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Come fare a meno degli oggetti finzionali.

PARTE TERZA Una teoria anti-esotista

Capitolo 5 Motivazioni general

5.1 Nominalismo austero.

5.1.2 Come fare a meno degli oggetti finzionali.

Il nostro nominalista tratta dunque il fenomeno del «riferimento astratto» in questo modo: gli

172Un modo per rendere conto di queste caratteristiche oggettive senza impegnarsi all'esistenza di entità universali

potrebbe essere quello di concepirle come attributi individuali, o tropi: v. Maurin (2018). Questa mossa non è però obbligata: dire che un'entità particolare ha certe caratteristiche oggettive potrebbe essere nient'altro che un modo impreciso (ma efficace) per dire che un'entità particolare è fatta oggettivamente così e così.

enunciati che sembrano riferirsi a entità universali non parlano davvero del mondo ma del linguaggio stesso. Questa strategia meta-linguistica è generalmente riconosciuta come la più efficace nel parafrasare, in chiave nominalista, i nostri discorsi ordinari su proprietà e relazioni. Ora, a me pare che l'analogia con i discorsi ordinari sui personaggi di finzione sia piuttosto diretta: usiamo enunciati «platoniani» come (M) al fine di registrare (e comunicare) certe convenzioni linguistiche; analogamente, usiamo enunciati finzionali come

(S) Sherlock Holmes è un detective

al fine di registrare (e comunicare) certe convenzioni narrative e, più in generale, raffigurative. Estendendo dunque il discorso dalle parole alle rappresentazioni, possiamo applicare a (S) la medesima strategia di parafrasi che abbiamo applicato a (M):

(S') Tutte le Sherlock|Holmes-rappresentazioni sono detective-rappresentazioni.173

Più precisamente: tutte le Sherlock|Holmes-rappresentazioni conformi a una certa pratica

raffigurativa (quella inaugurata da A. C. Doyle) sono detective-rappresentazioni. In linea di

principio, possiamo risalire all'origine stessa di queste pratiche e identificare l'essere umano (o gli esseri umani) in carne ed ossa da cui sono state inaugurate. C'è infatti un certo istante in cui Doyle ha iniziato a produrre rappresentazioni finzionali di un brillante detective che vive a Londra, fuma la pipa e suona il violino; e c'è anche un certo istante, non necessariamente identico al primo, in cui ha deciso di raccogliere queste rappresentazioni sotto l'etichetta 'Sherlock Holmes'. Da questi istanti iniziali ha quindi avuto origine una lunga e articolata catena causale che lega il modo in cui noi rappresentiamo Sherlock Holmes al modo in cui lo rappresentava Doyle, e il nostro uso del nome 'Sherlock Holmes' all'uso introdotto da Doyle.174 Questa catena causale è ciò che tipicamente chiamiamo tradizione narrativa o, più in generale, raffigurativa: un processo attraverso il quale si tramanda, da un parlante all'altro, un certo modo di usare nomi di finzione al fine di produrre certe rappresentazioni finzionali.

Ma cos'è, esattamente, una rappresentazione finzionale? È opportuno chiarire fin da subito

173Uso il simbolo '|' al semplice scopo di separare le singole parole in un'espressione composta.

174Naturalmente, espressioni come 'raffigurare (o rappresentare) Sherlock Holmes' non devono essere interpretate alla

lettera: si tratta di un modo di esprimersi puramente metaforico, che talvolta privilegiamo per la sua praticità. Quel che vogliamo davvero dire, a rigore, è qualcosa come 'produrre Sherlock|Holmes-rappresentazioni'. In effetti parliamo di Sherlock|Holmes-rappresentazioni, e non di rappresentazioni di Sherlock Holmes, proprio perché non sorga il sospetto che ci sia un qualche oggetto (esotico) che viene rappresentato.

questa nozione, dal momento che giocherà un ruolo centrale nelle pagine che seguono. In primo luogo, intendo usare il termine «rappresentazione» nella sua accezione più ampia: qualunque cosa che abbia la funzione di rappresentare (o raffigurare) qualcos'altro, senza restrizioni quanto al tipo di linguaggio o di supporto utilizzati. Così, ad esempio, se disegno su un foglio di carta un detective che fuma la pipa, con l'intenzione di raffigurare proprio Sherlock Holmes, avrò prodotto un certo tipo di rappresentazione. Ma sono Sherlock|Holmes-rappresentazioni anche le descrizioni verbali contenute nelle opere di A. C. Doyle (o nella mia mente in questo momento), nonché i fotogrammi di un film che abbia il celebre detective tra i suoi personaggi. Forse persino un brano di musica strumentale può essere considerato una Sherlock|Holmes-rappresentazione:175 diremo insomma che qualcosa è una rappresentazione a prescindere dal tipo di linguaggio (verbale o non verbale), e dal tipo di supporto (mentale o materiale), in/su cui viene prodotta.

