Stato, piuttosto che alla Regione, sussistendo una compenetrazione di ambiti materiali rimessi alla cognizione dei due soggetti.

In casi siffatti, che costituiscono dunque il terreno elettivo di operatività della cooperazione188, sebbene la Corte abbia spesso sancito l’impossibilità di pervenire una volta per tutte ad una soluzione che consenta di affermare la prevalenza189, nella maggior parte delle pronunce ha attribuito allo Stato la competenza legislativa, bilanciando la conseguente perdita di attribuzioni delle regioni con la necessità di procedere sul piano amministrativo mediante procedimenti negoziati.

In questa giurisprudenza la leale collaborazione è stata invocata anche per le già citate materie- obiettivo (tra cui la tutela della concorrenza e la tutela dei

livelli essenziali delle prestazioni) le quali, impegnando il legislatore statale nel

raggiungimento di un risultato di carattere finalistico non connesso ad un determinato oggetto materiale, sono suscettibili di incidere anche su interessi riservati alle Regioni, nonché in altre materie a carattere “trasversale” come la “tutela dell’ambiente190.

Infine, a seguito di due note sentenze (sent. n. 303 del 2003 sulla “legge obiettivo”, legge n. 443 del 2001 in materia di infrastrutture di rilevanza

187

Così, S.MANGIAMELI, Riflessionisul principio cooperativo prima della riforma delle Conferenze, cit.,

p. 104 e ss., per il quale “proprio in riferimento agli ambiti normativi caratterizzati da una concorrenza delle competenze, nel richiamo operato alla leale collaborazione è possibile rinvenire alcuni elementi di continuità rispetto alla giurisprudenza formatasi in relazione alle norme del previgente titolo V”.

188 Cfr., S.BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, in Le Regioni, n. 2-3, 2004, p. 578 e ss..

189 Vedi già, Corte costituzionale, sentenza n. 338 del 1989 poi ripresa spesso a seguito del titolo V riformato, ad esempio in Corte costituzionale, sent. n. 282 del 2002, nella quale la Corte evidenzia come nel tessuto costituzionale riformato è necessario muoversi “non tanto alla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali di competenza statale”.

190 Come si è visto, la materia ambientale nelle more del vecchio Titolo V è stata certamente una delle più interessate dall’applicazione del principio di leale collaborazione nelle pronunce della Corte che tendeva a giustificare il favore per le esigenze centrali, attraverso il criterio della prevalenza, mascherato con quello di cooperazione; tra queste è possibile ricordare nuovamente, Corte costituzionale sentenza n. 94 del 1985, cit., p. 877 e ss.. Anche da questa considerazione si nota quindi una continuità nella giurisprudenza della Corte sul principio cooperativo.

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nazionale191, e sent. n. 6 del 2004 sul d.l. n. 7/2002 in materia, di potestà ripartita, della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia192) la Corte ha richiamato con frequenza il principio di leale collaborazione nei casi in cui lo Stato ha esercitato la chiamata in sussidiarietà, un meccanismo di conio pretorio che, se nell’intenzione del legislatore costituzionale, ai sensi dell’articolo 118, c. I, Cost., avrebbe dovuto operare sul solo piano amministrativo, è stato poi esteso da questa giurisprudenza anche a deroga del riparto legislativo delle competenze.

Proprio l’invenzione della chiamata in sussidiarietà denota il tentativo della giurisprudenza costituzionale di recuperare quella necessaria flessibilità al riparto delle competenze legislative assicurando, in assenza di diverse clausole espresse, un potere di intervento del legislatore statale a garanzia del valore unitario.

