DECLINAZIONI DEL METODO STORICO-CRITICO: SCIENZA, FILOSOFIA STORICA, GENEALOGIA
2. Il volto «réealista» di Nietzsche
In Ecce Homo Nietzsche scriveva di aver irradiato «l’egregio dottor Paul Rée con l’aureola di gloria della storia universale»215. Non sono molti gli autori con cui
Nietzsche abbia ingaggiato esplicitamente un confronto polemico, richiamando e citando in vivo nel testo le opere di riferimento. Ebbene, Rée è uno fra questi. Le citazioni delle sue opere ricorrono sia in Umano, troppo umano, che nella Genealogia della morale. Nell’uno e nell’altro caso Nietzsche richiama il Rée delle Osservazioni psicologiche e de L’ origine dei sentimenti morali, collocandolo sotto la specie «inglese dei genealogisti della morale216», ma mutando completamente i toni ed contenuti del giudizio in merito a tali opere. Un simile rivolgimento condensa in sé tutti i segni della maturazione avvenuta nella filosofia nietzscheana dal 1878, anno di pubblicazione di Umano troppo umano, al 1887, anno di pubblicazione della Genealogia della morale. In Introduzione all’edizione italiana del primo volume di Umano, troppo umano, Mazzino Montinari, chiamando in causa appunto questo Nietzsche réealista, ebbe a considerare con lucidità: «Ho l’impressione che nessuno tra gli esegeti di Nietzsche abbia preso sul serio questo ritorno estremo a Rée»217. In effetti Nietzsche rilegge Rée
mentre attende alla scrittura della Genealogia della morale, rielaborando gran parte del materiale di Umano, troppo umano e distruggendo molti degli appunti riguardanti le stesure preliminari della Genealogia stessa.
215 Cfr. F. Nietzsche, Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è, cit., p. 86: « Tutto il libro [Umano, troppo
umano], ma soprattutto un passo assai esplicito, testimonia ciò che io allora (1876) pensavo di me, e della
enorme sicurezza con cui tenevo in mano il mio compito e quanto in esso appartiene alla storia universale: solo che io, con la mia istintiva malizia, aggirai di nuovo, anche qui, la paroletta «io» e questa volta non con Schopenhauer o Wagner, ma un mio amico, l’egregio dottor Paul Rée, fu da me irraggiato con l’aureola di gloria della storia universale – ma per fortuna era un animale troppo sottile da… Altri furono assai meno sottili: ho sempre riconosciuto gli irrecuperabili fra i miei lettori, per esempio il professore tedesco tipico, dal fatto che, fondandosi su quel passo, hanno creduto di dover intendere tutto il libro come un esemplare di superiore réealismo… In verità esso contraddice a cinque o sei proposizioni del mio amico: a questo riguardo si potrebbe fare un riscontro con la prefazione alla «Genealogia della morale».
216 Cfr. F. Nietzsche, La Genealogia della morale, cit., p. 7.
Qual è comunque – scrive Nietzsche in Ecce Homo – la proposizione principale a cui giunge, attraverso le sue penetranti e taglienti analisi dell’umano agire, uno dei più arditi e freddi pensatori, l’autore del libro «Sull’origine dei sentimenti morali» (lisez: Nietzsche il primo immoralista)? «L’uomo morale non è più vicino al mondo intelligibile dell’uomo fisico – perché il mondo intelligibile non esiste…». Questa proposizione, temprata e affilata sotto i colpi di martello della conoscenza storica (lisez: trasvalutazione
di tutti i valori), potrà forse un giorno, in un futuro – 1890! – servire come l’accetta che reciderà alla
radice il «bisogno metafisico» degli uomini, – se più a benedizione che a maledizione dell’umanità, chi saprebbe dirlo? Ma in ogni caso come una proposizione dalle più importanti conseguenze, feconda e terribile insieme, e che scruta il mondo con quello sguardo bifronte, che hanno tutte le grandi conoscenze218…
Ora, se il Rée che Nietzsche ci restituisce nella Genealogia è il fautore di ingenue ipotesi genealogiche sulla morale, non così è per il Rée di Umano, troppo umano: ad ogni modo, per l’uno e per l’altra delle pubblicazioni nietzscheane, se è vero che ognuno dei referenti critici di Nietzsche è, in fondo, stando al un canone teorizzato da Nietzsche stesso in Ecce Homo, ed evidenziato nel passo precedente, anche una semiotica per Nietzsche219, tale rimane anche l’òrganon, lo strumentario concettuale fornito da Rée a Nietzsche in quel soggiorno sorrentino. Per quanto Nietzsche avesse già ampiamente frequentato le opere di F. A. Lange e della letteratura scientifica contemporanea e, dunque, iniziato sotterraneamente a maturare un essenziale scollamento dalle posizioni metafisiche assunte nell’Inattuale sulla storia e nella Nascita della tragedia, fu con Rée che prese ‘corpo’ il pensiero antiidealista, incarnandosi nella forma delle massime, come «concentrati di pensiero220»; fu con Rée che Nietzsche rimediò la cifra e il canone dell’espressione di questo pensiero, la sua plasticità, coessenziale alla sostanza della sua stessa filosofia. Parafrasando proprio il Nietzsche delle Inattuali, che aveva parlato della cultura di un popolo come unità di stile artistico in tutte le sue manifestazioni vitali, ebbene lo stile aforistico è ciò che conferisce unità, organicità al pensiero nietzscheano; questa scelta stilistica è ciò che rende vitale la filosofia nietzscheana, una filosofia che nasce interrogando il pensiero presocratico,