In secondo luogo, deve essere chiaro che anche in questo caso non stiamo parlando di rappresentazioni intese come tipi, ma soltanto come token: istanze particolari e concrete di una certa rappresentazione. La fotografia appesa alla parete, la copia del libro che ho sulla scrivania, il dipinto conservato nella Pinacoteca Comunale, sono tutti oggetti che soddisfano appieno i requisiti di ammissione all'inventario del nominalista. Ora, supponiamo che il libro sulla mia scrivania sia

Guerra e pace. Come è noto, nel capolavoro di Tolstoj sono contenute tanto descrizioni di

Napoleone Bonaparte (personaggio storico, realmente esistito) quanto descrizioni di Pierre Bezuchov (personaggio di finzione, nato dalla fantasia dello scrittore): conteranno tutte come finzionali oppure no? Intuitivamente sì, dal momento che appartengono tutte a un'opera di finzione. Per rendere più precisa quest'idea, però, bisogna definire a quali condizioni diremmo che una rappresentazione è finzionale. In prima battuta, si può provare così:

(F) Una rappresentazione R è finzionale solo se R non intende raffigurare oggetti esistenti oppure R non intende raffigurare oggetti esistenti in modo del tutto veritiero.

La disgiunzione dovrebbe catturare l'intuizione per la quale possono esserci rappresentazioni finzionali tanto di personaggi fittizi quanto di personaggi reali. Quando Tolstoj racconta di Napoleone, in Guerra e pace, intende parlare proprio del Napoleone reale; tuttavia, dal momento che sta scrivendo un romanzo piuttosto che una cronaca, non si preoccupa affatto che tutto ciò che dice su Napoleone risulti vero nella realtà. Tipicamente, anzi, i personaggi storici che compaiono in opere di finzione vengono rappresentati in maniera non del tutto fedele, anche solo per il fatto che gli eventi narrati sono (almeno in parte) frutto dell'immaginazione.

Ad ogni modo, ho formulato (F) in questo modo perché la condizione espressa dalla disgiunzione è necessaria ma non sufficiente. Ci sono casi, infatti, in cui la condizione è soddisfatta e tuttavia la rappresentazione non è finzionale ma (si potrebbe dire) mendace: per esempio, la bugia o l'inganno. Si pensi a un film che rappresenta personaggi ed eventi fittizi, o anche personaggi ed eventi reali in maniera falsata, e che viene spacciato da un regime totalitario per un documentario sulla produzione industriale dello Stato. Un film del genere verrebbe realizzato e distribuito con la mera intenzione di ingannarne i fruitori a fini propagandistici. Al contrario, la finzione di cui ci stiamo occupando è sempre dichiarata: il suo scopo non è ingannare ma piuttosto intrattenere, come testimoniano le avvertenze che si trovano spesso all'inizio di un film o di un romanzo – qualcosa come «gli eventi narrati sono frutto di fantasia; ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale». Può darsi che, per pura coincidenza, l'autore finisca col rappresentare oggetti esistenti, ma (come ci assicura la nostra condizione) non era sua intenzione farlo.

In ultima analisi, sembra che siano proprio le intenzioni dell'autore a determinare il carattere e gli scopi di una rappresentazione. Può capitare che i fruitori di un'opera di finzione la scambino per una cronaca – ad esempio, è plausibile nel caso in cui tra la creazione dell'opera e la sua prima fruizione vi sia un'ampia cesura temporale – ma sarebbe sufficiente conoscere le intenzioni dell'autore per decidere se le rappresentazioni che la compongono siano finzionali oppure no. Insomma, alle origini di una tradizione narrativa c'è sempre un essere umano in carne ed ossa che inizia a produrre rappresentazioni con lo scopo di intrattenere altri esseri umani; nei casi più fortunati ci riesce bene, e in quelli ancor più fortunati produce addirittura opere d'arte.

In questo senso diciamo che Pierre Bezuchov è una creatura di Tolstoj e che Kafka ha creato Gregor Samsa. Ma questo modo di esprimersi, che l'artefattualista prende molto sul serio (§ 1.1), è in verità puramente metaforico. Senza dubbio, il linguaggio figurato ha in questo caso il pregio di una notevole efficacia comunicativa. Fuor di metafora, però, quel che vogliamo dire non è che Tolstoj e Kafka hanno davvero creato oggetti astratti, collocati al di fuori dello spazio-tempo, ma (più cautamente) che Tolstoj e Kafka hanno prodotto rappresentazioni finzionali. Pertanto, quando parliamo di Bezuchov, stiamo in effetti parlando di Bezuchov-rappresentazioni, e quando quantifichiamo su personaggi di finzione stiamo in effetti quantificando su (collezioni di) rappresentazioni finzionali. L'idea centrale della mia proposta, che proverò a sviluppare più in dettaglio nelle pagine che seguono, si può formulare così: da un punto di vista «anti-esotista», cioè nominalista e attualista insieme, l'approccio metafisico più fecondo consiste nel concepire i personaggi di finzione come pluralità di rappresentazioni finzionali.