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Il data-base e la sua struttura [m incerti]

rappresentazione della stella dei magi 1,2 Manuela Incerti, 2,3,4 Vito Francesco Polcaro, 5 Fabrizio Bònol

2. Il data-base e la sua struttura [m incerti]

La più antica rappresentazione dei Magi è datata II secolo e si trova in un affresco delle catacombe di Priscilla a Roma. La scena riporta tre figure, ma la stella non è più visibile forse per le condizioni di conservazione della parte alta del reperto. La stella, come è noto, appare invece nell’affresco che raffigura la Madonna con bambino e il profeta Balaam (catacombe di Priscilla, III secolo) per la quale è possibile ipotizzare la presenza di 8 raggi.

L’iconografia della stella nella rappresentazione dei Magi e della Natività è un elemento molto comune, ampiamente diffuso in tutte le epoche. Il successo della rappresentazione dell’Epifania in Occidente è confermato da un numero molto elevato di testimonianze, a partire dall’arte cristiana primitiva, in sarcofaghi, dipinti, manoscritti, mosaici, tavolette d’avorio, evangeliari, medaglie di devozione, vasi, oggetti di oreficeria, reliquiari, cattedre e amboni ed altri oggetti d’uso.

La ricerca, in un primo momento ristretta prevalentemente ai reperti italiani d’età medioevale [1, 2, 3, 4], è stata attualmente implementata a tutto il XV secolo; il database, che conta ora 460 reperti, contiene anche al suo interno alcuni esempi (circa 30) appartenenti ai primi secoli d.C. e al XVI secolo, per evitare di trascurare completamente la tradizione iconografica precedente e posteriore, evidenziando quando necessario gli elementi di continuità. Gli episodi presi in considerazione riguardano l’adorazione dei Magi, la natività, il sogno dei magi, il viaggio dei magi,

il sogno di Giuseppe, i magi astrologi, il ritorno dei magi a casa e l’annunciazione ai pastori.

I dati utilizzabili, perché completi e contenenti un elemento di interesse per la ricerca (stella o angelo), sono il 73% (338 episodi), il 20% circa è invece stato escluso perché non più leggibile (si tratta di frammenti o di reperti danneggiati) o perché sprovvisti degli elementi iconografici ricercati.

L’episodio dell’adorazione dei Magi figura nel 52% dei casi (239 unità), mentre la Natività nel 33% (151 unità). Il numero delle rappresentazioni inizia a crescere sensibilmente dopo l’anno Mille e la sua distribuzione si concentra principalmente nei secoli XII, XIV e XV (58% circa) con tre picchi nel XII (79 episodi), XIV (125 episodi) e XV secolo (111 episodi).

La tipologia formale delle stelle è stata analizzata attraverso diversi parametri tra cui la struttura geometrica elementare riconducibile a poligoni regolari, la differenziazione dei componenti (per esempio i raggi), la presenza di ulteriori elementi insoliti o particolari, lo stile grafico e anche il colore: sono presenti infatti stelle rosse, gialle, arancioni, nere, bianche, dorate nonché a tinte sfumate.

Le stelle che compaiono con maggior frequenza hanno il numero di raggi pari ad 8 (38%, 100 episodi) e secondariamente a 6 (16%, 42 episodi). L’iconologia della stella ad 8 punte, geometricamente riconducibile alla regola del quadrato ruotato di 45°, si ritrova già in Mesopotamia associata al culto della dea Ishtar/Inanna (cioè il pianeta Venere) [4] e, in seguito, anche in relazione a quello della Madonna, Madre di Dio, sul cui manto (sulla spalla o sul capo) è spesso presente (ciò accade anche nei nostri reperti). La stella a 6 punte, esagramma, costruita attraverso due triangoli equilateri, è un motivo geometrico particolarmente diffuso in età medioevale, simbolicamente riconducibile anche al Chrismon, la cui diffusione inizia già intorno al III sec. d.C. La tipologia dei raggi è a stata rapportata alla serie di forme elementari: triangolo, “classica”, Chrismon, trapezio, rombo, lancia, fuso, petalo semplice e a spirale, linea. I gruppi più consistenti sono rappresentati dalla forma “classica” dei raggi (89 episodi), linea (48 episodi), petalo (22 episodi), lancia (17 episodi), fuso (12 episodi). Altri elementi possono infine presentarsi nella definizione della stella: possiamo trovare un cerchio interno (da cui partono i raggi), o esterno (a volte cromaticamente caratterizzato); alla struttura geometrica di base poi possono essere aggiunte altre parti quali: segmenti con andamento radiale o circolare (piccole parentesi), scintille e piccoli fuochi, il “nimbo” (disco di luce, talora cinto di raggi), il cielo dell’empireo. Queste caratterizzazioni rimandano certamente a significati simbolici, ma restituiscono anche dati di tipo osservativo-percettivo molto spesso raccontati nelle cronache. E’ il caso dell’effetto dei cerchi di Airy, generati dalla diffrazione della luce nella cornea, oppure di quei leggeri aloni che appaiono intorno ad una sorgente molto luminosa e dovuti alla rifrazione della luce da parte di cristalli di ghiaccio presenti nell’atmosfera, descritti anche da Diodoro Siculo e da Cicerone, per cui una sorgente puntiforme o quasi appare circondata da cerchi. L’effetto è probabilmente rappresentato nella stella degli affreschi di S. Pietro in Valle a Ferentillo (TN, 1182 ca.) e Sant’Urbano alla Caffarella (Roma, 1011 ca.), verosimilmente riconducibile a due importanti supernovae datate 1006 e 1181 [4, 6]. La SN1006 è stata, a quanto sappiamo, la supernova più brillante che sia stata visibile dalla Terra in epoca storica. Apparsa nella