218 Cfr. F. Nietzsche, Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è, cit., pp. 86-87.
219 Cfr. A. Lanfranconi, Nietzsches Historische Philosophieren, Frommann Holzboog, Stuggart 2000, pp.
25-32.
regno di comunione tra teoria, etica e prassi; la strategia del gesto, la sua sensualità, la strategia retorica per Nietzsche, come per il Platone della ragione dialogante con se stessa, è già immagine della sua filosofia. Come Colli scriveva, Nietzsche non è differibile rispetto alla sua Wirkung: ebbene, la cifra stilistica è la cifra del pensiero, la sua Wirklichkeit, la sua potentia, la sua effettualità: in una parola, la sua realtà. E, checché se ne dica, questa ri-comprensione delle condizioni di possibilità del suo filosofare, Nietzsche la deve all’esperienza, per così dire, ‘réealista’ della sua propria filosofia.
Non è dunque banalmente una questione di contenuti quella in gioco tra il Nietzsche e Rée filosofi, o meglio genealogisti della morale. Come dimostrato dall’extratesto e dalla letteratura in merito, Nietzsche ha già confidenza con molto del materiale scientifico che avrebbe rappresentato un terreno di ricerca comune con Rée, autonomamente battuto e già da lungo tempo: come prima evidenziato, la sua guida all’interno di questo mondo era stata Lange, al di là del fatto che Nietzsche stesso dimostri grande acutezza, per quanto neofita, nel selezionare e nell’orientarsi in simili letture221. A nostro avviso, Nietzsche arriva, per così dire, a Rée pregno di questi
contenuti e strumenti, che non riesce ancora a organizzare filosoficamente nel proprio progetto di rinascita culturale, combattuto fino a quel momento con armi schopenhaueriano-wagneriane, della cui insostenibilità però già verso i primi anni Settanta è definitivamente consapevole. Il rinnovato respiro intellettuale della filosofia dello spirito libero proviene, dunque, dalla inedita attitudine di uno spirito diventato
221 Cfr. A. Orsucci, Dalla biologia cellulare alle scienze dello spirito. Aspetti del dibattito
sull’individualità nell’Ottocento tedesco, cit., p.202: «Sorprende d’altra parte come Nietzsche, nella scelta
delle sue letture ‘biologiche’ degli ani ’80, non si muova affatto da sprovveduto , e attraverso pochi autori (Nägeli, Roux e Semper in primo luogo) riesca a farsi un quadro oltremodo esauriente delle nuove questioni – i processi di autoregolazione, la struttura molecolare del nucleo, i fenomeni di ‘mutamento di funzione’– che scuotono e rinnovano il dibattito scientifico dell’ultimo decennio. E mentre da un lato si prefigge di criticare i «filosofi» anche per la mancata «conoscenza della fisiologia» [Opere, VII, II, p. 160. Appunto dell’Estate-Autunno 1884)], dall’altro seleziona con grande accortezza testi di biologia che questi spontaneamente, paiono disegnare, se accostati l’uno all’altro, alcune grandi antitesi ideali. Roux contro Haeckel, Semper contro Schneider, oppure Nägeli contro Darwin».
nomade, e che raccoglie le sue osservazioni intorno all’universo umano, troppo umano della morale alla stregua di un naturalista. Pare così che, in tono platonico, la stessa filosofia sia diventata, e non possa essere altro, che il resoconto solitario del viaggio di tale naturalista intorno a quel mondo, per parafrasare l’espressione darwiniana e il suo racconto sull’esperienza del Beagle. Nella modernità imbarbarita dall’intima scissione di un esterno ed un interno, in cui la cultura è perciò diventata poco meno che un sapere intorno alla cultura, che non aiuta a vivere, il filosofare sembra raccogliersi nell’intima arte del monologo di un viandante con la sua ombra: una singolare declinazione moderna e romantica della forma platonica del discorso filosofico-dialogico e della costituzione dialettica della filosofia come dialogo dell’io con se stesso222.
