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Storia (come coscienza storica) e vita

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 40-46)

3. Sull’ utilità e il danno della storia per la vita

3.1 Storia (come coscienza storica) e vita

Nella Nota introduttiva alla Inattuale sulla storia, tradotta da Sossio Giametta, Giorgio Colli esordisce chiaramente parlando di questo testo come di un «canone dell’antistoricismo». Del resto, è questo il passaporto identificativo con cui l’Inattuale sulla storia ha attraversato anni di letteratura bibliografica e di studi sul tema. Basta aprire un Lessico base su Nietzsche61 per veder comparire, e a buon diritto, una voce dedicata all’antistoricismo del filosofo, se vogliamo stare ad una ricezione più europea, internazionale del tema, in cui confluiscono contributi intellettuali di diversi studiosi; ma stando ad una ricezione anche più italiana, nel Dizionario filosofico di Abbagnano-

60 Cfr. F. Nietzsche, Sull’ utilità e il danno della storia per la vita, cit., p.5.

Fornero sul tema e alla voce antistoricismo si trova Nietzsche in prima linea62. Le

informazioni a riguardo sono però parzialmente contraddette dalla voce Genealogia riportata nello stesso volume. Potremmo chiederci, in maniera nietzscheana, se questo è un sintomo; se questo continuo spaccarsi della letteratura scientifica sul tema “storia” in Nietzsche, in due corni che si contraddicono tra loro, di cui, è da ammettersi, quello antistorico è molto più pronunciato e fortificato da una ricezione davvero possente e continua, sin dai primi momenti di pubblicazione di Nietzsche ad oggi, sia il segno di qualcosa.

Per noi, la semiotica di questa parossistica vita della filosofia nietzscheana, che si alimenta esattamente nel solco delle contraddizioni che concettualizza, che nella significazione e nell’esibizione di tali contraddizioni trova senso, ha un peso: a nostro avviso, la sua intera filosofia, e la vita della sua filosofia, è sperimentalmente significata nella rappresentazione della scissione, concepita in senso hegeliano e, perché no, schilleriano.

Come caso esemplare di questo stato di cose nella letteratura rispetto al tema, potremmo prendere in considerazione la posizione di Colli e Montinari: entrambi fondatori e curatori dell’edizione italiana, la prima edizione critica integrale dei testi di Nietzsche, le cui opinioni vantano sotto molti rispetti un primato di intimità ed esperienza dei testi nietzscheani. La posizione di Colli e Montinari è rappresentativa dello stesso tipo di andamento fluttuante che si riscontra in gran parte della più significativa storia bibliografica su Nietzsche: Colli accoglie con più limpidità il versante schopenhaueriano della filosofia nietzscheana, mentre Montinari è sensibile alle istanze, certo filosofiche, ma non strettamente metafisiche come quelle che sono in prima linea nella filosofia del giovane Nietzsche, bensì a quelle storico-filosofiche. Di

62 Cfr. N. Abbagnano, G, Fornero (a cura di), Dizionario di Filosofia, UTET, Milano 1998, in particolare

questa singolare esperienza del corpo filosofico nietzscheano, restituita poi nella forma di una propria filosofia, come nel caso di Colli con una vera e propria filosofia dell’espressione, o di Montinari con un saggio in risposta alla domanda “Che cosa ha detto Nietzsche?”, i due intellettuali italiani sono un simbolo imprescindibile. Colli, il filosofo inattuale allievo delle antichità greche, e presocratiche, che si fa portatore del messaggio più giovanile di Nietzsche, che promuove un progetto editoriale inattuale, propugnando l’esigenza di una vera e propria «azione Nietzsche» e concependo il filosofo tedesco come una entelechìa, e Montinari, il sobrio storico, allievo di Cantimori, così pacatamente e devotamente assorto nell’opera di edizione e curatela delle opere nietzscheane, da identificarsi nella compostezza storicizzante e amante delle «piccole cose prossime» del Nietzsche di Umano, troppo Umano, così vicino alla natura filologica, ascetica e disciplinante, del giovane Nietzsche. Montinari, scherzosamente ricordato come il duca di Weimar, nei suoi appunti sulle vicende della edizione, non nascondendo la sofferenza e l’intimo distacco dalle posizioni ultime del maestro e collega Colli, cerca di fare i conti con se stesso e la propria costituzione intellettuale: l’etica della sua prassi intellettuale di storico, richiama il motto nietzscheano che si ritrova anche fra gli appunti del filosofo: «tutto comprendere è tutto perdonare ed io, come storico, capisco tutti», annota il Montinari63.

