1.9. La giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione: dalle origini alla riforma del Titolo V
1.9.4. La leale collaborazione sul finire dell’esperienza del primo regionalismo; l’intesa come strumento di “cooperazione
paritaria”.
Sul finire del primo regionalismo, soprattutto a seguito dell’introduzione dei principi di “differenziazione, sussidiarietà e adeguatezza” di cui alle leggi Bassanini (n. 59 e 127 del 1997) e al consolidamento delle sedi di raccordo organicamente ridisciplinate nel d.lgs. n. 281 del 1997, la Corte sembra assumere una posizione più netta sul contenuto e sulla natura giuridica del principio cooperativo; il dibattito sul processo di decentramento in atto, infatti, inizia ad imporre una riflessione più matura sulla sistematizzazione della leale collaborazione e sui meccanismi di traduzione del principio in adeguate forme di coinvolgimento delle regioni.
Non muta, tuttavia, in questa fase l’ambito applicativo, in quanto la cooperazione continua ad essere richiamata a giustificazione della modificazione del sistema di riparto delle competenze, in particolare negli ambiti materiali “interferenti”.
In relazione, invece, al legame del principio con le disposizioni costituzionali, se già nella sentenza n. 19 del 1997 la Corte affermava che il principio di leale collaborazione “trova il suo fondamento nell’art. 5 Cost.”, è con una successiva decisione156 che il Giudice delle Leggi precisa in modo netto il suo ancoraggio ai valori dell’unità e del decentramento, nel momento in cui afferma che la leale cooperazione è “espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, riconosce
e promuove le autonomie locali alle cui esigenze adegua i principi e i metodi della sua legislazione (art. 5 Cost.)”.
Quanto poi ai modelli di concretizzazione del principio la Corte, accorgendosi dell’insufficienza della previsione di fattispecie consultive, apre sistematicamente a differenti e più effettive modalità di coinvolgimento delle autonomie territoriali, in particolare consistenti nello strumento dell’intesa.
Invero, l’intesa era già stata più volte richiamata in diverse pronunce, ma è solo in questo mutato contesto che i tratti costituitivi del meccanismo si cristallizzano definitivamente nelle interpretazioni dei Giudici costituzionali, influenzando così anche la successiva attività normativa del legislatore, tra cui anche il citato d.lgs. n. 281/1997.
In particolare, è possibile ritenere che l’intesa faccia per la prima volta la sua comparsa già in alcune decisioni di fine anni ‘80 nelle quali la Corte,
156 Corte costituzionale, sent. n. 242 del 1997, nella quale si legge anche che il principio di leale collaborazione governa “i rapporti fra Stato e Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi”.
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partendo dalla distinzione tra cooperazione “paritaria” e “non paritaria”, concludeva riconducendo nella prima categoria l’intesa, definita come strumento preferito di “codeterminazione e quindi di partecipazione effettiva all’esercizio di una determinata competenza”157, distinguendola così dal mero parere, ritenuto una forma di “coordinamento tenue”158.
Solo in successive pronunce, tuttavia, la Corte consoliderà questo schema di giudizio giungendo così ad identificare nell’intesa “la forma di cooperazione ragionevolmente adeguata rispetto all’ipotesi di competenze statali interferenti con competenze, anche di tipo esclusivo spettanti a enti dotati di autonomia speciale”159.
La carica innovativa di questa interpretazione, il cui intento era quello di assicurare una codeterminazione effettiva, di Stato e regioni, sul contenuto dell’atto, era tuttavia ridotta da successive decisioni; infatti la Corte, dopo aver distinto le intese “deboli”, sempre sostituibili in caso di mancato raggiungimento dell’accordo con provvedimenti statali unilaterali, dalle intese “forti” da raggiungersi con le singole regioni160, meccanismi che non ammettono deliberazioni sostitutive governative, inizia ad esprimere la preferenza nei suoi schemi di giudizio per il primo dei due modelli decisionali e, quindi, per forme deboli di negoziazione.
A detta dei giudici costituzionali il rilievo del principio del buon andamento nell’agire della Pubblica Amministrazione rende infatti “certamente auspicabile la previsione da parte del legislatore, nelle ipotesi di intesa, di termini certi per la conclusione del procedimento, nonché di meccanismi sostitutivi destinati a superare eventuali atteggiamenti ostruzionistici” i quali comunque non avrebbero dovuto declassare l’intesa “in una attività consultiva non vincolante”161.
Si tratta di una impostazione che continuava a determinare un sistema cooperativo strettamente dipendente dalla legge statale, non solo perché a questa era demandato in piena discrezionalità il compito di individuare le forme di concretizzazione del principio, ma anche per la preferenza per forme di negoziazione deboli in tutti quei casi in cui, come nella normalità delle fattispecie cooperative, seguendo l’impostazione dei giudici costituzionali, fossero ravvisabili “interessi unitari” o si rendessero necessari “criteri uniformi”162.
Inoltre, la possibilità per lo Stato di intervenire unilateralmente in caso di mancata intesa con le regioni o in caso di scadenza del termine sembrava sbiadire
157 Corte costituzionale, sent. n. 747 del 1988, in Giur. cost., I, 1988, p. 3432 e ss. 158 Corte costituzionale, sent. n. 517 del 1987.
