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Sullo studio della storia

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 65-68)

3. Sull’ utilità e il danno della storia per la vita

3.6 Sullo studio della storia

Portata a termine l’analisi di tutti i possibili rapporti tra storia e vita, sul fronte delle utilità e dei danni rispettivi, Nietzsche ritorna a considerare il suo stesso tempo. Ritorna come agli inizi del testo il consueto tono lessicale che si svolge per categorie

101 Cfr. F. Nietzsche, Ecce Homo, cit., p. 11.

sintomatologiche, patologiche, quadri clinici103. Il sintomo principale della malattia

storica secondo un Nietzsche, potremmo dire, del tutto schilleriano, è la scissione dell’uomo moderno, il singolare contrasto tra una dimensione interiore ed una esteriore giustapposte e incommensurabili. Questo contrasto si rispecchia nella divaricazione filosofica tra teoria e prassi, ovvero nell’impossibilità di condurre una vita filosoficamente fondata.

Con questo rumoreggiare si rivela la qualità più propria di questo uomo moderno: lo strano contrasto di un interno a cui non corrisponde nessun esterno, e di un esterno a cui non corrisponde nessun interno, un contrasto che i popoli antichi non conoscono104.

Il sapere, che viene preso in eccesso, «contro il bisogno» dice Nietzsche, utilizzando una metafora fisiologica, il sapere non assimilato e inassimilabile da quella forza plastica interna che fa la vita individuale, non riesce ad essere riconvertito in una prassi vitale e resta dunque in quel ricettacolo universale, nello stato di pura cognizione, che «l’uomo moderno designa con tanta superbia l’ “interiorità” a lui propria».

Ecco dunque che matura l’ottica inattuale, e che, in sostanza, è Nietzsche stesso ad esercitare un senso storico-critico: per l’antichità questo contrasto è inconcepibile, egli sostiene, mentre la «cultura moderna» è identificabile esattamente per mezzo di questo contrasto.

La nostra cultura moderna non è niente di vivo proprio per questo, che non può essere affatto concepita senza questo contrasto, vale a dire essa non è affatto una vera cultura, ma solo una specie di sapere intorno alla cultura; essa si ferma al pensiero della cultura, al sentimento della cultura, non ne viene fuori una risoluzione di cultura105.

L’ipertrofia della coscienza paralizza l’azione, per cui ogni forma di sapere non si traduce in una forma di agire, ma si cristallizza in una cognizione fine a se stessa. Di

103 Cfr. Ivi, p.39: «In cinque riguardi mi sembra che la saturazione di storia di un’epoca sia ostile e

pericolosa per la vita: da un tale eccesso viene prodotto quel contrasto fra esterno e interno di cui si è finora parlato, e da esso la personalità viene indebolita; per questo eccesso un’epoca cade nella presunzione di possedere la virtù più rara , la giustizia, in grado più alto di ogni altra epoca; da questo eccesso gli istinti del popolo vengono turbati; e al singolo non meno che alla totalità viene impedito di maturare; da questo eccesso viene istillata la credenza sempre dannosa nella vecchiaia dell’umanità, la credenza di essere frutti tardivi ed epigoni; per questo eccesso un’epoca cade nel pericoloso stato d’animo dell’ironia su se sessa, e da esso in quello ancora più pericoloso del cinismo».

104 Ivi, p. 32. 105 Ibidem.

rimando, se il cuore dell’esistenza si sbilancia nel ricettacolo di cognizioni che è l’interiorità, la dimensione esteriore e reale ne soffrirà danno, non verrà più considerata tale: una forza plastica ripiegata su se stessa, nel tentativo di amministrare funzionalmente quello sciame di conoscenze che investono l’umanità moderna, si atrofizzerà. Il risultato di questo eccesso di sapere informa una natura che è debole e incapace di porsi nei confronti della realtà.

Ne nasce un’abitudine a non prendere più sul serio le cose reali, ne nasce la «personalità debole», secondo la quale il reale, l’esistente, lascia soltanto una scarsa impressione; alla fine si diventa all’esterno sempre più indulgenti e comodi, e si allarga il pericoloso abisso fino all’insensibilità per la barbarie106

Per dare la dimensione di quanto artisticamente e totalmente Nietzsche abbia in conto l’idea di cultura, come comunione di pensiero e azione, di stile del pensiero e stile della vita, si tenga presente che egli richiama in questo testo la definizione di cultura che ebbe a dare nella sua stessa Inattuale su David Strauss.

La cultura di un popolo in contrapposizione a quella barbarie è stata una volta con un certo diritto, io credo, definita come unità di stile artistico in tutte le manifestazioni vitali di un popolo107.

«A quali mezzi ora por mano?» si chiede Nietzsche, se tutto quello che resta a questa modernità è un bagaglio ipertrofico di conoscenze? Il mezzo è la conoscenza stessa: come prima aveva già sostenuto, bisogna fare in modo che il sapere volga il suo pungolo contro se stesso, in modo da innestare un nuovo bisogno: è dai nuovi bisogni che si riplasmano nuove nature e che, sopra ogni cosa, si stabilisce un raccordo tra il piano della storia (cioè della conoscenza) e della vita (cioè dell’azione).

A quali mezzi deve ora por mano? Ma cosa gli rimane d’altra parte se non la sua conoscenza profonda? Manifestandola, diffondendola e spargendola a piene mani, egli spera di piantare un bisogno: e dal forte bisogno nascerà un giorno la forte azione108.

Questo raccordo tra i due piani sancisce il recupero dell’unità della coscienza, così infelicemente scissa tra un’interiorità ed un’esteriorità incommensurabili. É questa per

106 Ivi, p. 34.

107 Cfr. F. Nietzsche, David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore, Adelphi, Milano 1992, p. 15. 108 Cfr. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, cit., p. 38.

Nietzsche la reale unità da reclamare, anche e soprattutto con il progetto inattuale, per il popolo Tedesco: un’unità che egli non concepisce con i mezzi attuali dell’economia politica marxiana o, prima ancora, della filosofia hegeliana della società civile. I suoi mezzi sono quelli inattuali e critici del filologo, quelli aristocratici che volgono lo sguardo alla filosofia presocratica e che, in specie dopo l’esperienza del neocriticismo langeano, assumono una forte caratterizzazione fisiologica.

E per non lasciare nessun dubbio su dove io prenda l’esempio di quella necessità, – continua Nietzsche – di quel bisogno di quella conoscenza, voglio fornire qui espressamente la mia testimonianza che l’unità

tedesca in quell’altissimo senso è quanto noi vogliamo e vogliamo più ardentemente della riunificazione

politica, l’unità dello spirito e della vita tedeschi dopo l’annientamento della antitesi tra forma e

contenuto, tra l’interiorità e convenzione109.

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 65-68)