Il presupposto inconfessato di questa ricerca, volendolo esibire in un’ottica genealogica, è l’affinità con l’approccio à la Montinari, il tipo di approccio che privilegia le tematiche storiche e le problematiche storicistiche, per quanto esse siano adombrate dalla letteratura più incentrata su questioni metafisiche, estetiche accostate alla giovanile filosofia dell’arte schopenhaueriano-wagneriana, o dal tentativo di inquadrare il rivolgimento illuminista di Nietzsche come un repentino e inatteso

63 Cfr. G. Campioni, Leggere Nietzsche: alle origini dell’edizione Colli-Montinari con lettere e testi

abbandono delle istanze precedenti, e squilibrata dentro le rotture e i segni di discontinuità, più che nella continuità e la persistenza, dentro Nietzsche, di un pensiero sulla relazione tra istanze contraddittorie e la significazione delle stesse.

Lo stesso tipo di fenomeno, macroscopicamente individuato negli andamenti della letteratura bibliografica, ci sembra si verifichi nella Nota introduttiva, che si richiamava sopra, di Colli al testo della Inattuale. «Canone dell’antistoricismo», viene definita l’opera, e si avanza l’invito a non tentare una storicizzazione delle intuizioni in esso esibite da Nietzsche, per evitare di incorrere nella stessa dinamica degenerante stigmatizzata dal filosofo: se storia e ricordo comportano scadimento della vita, «se il suo eccesso porta al dissesto biologico – e Nietzsche non dimostra, ma porta soltanto esempi a favore di tale tesi, scrive Colli – allora qualsiasi storicizzare questa posizione non fa che confermarla»64. Ma i conti poi non tornano: Colli percepisce che «forse inavvertitamente, Nietzsche attenua la portata del suo pensiero. Se l’uomo è l’animale storico tutta la sua esistenza dovrebbe essere segnata da questo destino: Nietzsche invece restringe la prospettiva, e la fosca sentenza sembra colpire soltanto l’eccesso di storia, ciò che lui chiama la malattia storica. In tal modo il giudizio pessimistico viene circoscritto ‘storicamente’, viene rivolto al nostro presente. E qui si rivela deludente – non già l’attribuzione di una realtà di secondo grado a ogni rammemorare – ma la limitatezza che Nietzsche conferisce a questo concetto». Colli rimprovera la mancanza di consequenzialità tra le assunzioni iniziali e finali di Nietzsche: se la storia è scadimento dalla vita, ebbene, lo deve essere tout court, in ogni sua accezione: “storia” come dimensione singolare e teoretica afferente all’attività individuale di rammemorazione; “storia” come storia evenemenziale, «come evento, come oggetto», scrive Colli. Ora, se è vero che, stando al Colli schopenhaueriano che scrive di questo

Nietzsche (certo schopenhaueriano anche lui, ma già passato per il 1866 e, dunque, attraverso la lettura di F. A. Lange), se è vero che «ogni coscienza è rappresentazione di ciò che è già accaduto o comunque di qualcosa la cui esistenza (…) precede quella rappresentazione», quale tipo di coscienza rappresentativa sta a quale tipo di rappresentazione di storia? Questo è non solo un nostro interrogativo, ma anche un interrogativo nietzscheano, che fra l’altro verrà riccamente sviluppato nei testi tardi, come ad esempio la Genealogia della morale.