Infatti, la chiamata in sussidiarietà è un meccanismo che consente allo Stato di avocare sia la funzione amministrativa di una determinata materia di potestà regionale o ripartita quanto, di conseguenza, anche la connessa attività legislativa, sulla base dell’assunto che l’amministrazione, dovendo essere organizzata e regolata dalla legge in virtù del principio di legalità193, non potrebbe essere soggetta a discipline regionali differenziate; l’intervento sussidiario statale, nella giurisprudenza della Corte, è comunque legittimo solo se proporzionato, in relazione all’interesse pubblico sottostante, ragionevole, secondo uno stretto scrutinio di costituzionalità, nonché ove sia tale da compensare la perdita di funzioni del legislatore regionale mediante la predisposizione di procedimenti concertati nel rispetto appunto del principio di

191 La sentenza è ampiamente commentata; vedi, S.BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo

ordine regionale, cit., p. 578 e ss.; L. VIOLINI, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa

“concorrente”, leale collaborazione e strict scrutiny (nota a Corte cost. n. 303/2003), in Le Regioni,

2004; A.D’ATENA, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte

costituzionale, in Giur. Cost., 2003, p. 2776; A. ANZON, Flessibilità dell’ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in Giur. Cost., 2003, p. 2782 e ss.;A. RUGGERI, Il

parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia, in Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti – Studi dell’anno 2003, tomo II, Torino, 2004, p. 297 e ss.; A.MORRONE, La Corte costituzionale riscrive il Titolo V?, in

Forum di Quaderni costituzionali; Q. CAMERLENGO, Dall’amministrazione alla legge, seguendo il

principio di sussidiarietà. Riflessioni in merito alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, in

www.forumcostituzionale.it; R. DICKMANN, La Corte costituzionale attua (ed integra) il Titolo V, in www.federalismi.it.

192 Per tutti, O.CHESSA, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a

confronto, in, Le Regioni, n. 4/2004, p. 941 ss., e, S.AGOSTA, La Corte costituzionale da finalmente la

“scossa” alla materia delle intese tra Stato e Regioni? (Breve nota a margine di una recente pronuncia sul sistema elettrico nazionale), in www.forumcostituzionale.it.

193 Non concorda con questa ricostruzione, A.D’ATENA, Diritto regionale, cit., p. 154, a detta del quale sarebbe più appropriato giustificare l’avocazione delle competenze sulla base della “necessità dell’esercizio unitario delle funzioni”.

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leale collaborazione, che diviene in questo modo la chiave di volta di legittimità del meccanismo194.

Non può negarsi come proprio per mezzo dello strumento pretorio della

chiamata in sussidiarietà la Corte abbia potuto superare la rigidità del riparto

delle competenze fondata sull’elencazione delle materie; tuttavia, a causa della sistematicità del richiamo ad interventi legislativi di natura sussidiaria, dovuta principalmente alla scomparsa nella nuova Costituzione della clausola generale della tutela dell’interesse nazionale195

ed al mancato inserimento di diverse disposizioni di carattere flessibile a garanzia del valore unitario, si è creato in via giurisprudenziale un sistema di riparto delle competenze che sovverte e si sostituisce a quello disegnato dal legislatore costituzionale.

In conclusione, è possibile ritenere che nel mutato quadro costituzionale dipinto a seguito della riforma del Titolo V il principio di leale collaborazione sia stato utilizzato sistematicamente dalla Corte prevalentemente sulla base di schemi di giudizio già collaudati nel primo regionalismo.

Infatti, il canone cooperativo trova terreno fertile sempre sul piano del riparto delle competenze legislative, in cui è utilizzato con lo scopo di bilanciare la perdita di funzioni del legislatore regionale, dovuta alla ricentralizzazione delle competenze soprattutto negli “ambiti materiali interferenti” o “trasversali” e nei casi in cui lo Stato ha esercitato la chiamata in sussidiarietà; proprio il sistematico richiamo alla sussidiarietà ha tuttavia permesso alla cooperazione di assumere sul piano delle funzioni una “carica derogatoria maggiore rispetto al precedente assetto delle competenze”196.

Passando al piano concreto, relativo cioè alla individuazione delle singole e specifiche modalità coodecisionali, resta da sottolineare come la continua crescita nell’utilizzo del principio di leale collaborazione sul piano del riparto legislativo delle competenze abbia, in assenza di diverse forme di

194

Per G.SCACCIA, Sussidiarietà istituzionale e poteri statali di unificazione normativa, Napoli, 2009, 5 ss., il legame che si crea tra sussidiarietà e leale collaborazione determina che la leale collaborazione possa quindi essere definita, “la vera condizione di efficienza della regola sussidiaria”.