Come ebbe a scrivere Lou Andreas Salomé, in merito al rapporto tra Nietzsche e Rée, «tra i due amici nasce una peculiare forma di complementarietà del tutto opposta a quella che si era avuta un tempo tra Nietzsche e Wagner. Per Wagner – il genio dell’arte – Nietzsche avrebbe dovuto essere il pensatore e l’uomo della conoscenza, l’intermediario scientifico della nuova cultura artistica. Ora, al contrario, era Rée il teoreta e Nietzsche lo completava ricavando le conseguenze pratiche dalle sue teorie e cercando di stabilirne il significato per la cultura e per la vita»223. É proprio a Rée che si deve il tentativo di dissuadere Nietzsche, durante il soggiorno sorrentino, dallo scrivere una quinta Considerazione Inattuale, con la prospettiva alternativa di una nuova opera in stile aforistico224. É ancora Rée il mediatore in vivo dell’esprit moralistico francese, nello stile delle massime degli autori sei e settecenteschi: «Gli autori preferiti di Rée – scrive Lou von Salomé – divennero anche i suoi; gli autori francesi di aforismi, La Rouchefoucauld, La Bruyère, Vauvernagues, Chamfort influenzarono
222 Cfr. R. Calasso, Monologo fatale in Postfazione a F. Nietzsche, Ecce Homo. Come si diventa ciò che si
è, cit.,153-198.
223 Cfr. L. Andreas Salomé, Vita di Nietzsche, Roma 1998, p. 131 citato in D. Fazio, Paul Rée. Un profilo
filosofico, cit., p. 8.
straordinariamente in questo periodo lo stile e il pensiero di Nietzsche»225. Ancora più
viva è la testimonianza di Malwida von Meysenbug, parte integrante di quella comunione claustrale tra spiriti liberi che prese vita a Sorrento226, la quale nelle sue memorie richiama l’immagine di un Nietzsche profondamente coinvolto da Rée in un ri-orientamento dei suoi interessi intellettuali verso un’ottica positivista, quasi posseduto «da un impulso violento della sua personalità originaria a staccarsi dai forti influssi che avevano dominato la sua giovinezza», alla ricerca di «una forma nuova227»: del resto, come nota Fornari, non può essere un caso che proprio a partire dagli inizi degli anni Settanta, tra gli interessi di Nietzsche, sino ad allora prevalentemente legati al mondo classico della filologia, «facciano irruzione (…) testi appartenenti all’ambito storico-scientifico, dalla chimica alla fisica, all’antropologia all’etnografia», mentre nella biblioteca di Nietzsche «si contano, invece, usciti tra il 1873 e il 1876, ben diciotto titoli della collana Internationale Wissenschaftliche Bibliothek» 228.
Come cifra stilistica e teoretica di questo nuovo incedere aforistico del filosofare nietzscheano, ben si offre la formulazione, che più tardi Nietzsche avrebbe derivato dai Saggi di psicologia contemporanea di Bourget, del concetto di «décadence». Ne Il caso Wagner avrebbe infatti scritto:
Da che cosa é caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto, – il tutto non è più tutto229.
225 Cfr. Lou Andreas Salomè, Nietzsche. Una biografia intellettuale, Savelli Ed., Roma 1979, pp.104-
105, citato da D. Vignali in Introduzione a P. Rèe, L’origine dei sentimenti morali, cit., p. 8.
226 «A Sorrento Nietzsche soggiornerà dal 27 ottobre 1876 all’8 maggio 1877: qui, presso Villa
Rubinacci, ospiti della contessa Malwida von Meysenbug, Paul Rée, Nietzsche ed il suo allievo Albert Brenner si diletteranno di una comunità ideale, un “convento per spiriti liberi” in cui dispiegare le proprie potenzialità e godere di particolari condizioni fisiche e spirituali». Cfr. M. C. Fornari, op. cit., p. 32.
227 Cfr. M. von Meysenbug, Individualitaeten, Schuster und Loeffler, Berlin 1902 citato da M.C. Fornari,
op. cit., pp. 36-37.