159
Corte costituzionale, sent. n. 336 del 1992, in Giur. cost., 1992, p. 2910.
160 In particolare, i temine intesa in senso “forte” fa per la prima volta la sua comparsa in Corte costituzionale, sent. n. 21 del 1991.
161
Corte costituzionale, sent. n. 351 del 1991, cit., p. 2806 e ss.. 162 Cfr., S.MANGIAMELI, Il principio cooperativo, cit., p. 82 e ss..
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anche la distinzione tra l’intesa e il mero parere; invero, in diverse pronunce la Corte cercava di recuperare questa differenziazione, asserendo come l’intesa imporrebbe, a differenza del parere, oltreché l’onere di motivare la scelta, comunque l’adoperarsi delle parti mediante “reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento dell’accordo”163.
Nonostante ciò, la dottrina164 sottolineava la sostanziale identità delle due forme; l’intesa debole non sembrava infatti concretamente idonea a provocare un dialogo o quantomeno un confronto tra i diversi soggetti in vista di una possibile modificazione delle divergenze esistenti, connotato in cui si sostanzia proprio la differenza tra procedure di codecisione e di consultazione.
Infatti, la previsione del potere di intervento unilaterale a favore del Governo declassava la fase delle trattative, da luogo di possibile apertura per la modificazione della proprio punto di vista, a sede per valutare l’adesione regionale al progetto statale165, rendendo in concreto questa procedura non dissimile dalle fattispecie di consultazione.
Nonostante, quindi, le aperture al coinvolgimento regionale, l’analisi della giurisprudenza della Corte sullo strumento dell’intesa denotava come questa fosse ancora legata ad una visione “unilaterale” del modello cooperativo166.
In conclusione, sul finire del primo regionalismo la cooperazione ha continuato ad operare sul piano del riparto delle competenze legislative, determinando, nonostante il più fermo aggancio costituzionale nel “principio unitario”, una riallocazione delle funzioni principali a vantaggio dello Stato in tutti quegli ambiti materiali in cui vi fosse una compresenza di interessi di natura eterogenea rimessi alla potestà di entrambi i soggetti; tuttavia, in questa
163 Corte costituzionale, sent. n. 351 del 1991, in Giur. cost., 1991, p. 2806 e ss.; vedi anche, Corte costituzionale, sent. n. 444 del 1994, in Giur. cost., 1994, p. 3876, nella quale i giudici sostengono che nell’intesa debole è comunque necessario che l’autorità statale si attivi per promuovere la necessaria collaborazione dell’ente regionale, attraverso una richiesta, e quindi, una fase di contatto” a differenza del parere in cui si assiste ad un “rigido schema della sequenza non coordinata di atti unilaterali da parte dell’uno e dell’altro ente”.
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La dottrina è pressoché compatta nel ritenere impossibile la distinzione tra i due modelli; in particolare, pur con diverse sfumature, si concorda sul fatto che ammettere un possibile intervento unilaterale di uno dei due soggetti significa far assumere all’interevento dell’altro soggetto i connotati tipici di una consultazione non vincolante. Vedi, G. MANFREDI, “Intese in senso debole e leale
collaborazione a senso unico, in Le Regioni, 1993, p. 1419; A. COSTANZO, Equivalenze tra parere
favorevole ed intesa, nei rapporti tra Stato e Regione, in Giur. Cost., 1998, p. 2451 e ss.; ID., Aspetti
problematici delle intese tra Stato e Regione, in Dir. Soc., 1983, p. 447 e ss. e A.D'ATENA, Verso una
riconsiderazione della “collaborazione” tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 1987, I, p. 3382 e ss.;ID.,
Sulle pretese differenze tra intese “deboli” e pareri, nei rapporti tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 1991,
p. 3908 ss..
165 Cfr., A.D'ATENA, Sulle pretese differenze tra intese "deboli" e pareri, cit, p. 3908, il quale evidenzia come i procedimenti convenzionali siano rivolti, a differenza di quelli consultivi, non solo a “registrare” le differenti posizioni, quanto anche a “provocare il confronto e la modificazione, in vista dell’incontro di volontà cui sono preordinati”; tuttavia, la previsione della disponibilità per uno dei due soggetti di “succedanei dell’intesa” non rende sostenibile che “il procedimento trovi nella tensione verso l’accordo la propria istituzionale ragion d’essere”, avvicinando questa forma dunque, alle fattispecie consultive. 166 Così, M.RAMAJOLI, Autonomie locali e “governo dell’etere”, in Le Regioni, 1992, p. 103 e ss..
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giurisprudenza, la continua dipendenza della cooperazione dalla legislazione statale ha di fatto perpetrato la prospettata lesione delle garanzie partecipative delle regioni le quali sono state per lo più chiamate ad aderire alle compiute scelte nazionali, che a partecipare alla loro concretizzazione.
Per questo motivo, e anche in considerazione della frequenza dell’utilizzo di questo schema di giudizio e della sua chiara incidenza sul piano del riparto delle competenze, è possibile concordare con quanti hanno ritenuto che il meccanismo di giudizio della Corte abbia determinato una erosione delle competenze regionali a favore dello Stato “con il travestimento della collaborazione”167.
1.10. I raccordi cooperativi a seguito della riforma del Titolo V. Il giudizio