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2.5 In nome della complessità: per un dialogo interdiscipli nare a supporto delle policy

2.5.1 Complementarietà nello studio dei processi di policy

Al termine di questa ricognizione dei principali elementi che caratterizzano le due tradizioni in esame, si richiamano nel seguito per comodità del lettore, le dimen- sioni proprie dei processi di policy che un efficace strumento cognitivo dovrebbe essere in grado di presidiare, ovvero:

“[esigenze di]... lettura e comprensione di (A) un corso di azione (la policy) definito lungo una catena di processi che dalla decisione portano ai risultati attraverso (B) un percorso realizzativo popolato di molteplici ed eterogenei attori; un corso di azione orientato ad incidere in un (C) contesto in cui la dimensione interazionale (tra individui e organizzazioni) si va facendo cruciale nella determinazione dei suoi (D) possibili effetti; un contesto in cui i risultati sono prodotti da (E) dinamiche solo in parte riconducibili a paradigmi di let- tura lineare e in massima parte da considerarsi in capo ai (F) comportamenti di adattamento messi in campo dai destinatari stessi degli interventi risultati”.

Alla luce di quanto emerso nei paragrafi precedenti, sembra necessario aggiun- gere che il presidio cognitivo dovrebbe estendersi alla considerazione delle (G) interazioni tra i diversi livelli in cui si sviluppano i fenomeni sociali e (H) le inte- razioni tra sottosistemi sociali che sono determinanti nella propagazione dei ri- sultati delle policy, attesi o indesiderati che siano. Di questi punti è evidente come alcuni attengano maggiormente al processo (A, B), altri al più ampio sistema in cui questo si colloca (E, F, G, H), altri infine pretendono che il processo si apra al contesto per essere adeguatamente considerato (C, D).

to larga parte di questo capitolo ci sembra ponga in evidenza una curiosa forma di complementarità tra le due tradizioni di ricerca indagate rispetto a queste esi- genze cognitive. Le figure 4.a e 4.b propongono una visualizzazione delle pro- spettive di osservazione di un ipotetico intervento di politica sanitaria. Pur nella semplificazione è utile a veicolare l’idea, che qui si sostiene, che la prospettiva di osservazione sistemica, figura 4.a, tende a concentrarsi sugli effetti dell’inter- vento nel sottosistema di riferimento (sanitario) e, con vario grado di attenzione (testimoniato da spessore e tratteggio della linea) in tutti gli altri che ne verreb- bero in vario grado coinvolti (prima i sottosistemi delle associazioni, mercato del lavoro e infrastrutture telematiche, quindi gli altri). Diversamente, figura 4.b, un approccio di policy analysis tende a concentrarsi sul processo di policy e sulla sua facilitazione nel raggiungimento di effetti che vengono considerati in maniera pressoché esclusiva nell’ambito del sottosistema target.

Le figure propongono quella che è la diversa ‘messa a fuoco’ sullo stesso oggetto di osservazione dei due approcci di ricerca considerati. La semplificazione è evidente: gli analisti e i valutatori di politiche pubbliche non sono totalmente disinteressati alle ricadute degli interventi di policy su ambiti della realtà sociale (o sottosistemi) diversi da quello target; i teorici dei sistemi (unendo sotto questo ombrello chi si richiama alle big social systems theorists e chi studia i CAS) non ignorano che i pro- cessi di policy siano percorsi accidentati, se non altro nella misura in cui all’interno

delle arene decisionali i partecipanti si portano dietro le loro idiosincrasie e prefe- renze costruite sulla base di appartenenze multiple alle reti di interazione sociale.

sanitaria: politica tra le politiche, attenzione alle interazioni.

Figura 4. b La prospettiva di osservazione della policy analysis in un caso di interventi di politica sanitaria: attori, decisioni e fasi nello specifico dominio di policy.

Cionostante le due tradizioni sembrano tendere a focalizzarsi su oggetti di inda- gine e domande di ricerca abbastanza definite che sono, per la policy analysis, la rappresentazione e comprensione dei meccanismi caratterizzanti il processo di policy (la sua formazione e i percorsi attuativi); per i system thinkers, i mecca- nismi di accoglimento, metabolizzazione e interpretazione delle policy da parte del sistema sociale, potenzialmente osservato in tutta la complessità delle sue interazioni intra sistemiche (tra agenti elementari) e intersistemiche (o degli ac- coppiamenti strutturali). In altre parole, dato l’oggetto processo di policy come centro di attenzione, i primi paiono concentrarsi sul processo e sugli effetti su un target ben definito, i secondi sui suoi effetti all’interno di un più articolato sistema di cui il processo stesso è ‘solo’ uno dei molti sottosistemi.