228 Cfr. M. C. Fornari, op. cit., p. 36.
229 Cfr. G. Campioni in Introduzione a P. Bourget, Saggi di psicologia contemporanea, Aragno, Torino
2007, pp. XII-XII. «Il caso Wagner – continua Campioni – è però organicamente formulato nella lettera [ di Nietzsche] a Carl Fuchs di metà aprile 1886: «La parte impera sul tutto, la frase sulla melodia, l'attimo sul tempo…il pathos sull' ethos…e finalmente l’esprit sul pensiero».
Mentre in un organismo, sociale o pluricellulare, la parte prende il sopravvento sul tutto, così la scrittura aforistica scardina l’organicità sistematica del pensiero filosofico classico, ovvero la sua afferenza ai domini della metafisica; esso si esibisce come corpo dis-organico e dis-organizzato di una filosofia antimetafisica e storica, che si è lasciata alle spalle gli strumenti della sistematicità e che dunque si scrolla di dosso la cappa castrante della strutturazione monolitica sotto ogni rispetto: teoretico e pratico, innanzitutto. La natura polimorfa del pensiero è significata in maniera essenziale dalla strategia aforistica nietzscheana: non è un caso che essa sopravvenga insieme ad una nuova filosofia, e soprattutto una nuova teoria della conoscenza, che intende caratterizzarsi come una rinnovata forma di storia, come un filosofare storico. E resterà sempre incontestato per Nietzsche, dalle lezioni basileesi sul Servizio divino dei Greci alla Genealogia della morale, che sistematizzabile, ovvero «definibile» è solo «ciò che non ha storia»230.
Ora, bisogna tenere in conto a tal proposito che anche la scelta di Rée per lo stile quasi rapsodico del suo primo scritto vuole collocarsi in seno ad una tradizione ben definita: nel suo caso, non si trattava solo di disporsi nel seminato degli scrittori francesi di massime, ma di accostarsi ad un referente più prossimo: lo Schopenhauer dei Parerga e Paralipomena. Come ci fa notare Fazio, «Psychologische Bemerkungen è, infatti, il titolo di una sezione del secondo volume dei Parerga e Paralipomena di Schopenhauer, e da una pagina della stessa opera è tratto il motto di Gobineau, “L’uomo è l’animale malvagio per eccellenza”, che si trova sul frontespizio del libro di Rée»231. Peraltro nel
capitolo dei Parerga, titolato la «Filosofia e il suo metodo», è letteralmente tracciato «il
230 Cfr. M. Posani-Löwenstein, I Greci selvaggi in Postfazione a F. Nietzsche, Il servizio divino dei Greci,
Adelphi, Milano 2016. In questo breve intervento si riconnette l’affermazione nietzscheana che compare nella Genealogia della morale, appunto, sulla indefinibilità di ciò che ha una storia, come parte del flusso diveniente, con la lezione di E. B. Tylor in Primitive Culture.
programma di ricerca» fatto di una lista di autori, cui lo stesso Rée si sarebbe riferito232.
Eppure, nonostante la vicinanza tematica, già dal titolo emerge una importante differenza di metodo tra l’approccio schopenhaueriano, fondato sulla metafisica della volontà e, dunque, sul progetto di una fondazione critica della psicologia empirica, e quello di Rée, basato invece su una filosofia dell’osservazione empirica. Il segno di questa differenza è nel titolo, dicevamo: «Psychologiche Bemerkungen» quello schopenhaueriano e «Psychologische Beobachtungen» quello di Rée: «Beobachtungen», dunque, dal verbo beobachten che «rimanda all’atto dell’osservare ciò che è semplicemente realtà di fatto»233. La misura di questo ritmo e questa cadenza del pensiero, così disciplinato, nelle Osservazioni psicologiche è già nella massima di apertura:
[3] 1. Le massime sono concentrati di pensiero che ognuno può diluire a proprio piacimento.
Un simile stile di scrittura è da consigliare. Innanzitutto, infatti, non è del tutto facile dire una vera stupidaggine in modo breve e pregnante. Questa, alle lunghe, non può nascondersi sotto poche parole così bene come sotto molte. Inoltre, la grande mole della letteratura rende auspicabile un modo di esprimersi breve234.
Ma un’immagine più pregnante di questo metodo di indagine, che si rispecchia nello stile argomentativo, quanto più lento, tanto più distaccato e strutturato in un vero e proprio habitus scientifico e naturalisita, trova spazio nello scritto di Rée successivo alle Osservazioni, ovvero L’origine dei sentimenti morali.
