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Il tipo dell’uomo storico e il tipo dell’uomo sovrastorico

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 54-58)

3. Sull’ utilità e il danno della storia per la vita

3.3 Il tipo dell’uomo storico e il tipo dell’uomo sovrastorico

Ma lasciamo agli uomini sovrastorici la loro nausea e la loro saggezza: oggi vogliamo piuttosto allietarci di cuore della nostra mancanza di saggezza e concedere a noi stessi, come uomini attivi e progressivi, come adoratori del processo una giornata buona. Sia pure la nostra valutazione della sfera storica soltanto un pregiudizio occidentale, purché almeno nell’ambito di questi pregiudizi progrediamo e non ci fermiamo81!

Colli nell’Introduzione aveva considerato questo momento del discorso nietzscheano un tentativo di salvare la identificazione schopenhaueriana di vita e agire, come agire inconscio, che sminuisce da un lato la portata della tesi per cui ogni storia è scadimento dalla vita, in quanto rammemorazione, e dall’altro la tesi per cui ogni agire è incosciente. In effetti parlando di pregiudizio occidentale è a Schopenhauer che Nietzsche si riferisce; come anche sembra assumere una fisionomia schopenhaueriana il ritratto dell’uomo non storico, schizzato poco prima di riportare (contraddittoriamente secondo Colli), l’intero discorso sull’utilità e il danno della storia per la vita entro il rapporto storia-vita, per la mediazione della forza plastica individuale; ciò che per noi è l’equivalente di una coscienza della temporalità e, almeno per quello che in tale testo giovanile è tematizzato, date le istanze coscienti di rammemorazione che ne fanno le componenti morali e identitarie, una vera e propria «coscienza storica».

Ascoltiamo il testo, mentre si definiscono i tratti salienti dell’uomo non storico; anche in questo caso siamo davanti ad un saggio di antropologia filosofica, perché vediamo definirsi un tipo umano in base alla sua ap-percezione, verrebbe da dire, del

tempo; e mentre Nietzsche si esprime riguardo l’esito di queste valutazioni, con estremo senso storico, parlando per l’appunto di «un pregiudizio occidentale», non si può fare a meno di notare l’affinità di queste considerazioni alla filosofia del pensiero selvaggio di Lévi-Strauss82.

Se uno fosse in grado di fiutare e respirare in numerosi casi questa atmosfera non storica, in cui ogni grande evento storico è sorto – scrive Nietzsche –, costui potrebbe forse, come essere conoscente, elevarsi a un punto di vista sovra storico, quale Niebuhr ha una volta descritto come possibile risultato delle considerazioni storiche83.

E, procedendo oltre, ponendosi la domanda sul senso dell’esistenza che per l’uomo storico è nel processo, quindi decentrata in uno squilibrio futurista, si continua:

col «no» dell’uomo sovra storico, il quale non vede la salvezza nel processo, e per il quale, al contrario in ogni momento il mondo è completo e tocca il suo termine. Cosa potrebbero insegnare altri dieci anni, che non abbiano potuto insegnare i dieci anni passati? (…) Di contro a tutte le maniere storiche di considerare il passato, essi giungono alla piena unanimità sulla proposizione: il passato e il presente sono la stessa identica cosa, cioè tipicamente uguali in ogni varietà, e costituiscono, come onnipresenza di tipi non transitori, una struttura immobile di valore immutato e di significato eternamente uguale84.

Ci chiediamo sino a che punto guadagnare una posizione sovrastorica sull’insieme delle considerazioni storiche non significhi guadagnare in realtà una posizione filosofica, per quanto pregna di istanze metafisiche e accompagnata da una forma sapienziale di conoscenza opposta alla immediatezza della vita. Molto interessante è la tipizzazione del pensatore sovrastorico, come interprete di geroglifici, quindi fuor di metafora, di addensamenti simbolici da decodificare sotto un profilo antropologico, che sorgono in risposta ai medesimi bisogni degli uomini, «tipicamente

82 Richiamiamo il titolo di uno degli ultimi scritti di Claude Lévi-Strauss, Lo sguardo da lontano,

Einaudi, Torino 1984. La formulazione sembra pregnante filosoficamente e, in un certo senso, l’anelito affine a quello nietzscheano. La teorizzazione lévi-straussiana dei presupposti del lavoro etnologico è commensurabile a quella della inattualità nietzscheana. Il lavoro etnografico, etnologico e, in ultimo, antropologico sottende una articolata pratica di ricerca, definizione, costruzione del proprio oggetto di studio (e di contemplazione); questa si involge in una dinamica anche distanziante, che pare quasi schiudersi in una sinossi speculativa sull’oggetto in questione: l’antropologo si accinge cioè a guardare da lontano il proprio oggetto di studio, una volta posta avanti a sé la totalità della «condizione umana». In una intervista a Paolo Caruso l’antropologo dice di sé: «Sono un teologo in quanto ritengo che l’importante non sia il punto di vista dell’uomo ma quello di Dio ovvero cerco di capire gli uomini e il mondo come se fossi completamente fuori gioco, come se fossi un osservatore d’un altro pianeta ed avessi una prospettiva assolutamente oggettiva e completa». Allo stesso modo cfr. Id., Il pensiero

selvaggio, Il Saggiatore, Milano 1976, in cui veniva teorizzata la differenza tra la concezione statica del

tempo selvaggio e quella dinamica del tempo occidentale. Naturalmente con questo breve richiamo, vogliamo rimanere al di qua dei contenuti del pensiero lévi- straussiano, in tutta la loro specificità.