In questa Inattuale Nietzsche verrà in un primo momento a teorizzare il rapporto tra storia (conoscenza, scienza, coscienza) e vita; teorizzerà poi tre tipi di rapporto tra storia e vita, ognuno dei quali ha una sua incidenza fisiologica e patologica; solo sintetizzando le istanze di questi tre tipi di storia si può maturare un approccio al passato che sia vitale e salutare. Ma il termine medio, in cui si radica l’elaborazione di questi tipi di storia, in cui si decide di queste relazioni, è ciò che Nietzsche chiama «personalità». Quando si arriva a definire una “personalità”, un “tipo umano” in questo testo, Nietzsche ha generalmente completato il quadro anamnestico, il quadro dei sintomi: è questo il suo habitus dimostrativo, giacché non segue un percorso filosofico dialettico e, nella fattispecie, logico; il piano del discorso e l’ordine dimostrativo sono ricollocati, già in questo Nietzsche giovane, sul piano semiotico dei sintomi, per cui non c’è una direttrice logica tradizionalmente intesa, ma una filosofia dei segni, sintomato- logica.

Mentre Nietzsche descrive i sintomi di questo malessere, che non si possono certo dimostrare dialetticamente o dedurre trascendentalmente, ma si possono solo esibire descrittivamente, diagnosticandoli, per Colli si registra un’ulteriore impasse della argomentazione: se, schopenhauerianamente, vita è azione, e chi agisce è senza coscienza, perché la storia, che è coscienza rammemorante, può essere utile alla vita,

che deve essere opposta ad ogni forma di mediazione rappresentativa65? Si perderebbe

così il pensiero più autentico di Nietzsche, quello del ricordo come scadimento dalla vita, e ciò per salvare una posizione schopenhaueriana, ovvero la esigenza di opporre vita e coscienza.

«Per un altro verso – sostiene Colli – non si tratta soltanto di inadeguatezza espressiva: alla base si può scoprire anche uno squilibrio di valutazione, un’ambivalenza radicale. Per chi ha riconosciuto nell’impulso storico un’aberrazione, una fonte di infelicità, e nel ricordo un allontanamento dalla vita come è possibile sostenere che noi abbiamo bisogno della storia per la vita, per l’azione, che si deve usare il passato a scopo di vita? Questa sarebbe l’utilità della storia66».

Potrebbe essere questo richiamo all’incoscienza della azione un preludio a ciò che in tanta parte della filosofia della storia viene definito eterogenesi dei fini? Una incoscienza che nasce non solo dalla mancata contemplazione di tutte le cause a parte ante, ma anche delle conseguenze ex post?

Ascoltiamo ancora Colli: Nietzsche prova attrazione e repulsione ad un tempo per la mancanza di coscienza in chi agisce: «La repulsione è dell’uomo che egli chiama sovrastorico (Schopenhauer!), di colui per il quale “il passato e il presente sono la stessa identica cosa” e che condanna assieme storia e vita, in nome della saggezza. Ma l’attrazione è più forte della repulsione: dopo aver contrapposto storia e vita, ora Nietzsche le riunisce contrapponendole alla saggezza, e poiché la vita conta più della saggezza, bisogna scegliere la prima, e quindi anche la storia, che conduce alla vita»67. Nietzsche non è imbrigliato in un tentativo di salvare una posizione schopenhaueriana, a nostro avviso. É piuttosto versato nell’operazione di raccordo dei tre termini chiamati in questione da Colli (storia, vita e saggezza), ma lo spostamento dall’uno all’altro è

66 Ibidem.

fluttuante, innanzitutto perché sono fluttuanti i domini semantici che afferiscono a questi concetti e poi perché non c’è una decisione per le relazioni oppositive, ma si propone una operazione di rinnovata gerarchizzazione della storia rispetto alla saggezza e della saggezza rispetto alla vita. É evidente che questo avvenga sulla base di una comune mediazione della idea di coscienza, che fluttua sotto i termini di «personalità», «umanità», «conoscenza» e si muove indistintamente dal piano individuale a quello del genere: spesso, infatti, si salta dal livello del singolo uomo, a quello del popolo a quello della intera civiltà.

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 40-46)