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La «scuola di Rivara» e il verismo

La poesia del vero e la poesia del colore nei pittori della «scuola di Rivara»

2. La «scuola di Rivara» e il verismo

In Italia, furono soprattutto i pittori piemontesi, in particolar modo i pittori della «scuola di Rivara», e tra questi, specialmente, A. D’Andrade, a sventolare con maggiore vigore la bandiera del rinnovamento pittorico attraverso la ricerca del vero nella natura, anzi, dell’intima imitazione della natura, nella difficile contrastata battaglia per l’affermazione in Italia della nuova arte. A parere dello studioso Corrado Maltese, infatti, il merito della rivoluzione che culminò con la nascita e lo sviluppo del movimento verista è stato ingiustamente attribuito solo ai Macchiaioli, dovendo, invece, ascriversi al concorso di molte spiccate personalità pittoriche

sparse in tutt’Italia: dal sud al nord della penisola [5], nonché, si ritiene, alle scuole di rinnovamento pittorico che, quasi contemporaneamente, stavano sorgendo in Italia come la Scuola grigia in Liguria (1860), La Scuola di Pergentina a Firenze (1862), la Scuola di Resina a Napoli (1864) e la «scuola di Rivara» a Rivara nel Canavese (1860) [6]. Ognuno di loro, infatti, contribuì con il proprio specifico apporto a determinare quel grande evento corale, rappresentato dal movimento verista italiano che cambiò in certo qual modo, almeno per quanto riguarda la pittura paesaggistica, il volto della pittura in Italia nella seconda metà dell’Ottocento. Scriveva il conte Sanbuy nell’Album della Promotrice del 1891: «il manipolo dei baldi giovani si serrò attorno a Carlo Pittara. Erano rivoluzionari, nemici alle teoriche[…]. Salutiamo il forte nucleo che chiamossi un dì la Scuola di Rivara […]» [7]. La «scuola di Rivara» per la quale la campagna di Rivara, piccolo centro del Canavese, fu quello che la foresta di Fontainebleau rappresentò per la Scuola di Barbizon, non fu, a differenza di quella francese, una vera Scuola [8]. C. Pittara ne fu l’animatore e la figura centripeta e polarizzante ma non fu mai un maestro [9] e non ebbe mai discepoli al pari di Antonio Fontanesi che, pur non avendo fondato una scuola, ebbe però molti discepoli che nutrirono per lui la devozione e il rispetto che si portano solo a un maestro. Essa fu, invero, un cenacolo di artisti [10], anzi, fu l’unico cenacolo artistico piemontese. Ne fecero parte, oltre che pittori, artisti che erano, al tempo stesso, architetti, restauratori, archeologi, decoratori, e persino musicisti e miniaturisti che, tutti insieme, contribuirono a dare lustro all’arte piemontese della seconda metà dell’Ottocento e, in particolar modo, alla pittura paesistica: dando vita “ad un’arte che fa bene al cuore” e immettendola, a buon diritto, nel circuito del dominio artistico del tempo. L’inizio della sua attività si fa risalire al 1860 [11] quando, C. Pittara, di ritorno dal suo primo soggiorno parigino, cominciò a frequentare Rivara, ospite di suo cognato, il banchiere Carlo Ogliani che vi possedeva una villa nella quale accolse anche altri pittori che ogni estate, ovunque si trovassero, attratti dalla bellezza dei luoghi e dalla calda ospitalità della famiglia Ogliani, tornavano in quel piccolo borgo del Canavese, che in breve, divenne, così, una fucina di arti. La sua vita si protrasse dal 1860 per circa un ventennio ma il periodo più fecondo coincise con il decennio 1866-1876. È probabile che intorno al 1884 Rivara non fosse più che un ricordo [12]. Infatti, con la morte di Ernesto Rayper (1873), di Antenore Soldi (1877) e di Giulio Viotti (1878) e di Giuseppe Monticelli (1879), e con il mutamento di interessi di Federico Pastoris di Casalrosso, di Alfredo D’Andrade e di Alberto Issel che si dedicarono, i primi due, al restauro e all’archeologia e il terzo, al design e all’industria del mobile ma, soprattutto, con il definitivo trasferimento a Parigi di C. Pittara, la vita della «scuola di Rivara» era ormai giunta al suo termine. A partire, pertanto, dal 1860 Rivara divenne meta di un gruppo di giovani talenti che, in opposizione alle Accademie ed alle sue regole, propugnavano una pittura di paesaggio tesa a cogliere nella natura la poesia del vero, lavorando direttamente sul motivo. Nello stesso anno, infatti, C. Pittara incontrò a Nervi A. D’Andrade che ritornava da Ginevra; fu, probabilmente, in seguito a tale incontro, che il pittore portoghese, conducendo con sé E. Rayper e A. Issel, nonché lo spagnolo S. De Avendaño, andò a Rivara l’estate successiva. Subito dopo si unì a loro anche Eugenio Gignous da Milano. Tutti insieme poi organizzavano gite e visite ad amici che soggiornavano nei dintorni, andando, alcuni di loro, anche a