83 Ivi, p.12. 84 Ivi, p. 14.

fissi», sostiene questo Nietzsche profondamente schopenhaueriano. Il punto da evidenziare non è solo la conclamata natura interpretante del pensare metafisico, cioè astorico (a questa altezza l’identificazione è legittima in Nietzsche), ma l’osservazione filologica, al limite di un’ottica strutturalista, che paragona l’insieme delle vicende storiche di popoli e individui alle «centinaia di lingue diverse», che rispondono sempre agli stessi bisogni, sicché «uno che capisse questi bisogni non potrebbe imparare niente di nuovo da nessuna delle lingue».

Se è vero, come Nietzsche sosterrà in un aforisma del primo volume di Umano, troppo umano, che gli errori dei grandi uomini sono migliori di molte verità dei più piccoli, e se è vero che la reale eredità delle filosofie sono i metodi, i materiali di costruzione delle loro architettoniche, ebbene è qui che dobbiamo segnalare la presenza di significativi materiali di costruzione, che verranno poi, si lasci dire, rifunzionalizzati in posizioni più mature. Innanzitutto abbiamo il tipo dell’uomo astorico, e correlativamente del pensatore sovrastorico, con un’esperienza del tempo schopenhaueriana, ma eticamente affine a quella dell’eterno ritorno, anzi: il rovesciamento del sentimento della temporalità, quindi della coscienza storica, in un’ eternità atemporale ne è quasi uno stadio preliminare. In secondo luogo, come prima si notava, la similitudine filologica: la natura ermeneutica e interpretante del pensiero genealogico della maturità, attinge la sua integrale identità proprio allo strumentario metodico della filologia, come scienza storica dell’antichità, storica tanto quanto la genealogia.

3. 4 Storia come scienza

L’acquisizione preliminare dei risultati di queste riflessioni nella seconda Inattuale sul rapporto tra ‘storia’ e ‘vita’, determinazioni che esistono come rappresentazioni rispetto

ad una coscienza storica, che è quella umana, individuale o collettiva, portano Nietzsche ad una conclusione: non esistono le condizioni di possibilità di un sapere storico che sia scientifico, scientifico nel senso moderno, fisico-matematico del termine.

Un fenomeno storico, conosciuto in modo puro e completo e ridotto a fenomeno di conoscenza è, per colui che lo ha conosciuto, morto: egli ha infatti riconosciuto in esso l’illusione, l’ingiustizia, la cieca passione, e in genere tutto l’orizzonte terrestremente offuscato di questo fenomeno e insieme appunto la sua potenza storica. Questa potenza è ora per lui, come sapiente, divenuta impotente: ma forse non ancora per lui, come vivente85.

Ritorniamo così alla giustapposizione iniziale di storia e vita: una coscienza storica ipertrofica di ciò che è vita, di assoluto appannaggio dell’istinto rammemorante, è una dissoluzione della vita stessa; è un sapere intorno al fenomeno della vita, non vita. Affinché un animale costitutivamente storico, suo malgrado, quell’animale in grado di fare promesse che è l’uomo, come Nietzsche dirà nella Genealogia della morale, si approssimi a vivere, deve agire in lui un istinto non storico, una forza re-attiva di dimenticanza: questo tipo d’uomo, ciò che non vince, sostiene Nietzsche, lo sa dimenticare. Ecco dunque individuato ‘un criterio selettivo naturale’ della personalità forte in Nietzsche. Essa sopravvive al suo passato, perché riesce a trasfigurarlo artisticamente in una rappresentazione vitale. Bisogna tenere ben fermo questo punto: una tale forza plastica diventerà già con Umano, troppo umano, con mossa feuerbachiana, il ricettacolo della facoltà di esprimere giudizi morali, illusori ma letificanti; e questi giudizi processati coscientemente si ripercuotono sulla attività vitale umana.

Possiamo comunque constatare a questo proposito solo che molti nuclei tematici e problematici inquadrati nella Inattuale troveranno risposte nuove nei testi tardi. Uno dei più significativi è quello riguardante il tentativo di riconciliazione asintotica di fede (come immediata fede nella esistenza di quanto si ritiene reale) e sapere, nella immediatezza intuitiva della rappresentazione ‘vita’. Un altro momento significativo è il

tentativo di concettualizzazione della forza plastica, come concrezione di istinti opposti, e ricettacolo di giudizi di valore, dunque morali, sulla vita. E, ancora, la tipizzazione filosofico-antropologica dell’animale umano come animale storico: lo identifica una coscienza storica della temporalità, che cresce quasi patologicamente sulla sua originaria animalità astorica. La genealogia risponderà, potremmo dire, congetturalmente anche a questa paradossale escrescenza ipertrofica di una coscienza storica sull’animalità vivente, divenuta cioè capace di ricordare.

3.5 Storia monumentale, storia antiquaria, storia critica: i tre tipi di relazione

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 54-58)