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I ficta sono abitanti di mondi possibili?

Il possibilista è il filosofo che, nel § 0.1, abbiamo chiamato B. La sua soluzione al paradosso dell'esistenza sarebbe strutturalmente analoga a quella del filosofo A: non si tratta di rigettare

54Cfr. anche Reicher (2014), n. 23. 55V. Lewis (1986), p. 7, n. 3.

56Naturalmente, c'è chi è disposto a correre il rischio: Yagisawa (1988), ad esempio, estende il realismo modale à la

Lewis anche ai mondi impossibili, trattandoli quindi come oggetti concreti ed esistenti.

qualche premessa ma di mostrare che la conclusione non è così inaccettabile come sembra. Il possibilista osserverebbe infatti che il predicato di esistenza, nel nostro argomento paradossale, è talvolta ristretto al dominio delle cose attuali:

(P1'') Se nego l'esistenza (attuale) di un oggetto, mi riferisco a questo oggetto;

(P2'') Se mi riferisco a un oggetto, questo oggetto esiste (nel mondo attuale oppure no);

(C'') Se nego l'esistenza (attuale) di un oggetto, questo oggetto esiste (nel mondo attuale oppure no).

L'idea è che, negando l'esistenza di Pinocchio, intendo dire che Pinocchio non esiste nel mondo attuale mentre, affermandola, intendo dire che esiste simpliciter, senza restrizioni (infatti, si dà il caso che esista in qualche mondo meramente possibile). Inoltre, il filosofo B sostiene che Pinocchio è un abitante concreto di (almeno) un mondo possibile, il quale è a sua volta un'entità concreta proprio come il nostro. Naturalmente, il fatto che il possibilista sia anche un realista modale può far pensare a David Lewis come a un buon candidato per il ruolo del filosofo B.

In particolare, infatti, Lewis (1978) è un tentativo di analizzare le condizioni di verità di enunciati come 'Sherlock Holmes è un detective', o 'Pinocchio è un burattino', ricorrendo a quei mondi possibili in cui le cose stanno così come si narra nella storia rilevante.58 Tuttavia, come ha osservato Sainsbury (2010), ciò non comporta di per sé alcuna presa di posizione intorno all'esistenza, o alla natura, degli oggetti finzionali: i vari individui possibili, di cui Lewis si serve per sviluppare una semantica della finzione, esistono, ma nessuno di loro è Sherlock Holmes.59 D'altra parte, chi volesse sostenere il contrario, si troverebbe di fronte a una domanda cui è difficilissimo rispondere: quale, fra i tanti, è Sherlock Holmes? Come vedremo subito, questa e altre difficoltà sembrano rendere impraticabile la via del possibilista sugli oggetti finzionali.

1.3.1 Un argomento contro il possibilismo.

Il limite più grave del possibilismo è ovvio: alcuni ficta sono contraddittori, e in quanto tali non possono abitare mondi possibili. Questa semplice considerazione sarebbe già sufficiente a scartare la proposta del filosofo B.60 Ci sono però altre buone ragioni contro la tesi che gli oggetti finzionali sono abitanti (concreti ed esistenti) di mondi possibili (concreti ed esistenti): ad esempio, il fatto che l'esistenza di Sherlock Holmes, e il suo essere un detective che vive in Baker Street, sarebbero

58Se non altro è questa l'ipotesi iniziale, raffinata poi più volte nel prosieguo dell'articolo – ma si tratta di sviluppi sui

quali, in questa sede, possiamo senz'altro sorvolare.

59Cfr. Sainsbury (2010), pp. 82-3.

60Si noti che un possibilista potrebbe eludere il problema adottando la posizione di Yagisawa (1988), cui abbiamo

del tutto indipendenti dalle attività mentali di A. C. Doyle (un problema analogo, come si ricorderà, affligge tipicamente le teorie neo-meinonghiane). Oppure, ancor più grave, il «problema della selezione»61 (quale Sherlock Holmes?) cui abbiamo appena accennato.