Il punto di vista di questo scritto – considera Rée – è un punto di vista puramente teoretico. Come il geologo investiga prima le diverse formazioni geologiche, le descrive e dopo investiga le cause per mezzo delle quali si sono formate, così anche l’autore di quest’opera ha raccolto i fenomeni morali prima dall’esperienza e poi ha seguito la storia della loro origine per quanto gli era possibile.
Ma egli presenta non tanto un lavoro sistematico, quanto una raccolta di osservazioni staccate.
Se si volesse per questo rimproverarlo, egli farebbe di necessità virtù e si difenderebbe nella maniera seguente: ogni vero pensatore è un pensatore occasionale; solo occasionalmente vengono i pensieri e per questo non su tutte le parti di un argomento. Così chi vuole esaurire un argomento in tutte le sue parti deve spesso pensare “ad hoc” e spesso forzare i pensieri. In questo scritto ci sono lacune, ma le lacune sono meglio dei riempitivi235.
232 Ibidem. 233 Ivi, pp.51-52.
234 Cfr. P. Rée, Osservazioni psicologiche, cit., p. 99. 235 Cfr. P. Rée. L’origine dei sentimenti morali, cit., p. 29.
Ancora, in questa scrittura, troviamo un preludio della filosofia nietzscheana del «prospettivismo», scaturita anche da quel tipo di attitudine osservativa «occasionale», che ha ben presente il metodo comparativo delle moderne scienze biologiche, la cui migliore figurazione è, a nostro avviso, nell’immagine emersoniana che Nietzsche utilizza nell’aforisma 223 di Opinioni e sentenze diverse, descrivendo l’Ego come un Argo dai cento occhi236. «Nel periodo di Umano, troppo umano,– come scrive
Campioni – in primo piano è ancora il tema dell’esperienza, del raccogliere e dell’accumulare: di qui la centralità della figura del viandante. Il limite, l’orizzonte dello sperimentare è ancora fissato nella sicurezza dell’uomo generico. Lo spirito libero è ancora funzionale, in una certa misura, alle possibilità di un progresso della specie»237. Ecco dunque che la posizione inattuale, guadagnata in Sull’utilità e il danno della storia per la vita, rimane sempre tale, ma inizia ad essere permeata di nuove istanze filosofiche. Non solo rimane come dato, quello sulla coscienza storica del presente, veicolo di un decadente senso epigonico, e di tramonto, di fine dell’umanità, e acquisito attraverso un’anamnesi dei suoi sintomi più attuali: ma la stessa coscienza storica, scaturigine di questi giudizi morali sul presente, in quanto tale, viene storicizzata.
Prima di dedicare la seconda parte di questo capitolo ad un’analisi più approfondita del rinnovamento metodico occorso in Nietzsche alla luce, anche, delle sue «esperienze réealiste»238, vogliamo riportare un brano di un diario tenuto da Lou von
Salomé per Rée. Il testo citato non ha solo un valore aneddotico, in linea con quel tipo di bibliografia psicoanalitica positivista, che spesse volte ha incrociato e fatto la (s)fortuna nietzscheana: esso ha un peso proprio nell’ottica genealogica che valorizza il ruolo dell’aneddoto in stile laerziano, ottica che lo stesso Nietzsche farà valere nella sua Genealogia, mutuandola dai suoi studi filologici giovanili sulla filosofia presocratica:
236 Cfr. AA.VV., La ‘biblioteca ideale’ di Nietzsche, cit., p. 19. 237 Ivi, p. 18.
l’elemento personale è difatti la traccia più autentica di ogni filosofare; nella costruzione della propria filosofia, sedotto dalla Circe morale, e schiavo della femminea verità239, parla l’intimità di un temperamento, di una persona: ogni filosofo non fa, in fondo, che parlare di se stesso.
Ascoltiamo, ora, le osservazioni di Lou von Salomé:
Nietzsche ha molto riso ieri prendendo dalla mia scrivania il Tuo ritratto (…). Nell’occasione ci demmo ad esaminare i tuoi lineamenti, e io dissi che vi si poteva riconoscere tutto il Tuo carattere. In alto, là dove la radice del naso si collega alla fronte, si esprime la natura del Tuo pensiero: una capacità di osservazione acuta e tagliente congiunta a un tratto di audacia – si ha un’impressione di dominio e di coraggio intellettuale. Più sotto, lo sguardo contrasta in certo modo col resto – esso esprime esattamente quel che Malwida chiama il Tuo dualismo, e questo è il tratto più stimolante della tua natura: tu sei come una bruna bellezza dagli occhi azzurri – con una piega rassegnata e amara intorno alla bocca – si potrebbe