Un tentativo di rappresentazione della collocazione delle due tradizioni di ricerca rispetto al focus della loro attenzione è proposto in figura 4.

Figura 5. Il posizionamento delle tradizioni di ricerca secondo la prospettiva di osservazione del policy process.

Nonostante questo orientamento sia in massima parte frutto consapevole di in- teressi di ricerca differenti, ci sembra che emergano per entrambi gli approcci dei profili di criticità nella utilità degli esiti delle indagini in ottica di supporto di policy.

Per quanto riguarda i policy analysts, la mancanza di un maturo sguardo olistico sulla collocazione del processo di policy all’interno del più ampio sistema sociale si può tradurre, in fase di processo decisionale (e a monte nella definizione delle opzioni di policy) nella imprecisa individuazione dei componenti del policy sub- system, una imprecisione che potrà avere ricadute importanti in fase di attuazio- ne; in fase di valutazione, nella considerazione di variabili (intese in senso ampio e non squisitamente statistico) che non consentono di restituire una misura o rappresentazione veramente realistica dei processi e dei risultati della policy. Que- sto non significa, si badi, che non si possano individuare precisamente gli effetti dell’intervento rispetto agli obiettivi che ci si erano preposti, significa però che non si avrà la giusta informazione per valutare gli effetti sociali della policy. Per quanto riguarda la prospettiva sistemica (di nuovo, intesa in senso ampio) il limite che ci sembra di individuare è quello di considerare da una parte la policy come output di un meccanismo (il processo decisionale) che sembra assomigliare molto a una scatola nera; dall’altra il processo di policy come un importante stru- mento di rafforzamento delle capacità adattive del sistema, senza però interro- garsi sul funzionamento stesso di quello strumento ma, ci sia consentito, un po’ ingenuamente sulla fiducia. In altre parole, sembra che chi osserva il processo di policy da una prospettiva sistemica (di CAS) abbia il nobilissimo interesse a rap- presentare la complessità dei processi su cui la policy andrà a intervenire, ma non sembra porsi il problema di come quella policy è stata decisa e per quali strade

potrà essere attutata, se sia cioè il frutto di una lucida valutazione delle alternative o se sia (come è nella maggior parte dei casi) frutto di un intricato gioco tra nu- merosi attori sulla scena della decisione pubblica. In qualche misura si potrebbe dire che non applica ai meccanismi decisionali e attuativi la stessa (complessa) attenzione che dedica ai meccanismi generativi degli effetti emergenti. E il rischio di questa sottovalutazione è di interrogarsi sugli effetti di interventi che nella pratica delle azioni potrebbero essere ben diverse di dalla teoria delle intenzioni. Vedremo che in realtà (capitolo 4) da parte dei ricercatori CAS-oriented si sta

sviluppando una notevole attenzione a mettere in pratica il potenziale ‘generati- vo’ dei processi di policy sull’individuazione delle opzioni e quindi nel realizzare un supporto ai processi decisionali vada oltre la ‘semplice’ predisposizione di una giusta conoscenza che, da sola, non può avere effetti realmente dirompenti nell’orientamento delle attività di policy.

Ma, con tutto ciò, rimane una condizione imprescindibile per operare scelte, an- che all’interno di meccanismi decisionali tortuosi e imprevedibili. La scelta, cioè, va comunque operata sulla base di alternative plausibili che la corretta infor- mazione deve concorrere a formulare, quand’anche queste alternative venisse- ro scelte perché per caso (secondo il più disincantato dei modelli decisionali) si trovano ad essere la soluzione disponibile in un certo momento ad un problema che, per pura contingenza di molti eterogenei fattori, si è affacciato sull’arena decisionale.

Se in queste osservazioni c’è un fondo di verità, si può tentare di andare oltre questa ‘complementarità’ ricercando alcuni terreni di confronto che permettano di condividere oltre all’oggetto di indagine anche una lingua comune costruita intorno ad alcuni presupposti concettuali e possibilmente a dei metodi che per- mettano di mettere a valore in una prospettiva di insieme gli apporti delle due tradizioni di ricerca.

La soluzione in termini concettuali ci sembra a portata di mano, meno forse la sua operazionalizzazione.

Per quanto riguarda la prima, alla luce di quanto presentato nei paragrafi pre- cedenti ci sembra che alcuni elementi dei concetti di complessità e di sistema si possano utilmente applicare anche al processo di policy per come è rappresentato dalla prospettiva di policy analysis.

