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Per una compiuta legittimazione sociale

3. Quali prospettive a scuola

3.4. Per una compiuta legittimazione sociale

Il percorso intrapreso da gran parte della geografia ufficiale, fin dal suo consolidamento istituzionale, è stato contrassegnato – come ricordato – dal proponimento di conferire alla disciplina una legittimazione scientifica. I vari tentativi, compreso quello relativamente recente della “rivoluzione quantitativa”, non hanno conseguito gli obiettivi attesi, impossibili peraltro da raggiungere perché la geografia non può conformarsi ai paradigmi delle scienze analitiche e alla definizione di rapporti fissi di causa-effetto, anche se – citando ancora Frémont (2007, pp. 73-76) – tali tentativi hanno molto contribuito al rinnovamento e allo sviluppo della disciplina, particolarmente apprezzabile negli ultimi decenni.

All’impegno profuso nel gestire il processo di legittimazione scientifica, non se ne è accompagnato uno di eguale portata relativo alla legittimazione sociale, tale da conferirle il ruolo di utilità pubblica nella formazione di una coscienza civile e politica. Non che siano mancate voci in quest’ultima dire- zione e molte sono state le esperienze che hanno tentato la strada di un’inno- vazione profonda per cambiare il modo di pensare e fare geografia volgen- dola a una dimensione “attiva e sociale”, ma sono state in parte vanificate da un ambiente accademico prevalentemente attestato su consolidati paradigmi. Clamoroso per certi versi è stato il distacco con cui gran parte della _co-

munità accademica italiana ha seguito i problemi della tutela del paesaggio – argomento tradizionale e fondamentale della ricerca geografica tanto da

24 Le parole di Peter Gould, ancora una volta, sono chiare: «Quando l’insegnamento geo-

grafico ha luogo in un contesto di pensiero tecnologico, il processo didattico diventa soprat- tutto addestramento. È intuitiva la differenza tra formazione e addestramento: la prima libera le facoltà intellettive ed incoraggia il pensiero ad avviarsi verso nuovi e più profondi interessi; il secondo tende a imporre il modo corretto di fare le cose» (Gould, 1985, p. 60).

venire quasi a essere identificato in passato con la disciplina stessa25 – dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta, ovvero nel periodo in cui l’am- biente subiva i colpi più forti e devastanti in concomitanza con il tumultuoso boom economico italiano. Soltanto tardivamente la ricerca geografica volta alle tematiche ambientali ha acquisito stimoli nuovi, grazie anche allo svi- luppo rilevante degli studi ecologici. Nel 1980 Ugo Leone – uno dei primi e più sensibili geografi nei confronti dei rischi ambientali crescenti e dei peri- coli dovuti a un’eccessiva e troppo spesso incontrollata azione antropica – segnalava con preoccupazione come fosse prolungata l’assenza dei geografi rispetto ad «altre scienze molto più sollecite della geografia ad impadronirsi di così stimolanti argomenti di indagine» (Leone, 1980, p. 818).

Per intendere meglio la debolezza di un simile approccio – che può spiegare il passato, analizzato per comprendere meglio l’oggi, ma senza entrare nella dinamica del presente per analizzare le potenzialità latenti e i suoi possibili sviluppi – si porta un solo esempio, particolarmente significativo per la rile- vanza e il meritato prestigio dell’autore: Aldo Sestini. Nel suo prezioso volume dedicato al paesaggio italiano, «opera di tante generazioni» e creazione «sto- rica, sviluppatasi a poco a poco attraverso molteplici rimaneggiamenti», non vi sono richiami all’antropizzazione tumultuosa e a volte dissennata in corso, giacché il libro è stato pubblicato nel 1963. Anzi, nelle pagine introduttive vi è solo un fugace riferimento, quasi a giustificare l’estraneità delle tematiche ambientali rispetto al volume: «Sono note le lagnanze che spesso si muovono a riguardo della deturpazione di paesaggi di particolare bellezza o special- mente caratteristici» (Sestini, 1963, p. 11).

In questo modo il paesaggio è osservato e descritto come in una fotografia, immobile in un momento preciso della sua evoluzione e  col futuro _fissato nell’esistente. La dinamicità, sussistente nei processi di antropizzazione, non ri- sulta pienamente compiuta, giacché rimane bloccata nel suo flusso temporale cristallizzato al presente. Alla fine, forte è il pericolo di una descrizione asettica di un territorio che viene analizzato pure con uno sguardo approfondito al pas- sato, ma la cui evoluzione, senza visione prospettica, viene circoscritta, come se questo spazio antropizzato non avesse progettualità e un avvenire da interpretare. Alla geografia non deve mancare l’attenzione al futuro, che costituisce una proiezione necessaria, in una visione diacronica dello spazio attenta _alle responsabilità per le conseguenze nel tempo delle scelte effettuate nel pre- sente. Nello spazio, infatti, si ritrovano i segni e le impronte del passato, che costituiscono anche piste, indirizzi da seguire o da abbandonare nel percorso verso il futuro.