estraneo alla «scuola di Rivara» [13]. Del cenacolo di Rivara fecero parte, oltre ai già citati pittori, anche Ernesto Bertea e Adolfo D’Albesio. Essi dettero vita ad un’empatica comunanza di idee, ad un vivo e intelligente scambio di pensieri e sentimenti, da cui più tardi scaturiranno le spigliate idealità pittorica del «cenacolo realista» [14]. Tutte le estati tornavano a Rivara alla ricerca di motivi per la loro pittura dal vero ma anche per condividere un periodo di studio e di goliardica spensieratezza. Finita l’estate, essi tornavano al luogo ove possedevano lo studio: a Torino, a Genova, a Parigi, a Roma [15]. Tuttavia, si ripete, essi non appartennero ad una vera e propria Scuola. Essi non avevano programmi artistici né scopi da perseguire: a differenza della Scuola francese di Barbizon e delle Scuole italiane di Pergentina e di Resina. I pittori della «scuola di Rivara» condividevano, infatti, soltanto “idealità pittoriche”: nel senso che avevano in comune lo stesso modo di vedere e di rendere la realtà e di intendere l’arte [16]. Erano diversi l’uno dall’altro per carattere, storia personale e formazione artistica e quando giunsero a Rivara possedevano una personalità già matura e definita, forgiata su importanti esperienze fatte con maestri non solo italiani ma anche francesi e svizzeri che, se da un lato, li avevano influenzati, erano stati, d’altro canto, essenziali per la loro formazione e determinanti per la loro evoluzione e per la loro crescita. Erano per la maggior parte piemontesi, ma, nella «scuola di Rivara», era presente anche un’anima ligure costituita dai pittori genovesi Ernesto Rayper e Alberto Issel, mentre Serafín De Avendaño era spagnolo e Alfredo D’Andrade era portoghese. Il loro ideale era quello di ricercare e praticare un nuovo genere di pittura che però, non fu subito compresa dal pubblico abituato a quella oratoria accademica aulica che aveva caratterizzato la pittura piemontese di paesaggio nel primo quarto del XIX secolo, né da gran parte della critica più tradizionale che, infatti, gridò allo scandalo definendola sprezzantemente “arte dell’avvenire”. Con Alberto Pasini e Giacinto Corsi di Bosnasco, dagli strali di questa critica, si salvò solo C. Pittara. [17]. Egli infatti, pur nella novità dei temi proposti, (bellissimi le sue mucche e i suoi armenti), nella sostanza, si era mantenuto in linea con la tradizione paesaggistica piemontese anche per quanto riguarda i colori: abbastanza scuri e piuttosto freddi: con la quasi unica eccezione del dipinto “Sulle rive della Senna” che si distingue dalle altre composizioni non solo per la diversità del soggetto ma, anche e soprattutto, per l’inusitato studio cromatico. C. Pittara ritrasse la natura abbellendola un poco, nel modo suggeritogli dalla sua sensibilità: con ciò giustificando l’affermazione di Telemaco Signorini, secondo cui la «scuola di Rivara» «serbava sempre un resto di aspirazioni romantiche […]» [18]. In conclusione si può affermare che essa rappresentò il culmine di quel processo evolutivo di cui la pittura di Enrico Gamba, Angelo Beccaria, Carlo Piacenza ed Edoardo Perotti aveva costituito la fase iniziale, al termine del quale la pittura piemontese si liberò da ogni residuo limite imposto dalla tradizione e dai rigidi dettami accademici, acquistando una visibilità europea ed entrando in un contesto non più soltanto regionale ma anche nazionale.

Fig. 1 - Carlo Pittara, Cavalli da posta, (s.d). Olio su tela, 41,7 x 32,2 cm. Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris. Galleria D’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Credito Fotografico:

Gonella Foto, 1986

3. I pittori della «scuola di Rivara» tra la poesia del vero e la poesia del