Se nei processi si fanno rientrare anche i destinatari degli interventi (come, a ra- gione, si può fare nella logica di policy subsystem allargato e considerando i pro- cessi attuativi) si individuano facilmente alcuni caratteri propri dei sistemi com- plessi (adattivi): (1) agenti molto numerosi (arene decisionali e destinatari) sono coinvolti in (2) interazioni (locali e di medio raggio) orizzontali e verticali regolate da (3) comportamenti orientati ad uno scopo egoistico che non scaturiscono da processi analitici razionali perfetti ma (4) dall’elaborazione di informazioni locali derivanti dalla propria esperienza o da flussi di comunicazione (si pensi ai modelli

decisionali trattati e ai meccanismi di diffusione delle opinioni). Le interazioni si sviluppano (5) lungo strutture di rete che condizionano percezioni, conoscenza e comportamenti il che si specifica sia rispetto all’andamento dei processi decisio- nali (interazioni tra decisori), sia rispetto all’efficacia degli interventi (interazioni tra i recipients degli interventi). Il (6) risultato di questo processo non è prevedi- bile a priori sia in termini di ouput dei processi decisionali (quale intervento verrà scelto), sia in termini di risultati dell’attuazione in quanto (7) i fenomeni osservati (indicatori di risultato) risultano da processi di emergenza in cui possono giocare ruolo fondamentale fattori e interazioni tra sottosistemi non considerate.

E’ questo ovviamente un elenco non esaustivo e facilmente qualificabile di alcune proprietà complexity-related che si possono ragionevolmente associare ai processi di

policy ma che, ci sembra anche sulla scorta della produzione scientifica in mate- ria, si possono ritenere empiricamente fondati.

Per quanto riguarda elementi più tradizionalmente sistemici, è la stessa letteratura della policy analysis ad avere individuato diversi aggregati sistemici all’interno dei

quali collocare gli attori che partecipano al processo: il più volte richiamato policy subsystem, le advocay coalition, policy network e policy communities per ricor- darne alcuni. Un allargamento della prospettiva può consentire di considerare le ‘appartenenze multiple’ degli attori a diversi sistemi e organizzazioni e di applica- re il concetto di sistema anche alla fase di formazione dell’agenda e di attuazione degli interventi. Dal punto di vista dei condizionamenti sugli agenti elementari che partecipano al processo, la concettualizzazione si allinea alla prospettiva di interazione strutturante (di preferenze, valori e comportamenti) tipica della con- siderazioni del livello micro all’interno dei CAS.

In questo senso ci sembra quindi che si possa riformulare la complessità delle politiche pubbliche secondo due prospettive:

• complessità del processo (o interna) caratterizzata da una moltitudine di at- tori eterogenei interagenti sulla base di regole comportamentali condiziona- te dalla loro appartenenza a più sottosistemi o reti di interazione. Da questa complessa interazione, attraverso un accidentato percorso in fasi emergono gli interventi di policy;

• complessità dell’oggetto (o esterna) ovvero del sistema all’interno del quale si sviluppa il processo che richiama tutti gli aspetti ampiamente trattati dalla letteratura di ambito.

Sembra quindi possibile individuare nei processi delle politiche pubbliche per come sono studiati dalla policy analysis molti elementi ‘assimilabili’ al paradigma della complessità, il che può ragionevolmente far credere alla possibilità di un dialogo tra le due scuole.

Un dialogo che peraltro potrebbe trovare un naturale punto di incontro nella lezione di Herbert Simon. Contigue ma distanti, le due tradizioni di ricerca, ognu- na per la sua parte riconoscono nella razionalità limitata la proprietà costitutiva

dell’agente individuale, meccanismo cognitivo alla base dei suoi comportamenti e dei processi di apprendimento e adattamento all’ambiente.

Se quindi di una ‘generalizzazione‘ della complessità delle policy si può parlare è auspicabile che si individuino degli strumenti per poter far dialogare, su questa base, le due tradizioni di ricerca in maniera che da una parte l’approfondita analisi dei processi di policy non perda di vista il contesto allargato all’interno del quale

gli esiti di questo processo verranno recepiti da sistemi popolati da agenti tutt’al- tro che isolati e razionali; dall’altra i ricercatori attenti a cogliere la complessità dei processi di trasformazione degli input di policy in outcomes di sistema non

perdano di vista la natura dell’intervento che, si è visto, non si può accogliere come costante esogena in quanto spesso frutto di processi che ne possono con- dizionare in maniera rilevante gli esiti.

Ma le metodologie di riferimento delle due tradizioni costituiscono un altro ele- mento di separazione cui merita dedicare un ultimo approfondimento.