Quest'ultimo trova una formulazione particolarmente efficace in un celebre argomento di Kripke (1972). La tesi da dimostrare è che i nomi di finzione non possono denotare alcun individuo concreto, possibile o attuale che sia. Sul versante epistemologico, ragioniamo così: nel nostro mondo, non è mai esistito un essere umano in carne ed ossa con tutte le proprietà attribuite a Sherlock Holmes da A. C. Doyle, ma supponiamo che si scoprisse il contrario; cosa dovremmo concluderne? Nel nostro scenario ipotetico, ci sono due casi possibili. Primo: Doyle non sa nulla dell'uomo in questione o delle sue imprese, e il fatto che i suoi racconti di fantasia corrispondano perfettamente a eventi reali è una pura (per quanto strabiliante) coincidenza. Pertanto, Doyle non si riferisce al nostro detective in carne ed ossa (del quale ignora l'esistenza) quando narra le avventure di Sherlock Holmes. Il nome 'Sherlock Holmes', così come viene impiegato nelle storie rilevanti, denoterebbe quell'abitante (concreto) del mondo attuale soltanto se Doyle, avendone conoscenza, si riferisse a lui intenzionalmente. Questo è per l'appunto il secondo caso: c'è una catena causale che lega il detective reale della nostra ipotesi all'uso che A. C. Doyle fa del nome 'Sherlock Holmes' – ma quest'ultimo, allora, non è un nome di finzione.

Per prima cosa, abbiamo stabilito dunque che i nomi di finzione non possono denotare individui attuali. E se denotassero, invece, individui possibili? Nel mondo attuale, non esiste un detective di nome Sherlock Holmes che vive a Londra, è amico del dottor Watson e risolve casi complicati grazie al suo acume straordinario. Senz'altro, però, potrebbe esistere: c'è un mondo possibile in cui le cose stanno esattamente così come viene narrato nei racconti di A. C. Doyle. E fin qui tutto bene. Il problema è che, di mondi del genere, ce n'è un'infinità: le storie rilevanti, infatti, sono incomplete, nel senso che tacciono su moltissimi aspetti (in verità, quasi tutti) della realtà che descrivono. Sherlock Holmes, ad esempio, ha sicuramente un certo numero di capelli, ma le storie non ci dicono se questo numero è pari o dispari. Tra i mondi in cui si verificano gli eventi narrati da A. C. Doyle, pertanto, ce ne sarà (almeno) uno in cui Sherlock Holmes ha un numero pari di capelli e (almeno) uno in cui ne ha un numero dispari, e naturalmente si tratta di due possibilia diversi. Quale tra questi due (e tra gli infiniti altri) è denotato dal nome 'Sherlock Holmes', nell'uso di A. C. Doyle? Le descrizioni che ricaviamo dalle storie rilevanti non ci consentono di determinare un unico individuo possibile quale riferimento del nome.

Insomma, ci sono troppi candidati e nessun criterio per privilegiarne uno a scapito degli altri.

Per di più, se pure fosse possibile selezionare quello giusto, resterebbe il problema di spiegare in che modo possiamo riferirci a un individuo che esiste in un mondo dal quale siamo del tutto isolati causalmente. A ben guardare, questa difficoltà accomuna in un certo senso tutte le teorie realiste sugli oggetti finzionali. Il realista forte, come abbiamo visto, sostiene che i nomi di finzione denotano individui, e l'individuo denotato non può che essere o non concreto o non attuale o non esistente. Ma come si spiega, in ogni caso, il riferimento (strettamente linguistico o anche genericamente intenzionale) a oggetti che sono al di fuori dello spazio-tempo e con i quali non possiamo avere interazioni causali? Naturalmente, i realisti possono tentare diverse soluzioni. Un artefattualista à la Thomasson, ad esempio, si appellerebbe al fatto che i personaggi di finzione, per quanto esotici, dipendono ontologicamente da individui concreti con cui possiamo interagire causalmente, e parlerebbe quindi di un quasi-riferimento.62 Un meinonghiano del terzo tipo può far notare che ci sono delle strategie, dovute a Kaplan (1973) e Salmon (1987, 1998), che ci consentono di riferirci univocamente a certi individui possibili – ma non valgono, ad esempio, proprio per gli oggetti finzionali.63 Ad ogni modo, malgrado gli sforzi degli inflazionisti, la questione rimane senz'altro aperta.64

62Cfr. Thomasson (1999), p. 47. Ne abbiamo parlato nel § 1.1. 63Cfr. Berto (2010), pp. 250-1.

Capitolo 2