25 Esemplare è la frase che Emmanuel De Martonne pronunciò nel 1938 al Congresso

Il danno prodotto per la geografia e per le sue potenzialità, quando non è valorizzato il suo ruolo di utilità sociale è serio, con ricadute forti nel mondo della scuola. Andrea Bissanti ha bene espresso il concetto di comprensione del mondo in ambito pedagogico: «Secondo me, lo scopo sociale della Geo- grafia è di fornire strumenti materiali e soprattutto concettuali, mentali, che consentano a ognuno di noi di non sentirsi estraneo, straniero nel proprio territorio, a qualunque scala, dal piccolo paese o quartiere al mondo intero… ricordando che la comprensione del mondo è uno dei massimi fini della scuola e che occorre dare al ragazzo la visione del mondo nel quale è chia- mato a vivere perché possa orientarsi in funzione dell’avvenire» _(Bissanti, 1991, pp. 45-46).

Riflessioni, queste di Bissanti, tanto più vere oggi, quanto più i processi di globalizzazione in corso stanno acquisendo profili di un progetto globalitario, caratterizzato dai segni della dominazione e dell’esclusione, che amplificano sempre più pericolose disuguaglianze sociali, economiche, _ambientali. Que- sti processi proiettano sugli spazi della nostra Terra una _serie di ombre mi- nacciose che ci dovrebbero interrogare con sempre _maggiore urgenza, invi- tandoci a riflettere su questioni fondamentali e decisive, riguardanti la giustizia e la dignità spaziale, l’esercizio del potere e le conflittualità territoriali, gli svi- luppi del capitalismo con le ripercussioni sul mondo del lavoro, la profonda crisi ambientale. Si aggiunga che una globalizzazione squilibrata e asimme- trica ha reso le disuguaglianze meno accettabili, quando addirittura non le ha caricate di aspetti pericolosi, già in molti casi degenerati in reazioni violente e aggressive. L’esito prodotto da questo diffuso sbilanciamento – per cui ric- chezza sostiene ricchezza mentre _miseria riproduce miseria – è visibile con chiarezza nelle profonde _emarginazioni ed esclusioni socio-spaziali, a mano a mano più gravi e _mutevoli, che coinvolgono miliardi di persone.

L’assenza di azioni concrete per ridurre le disuguaglianze e ottimizzare le diversità va a rafforzare l’idea di un globo al cui interno si congegnano chiusure per separare chi è incluso (privilegiato e protetto) da chi è lasciato fuori (svantaggiato e vulnerabile). Sarebbe un mondo dove in un tempo di incertezze – del presente e per il futuro – regnerebbe sovrana la paura e _dove la sicurezza verrebbe dal vivere entro frontiere ben protette.

Occorre misurarsi con determinazione contro questa prospettiva, che por- terebbe l’intera umanità rinchiusa in un mondo fatto di immense carceri, dove tutti, pur in condizioni molto diverse, alla fine, sarebbero in qualche modo imprigionati.

È sempre più necessario rafforzare l’impatto sociale dei saperi geografici per l’inclusione, che portano avanti con convinzione questioni cruciali come la giustizia spaziale e la crisi ambientale dalle cui proiezioni territoriali di- pende il benessere collettivo e di ciascuno.

Anche in questo senso si possono segnalare sintomi incoraggianti, come il manifesto per una Public Geography, presentato il 14 settembre 2018 al termine delle Giornate della Geografia di Padova organizzate dall’Associa- zione dei Geografi Italiani. Il documento «esprime un’istanza antica che chiede di essere continuamente rinnovata: intendere e praticare il sapere geo- grafico come impegno verso il bene comune, all’interno delle attività acca- demiche di ricerca, didattica e terza missione». La Geografia è inquadrata «come disciplina aperta, orientata all’utile sociale, chiamata ad accogliere, condividere e offrire conoscenza, costruendo una più efficace interazione e comunicazione scientifica con il territorio e la società civile».

Su questi temi si è aperto un dibattito vivace nella comunità dei geografi, che è auspicabile continui serrato e intenso per giungere a risultati il più pos- sibile condivisi che possano essere portati con convinzione nelle varie sedi istituzionali e – grazie ai mass media –_trasferiti nella pubblica opinione.