195 Sul dibattito in merito alla presunta scomparsa di tale clausola, vedi, A.ANZON, I poteri delle regioni, cit., p. 148 e ss. e ID., Un passo indietro verso il regionalismo “duale”, in Diritto diritti ed autonomie tra

Unione Europea e riforme costituzionali, a cura di A. D’Atena - P. Grossi, Milano 2003, p. 221 e ss., la

quale, negando il valore costituzionale generale della cooperazione, assume anche l’impossibilità di ritenere la clausola dell’interesse nazionale assorbita nel nuovo concetto di “sussidiarietà”; contrariamente, R. BIN, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità

della giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 6, 2001, passim, il quale sostiene che nonostante la

formale scomparsa della clausola, l’interesse nazionale sarebbe ancora vigente in quanto incorporato nel principio di sussidiarietà; per questo motivo, nel mutato tessuto costituzionale la clausola in questione assumerebbe ancora il ruolo di limite di legittimità per la legislazione regionale, ancorché subordinato al rispetto ora formale della preventiva attivazione di strumenti riconducibili al canone cooperativo. Sul tema vedi anche, P.CARETTI, La Corte e la tutela delle esigenze unitarie: dall’interesse nazionale al

principio di sussidiarietà, in Le Regioni, 2004, p. 381 e ss., e M.RUOTOLO, Le esigenze unitarie nel

riparto delle competenze legislative, in Scritti in onore di Michele Scudiero, Napoli, 2008, p. 2055 e ss.. 196 Cfr., S.MANGIAMELI, Letture sul regionalismo italiano, cit., p. 64.

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coinvolgimento del legislatore regionale, trovato in via di prassi risposta nell’unica sede negoziale istituzionalizzata, la Conferenza Stato-regioni.

Anche in relazione a questo profilo si nota tuttavia una sorta di continuità nella giurisprudenza costituzionale, la quale si è continuata ad allineare ai medesimi percorsi logici utilizzati nella vigenza del vecchio Titolo V, continuando a sposare una visione per lo più unilaterale del fenomeno cooperativo.

Ad esempio, se a seguito della nota sentenza n. 303 del 2003, la Corte aveva elevato l’intesa a parametro di legittimità della legge statale intervenuta in sussidiarietà, in seguito si è ritenuta spesso sufficiente l’attivazione di intese deboli, superabili in via unilaterale dall’esecutivo, in considerazione del fatto che, sempre a detta della Corte, “non si riscontra nel principio di leale collaborazione l’esigenza di specifici strumenti costituzionalmente vincolati di concretizzazione del principio stesso”197, dovendo essere rimessa “alla discrezionalità del legislatore la predisposizione di regole che garantiscano il coinvolgimento regionale”198, cui spetta dunque la facoltà “di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni”199.

Nonostante ciò, la Corte in alcune timide pronunce ha iniziato a rimarcare la centralità delle Conferenze per soddisfare il canone della cooperazione nel momento in cui ha sancito come “una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione è attualmente il sistema delle Conferenze Stato, Regioni ed autonomie locali”200

. Sebbene il riformato Titolo V abbia posto al centro del sistema la legge regionale, implicitamente richiedendo formule cooperative “biunivoche”, questi cenni preliminari sulla giurisprudenza costituzionale comprovano come l’utilizzo del principio cooperativo a deroga del riparto delle competenze legislative e la funzione compensativa della supremazia statale assegnata agli strumenti negoziati, rappresentino una linea di netta continuità con gli schemi collaudati nel primo regionalismo201, e, quindi, denotino una giurisprudenza legata ad una visione ancora “unilaterale” del fenomeno cooperativo.

197

Corte costituzionale, sent. n. 231 del 2006. 198 Corte costituzionale, sent. n. 231 del 2005. 199 Corte costituzionale, sent. n. 219 del 2005. 200

Corte costituzionale, sent. n. 31 del 2006.

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1.10.2. Sul rilievo costituzionale del principio cooperativo, alla luce

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