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Il colore nelle osservazioni astronomiche a occhio [f bònoli]

rappresentazione della stella dei magi 1,2 Manuela Incerti, 2,3,4 Vito Francesco Polcaro, 5 Fabrizio Bònol

6. Il colore nelle osservazioni astronomiche a occhio [f bònoli]

Prima di concludere questa panoramica sul nostro studio statistico relativamente all’incidenza che l’osservazione di reali fenomeni astronomici possa aver avuto su alcuni artisti, al punto da ritenere quelli meritevoli di essere inseriti all’interno delle loro raffigurazioni, secondo modalità che possono essere state puramente accessorie alla narrazione artistica oppure parte integrante di essa e del tutto prevalente all’interno di quella narrazione oppure ancora rivestite di un aspetto essenzialmente simbolico, sia per il committente che per il fruitore, riteniamo necessario spendere poche parole per

richiamare alcune peculiarità della riconoscibilità dei colori nelle particolari condizioni di basse luminosità che si riscontrano nell’osservazione dei fenomeni celesti.

Oggi c’è la diffusa possibilità di vedere su riviste e libri e soprattutto sulla rete una grande quantità di immagini di ogJHWWL DVWURQRPLFL YLVWRVDPHQWH ௅ H VSHWWDFRODUPHQWH ௅ FRORUDWL (EEHQH VL WUDWWD GL TXHOOL FKH FRQ XQ WHUPLQH WHFQLFR vengono definiti “falsi colori”. Sono, cioè, colori ricostruiti al calcolatore mediante la somma di tre o più immagini riprese ognuna in un differente intervallo di lunghezze d’onda, mediante appositi filtri utilizzati al telescopio. Ogni singola immagine, quindi, evidenzia le differenti intensità luminose presenti nell’oggetto e non i suoi colori intrinseci. Un codice opportunamente selezionato permette poi di legare una scala di colori alle differenti intensità. La somma delle diverse immagini e il trattamento al computer dei relativi codici consente di evidenziare con definiti colori le differenze di intensità tra le immagini, fornendo, infine, una singola immagine in cui i colori che appaiono non sono altro, appunto, che le differenze di intensità tra i singoli pixel che componevano ognuna delle immagini originarie (un’interessante e semplice descrizione del procedimento si trova in un filmato presente nel sito di Hubble Space Telescope: [9]). Come si diceva, si tratta infatti di “falsi colori” che servono agli astronomi, insieme al codice utilizzato per costruire la scala di colori, per avere informazioni su quello che si chiama “il colore” o “l’indice di colore” dell’oggetto in esame, cioè per evidenziare differenze tra le differenti condizioni fisiche in cui si trova quell’oggetto. Evidenziazione che può essere fatta anche dilatando o restringendo a piacere la scala di colori, per dilatare o restringere le differenze di intensità e quindi di stato fisico. Un po’ quello che si fa nelle carte geografiche, laddove si rappresentano con un blu più scuro i fondali oceanici e con un azzurro chiaro i più bassi fondali costieri o con marroni differenti le altezze dei monti. Inutile negare che sovente questi “falsi colori” sono anche utilizzati per rendere più spettacolari le immagini agli occhi del pubblico: basti guardare un libro o un atlante di astronomia di alcuni decenni orsono per vedere come le immagini fossero tutte solo in bianco e nero, sollecitando quindi in misura molto inferiore l’interesse del lettore. Si tratta, perciò, di colori che nulla hanno a che fare con i “veri intrinseci colori” degli oggetti.

Quando, invece, l’osservazione viene fatta a occhio, praticamente non si vedono i colori degli oggetti in cielo. E a questo concorrono diversi fatti. Da una parte il significato fisico del colore, che è il rapporto di due intensità misurate in due differenti regioni dello spettro elettromagnetico: tutto quanto, cioè, di cui abbiamo appena parlato. Dall’altra parte, invece, vi è il colore nel significato comune del termine che tutti gli diamo. Si tratta, in questo caso, di una percezione soggettiva che ha un significato fisiologico, dovuto sia al modo in cui gli occhi sono sensibili alle differenti OXQJKH]]HG¶RQGD௅HRJQLRFFKLRKDXQDVLDSXUSLFFRODGLIIHUHQWHVHQVLELOLWj FXUYDGL ULVSRVWD  ௅ VLD DO PRGR LQ FXL L IRWRUHFHWWRUL GHOOD UHWLQD LQYLDQR L VHJQDOL QHUYRVL DO cervello, sia al modo in cui il nostro cervello li elabora. Ebbene, in condizioni di bassa luminosità della sorgente osservata, quei recettori del nostro occhio che comunemente FLFRQVHQWRQRGLGLVWLQJXHUHLFRORUL௅LFRQL௅RSHUDQRFRQVFDUVDRQXOODHIILFLHQ]D lasciando così la quasi totalità della visione ai bastoncelli che tuttavia sono insensibili alle differenze di lunghezza d’onda, cioè ai colori. Questi vengono quindi percepiti solo come diverse sfumature di grigio. È questo il motivo per cui, guardando le stelle a

occhio nudo, ma anche attraverso un telescopio, praticamente non si riescono ad apprezzare differenze di colori tra di esse, se non in casi di stelle particolarmente e intrinsecamente “colorate”, ad esempio le rosse Aldebaran o Antares e l’azzurra Rigel. Detto per inciso, è anche questo il motivo fisiologico che sta alla base del proverbio «di notte tutti gatti sono bigi»!

Ritornando, dunque, al tema del colore degli oggetti raffigurati in varie rappresentazioni artistiche, questo nostro sintetico discorso sull’osservazione dei colori degli oggetti celesti avvenuta in scarse condizioni di luminosità ci porta a concludere come, nella maggior parte dei casi, non si siano potuti osservare fenomeni realmente “colorati”. Quindi, si deve tener conto di come i colori riprodotti dagli artisti possano non essere i colori veri e propri del fenomeno osservato (comete, aloni luminosi, supernovae ecc.), bensì si tratti di un’interpretazione del tutto personale o di un rafforzamento (più o meno consciamente voluto) di quella interpretazione, eseguito per scopi puramente artistici e/o simbolici.

7. Il colore delle supernovae e delle comete: considerazioni fisiche [v.f.