costellazione del Lupo tra il 30 aprile e il 1 maggio del 1006, fu descritta da osservatori in Svizzera, Egitto, Iraq, Cina e Giappone: i dati storici e quelli astrofisici ricavati dalle misure effettuate su quanto ancora oggi si può osservare dei resti di quell’esplosione ci dicono che arrivò ad una magnitudine visuale di circa -7.5, cioè più di 1000 volte la luminosità di Venere al suo massimo [7]. Ancora all’effetto dei cerchi di Airy può essere riferita la rappresentazione dell’adorazione dei magi del santuario di Santa Maria della Misericordia ad Albi (già Lavagnola, Savona, 1345 ca.) in cui la brillantezza della stella dorata su cerchio nero è evocata attraverso molti cerchi concentrici incisi nella pittura d’oro del cielo-sfondo (fig. 3).

La brillantezza di una cometa o di una nuova stella era un dato annotato dagli antichi astronomi come ci testimoniano le osservazioni antiche e medioevali degli astronomi cinesi [5, 8] così come vedremo nel paragrafo seguente. Nel caso dei nostri reperti l’evocazione del dato di brillantezza può essere stato ricercato attraverso la dimensione notevole dell’astro o della nuvola luminosa che lo circonda, e da “virgole” e scintille. Tra i 38 astri di dimensioni molto grandi occorre ricordare la stella del chiostro del duomo di Monreale (fig. 4), racchiusa in un cerchio al cui interno sono rappresentate piccole stelle, la cui datazione 1174-1179 è molto prossima alla supernova del 1181. A questo evento potrebbe forse essere ricollegato anche il grande cerchio raggiato del duomo di Fidenza (1180-1220, fig. 6), e le grandi stelle della porta bronzea del duomo di Benevento (fine XII sec.). Il grande astro “esplodente” nel capitello della chiesa di Santa Maria Porclaneta (Rosciolo dei Marsi, inizio XI sec., fig. 8) potrebbe invece riferirsi alla SN1006.

Un altro elemento probabilmente utilizzato per evocare la brillantezza è la tipologia “a sole” cioè astri che hanno una resa sferica tridimensionale: solo 22 delle stelle rappresentate è catalogabile secondo questo aspetto formale, mentre le stelle per le quali non è possibile contare il numero dei raggi (cioè astri di varia forma) sono 53. La tipologia “a sole” inizia a diffondersi nel secolo XIV: la troviamo nell’abbazia di Pomposa (1336-1361), nell’adorazione dei Magi di Bartolo di Freddi (Siena, 1385-88), nell’adorazione dei Magi di Giovanni da Milano (1360-63). Ad un grande sole può essere riferita la grande massa luminosa spesso accompagnata da un angelo sovrapposto (nimbo) segnata radialmente da linee come nella Cappella della Sacra Cintola affrescata da Agnolo Gaddi da Prato (1392-95) e nella cappella Strozzi di Andrea di Cione Arcagnuolo, detto l’Orcagna (chiostro dei morti, Santa Maria Novella, 1348 ca.). La stella-sole si consolida nel XV secolo e viene utilizzata, tra l’altro, da Lorenzo Monaco (angelo+nimbo), da Gentile da Fabriano nella sua bellissima adorazione (1423, fig. 9), da Bicci di Lorenzo (angelo+nimbo), da Stefano da Verona o da Zevio (1434-35), da Stefano di Giovanni detto il Sassetta (1435 ca), da Sandro Botticelli (1475) e da Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio (1492 ca.). I reperti per i quali è chiara la presenza di una coda, o di un raggio sensibilmente più lungo degli altri, è veramente limitato, sono solo 17 le vere e proprie comete provviste di una indiscutibile larga coda (7% ca. sul totale degli astri), 32 le stelle rappresentate con l’empireo e un fascio luminoso stretto e inclinato (iconografia bizantina) e 34 quelle da cui parte un raggio stretto e verticale.

Le più imponenti comete sono quella di Castelseprio (Varese, Chiesa di Santa Maria Foris Porta) datata VII-VIII secolo [3], e quella del Palazzo della Ragione di Padova datata 1250 ca. (fuori-schema di rappresentazione). Una estesissima bibliografia sussiste

sulla cometa di Giotto rappresentata nella cappella degli Scrovegni di Padova (terminata nel 1306), a cui bisogna poi aggiungere la cometa stilizzata della Basilica inferiore di Assisi (Giotto e scuola, 1306-1311), di Cividale del Friuli (fine 1300), della cappella Bolognini (Bologna 1410), della Sagra di Carpi (1430-40), la tavola di Sebastiano Mainardi Bastiano (fine 1300 - inizio 1400), il dipinto di Liberale di Iacopo da Verona (1492 ca.) e il portale di Piacenza (1250 ca., fuori-schema di rappresentazione) (fig. 2). La cometa di Giovanni da Modena, affrescata in ben 3 degli otto episodi del ciclo dei magi in San Petronio a Bologna, mostra una grande luminosità dell’astro come si evince dal gesto di uno dei magi che avvicina una mano al viso.

3. Il colore delle stelle nelle osservazioni antiche e medioevali cinesi