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2.4 Una teoria sistemica delle politiche pubbliche

2.4.4 L’approccio mainstream nella letteratura su policy complexi ty

Gli studi dei processi e degli effetti di policy da una prospettiva di complessità realizzati negli ultimi due decenni si pongono generalmente obiettivi di analisi scenariale o previsionale, che si potrebbe ascrivere, in ambito di policy analysis, alla categoria della valutazione ex-ante.

Le critiche che da una prospettiva di complessità vengono mosse alle più tradi- 11 Merita menzionare in questo senso almeno tre progetti di rilevanza europea che si di- stinguono per la qualità scientifica dei lavori prodotti e la novità delle proposte teoriche e metodo- logiche:

Il Centre of policy Modelling istituito presso la Manchester Metropolitan University (http://www. cfpm.org/);

La European Academy of Technology and Innovation , istituita nel 1996 dal governo del Rhi- neland- Palatinate la cui attività è volta allo studio dell’impatto delle innovazioni tecnologiche in un’ottica di complessità e con l’obiettivo di supporto di policy (http://www.ea-aw.org/); Il gruppo Volterra, una private corporate la cui produzione è rivolta primariamente al supporto di policy attraverso l’applicazione di teorie e metodi propri del paradigma di complexity (http:// volterra.co.uk/).

zionali metodologie di analisi scenariale, secondo alcuni contributi di letteratura che hanno il pregio di fare il punto della situazione, si pongono principalmente sul piano della comprensione degli effetti delle policy originati dai meccanismi complessi propri dei sistemi socio-economici (Boero e Squazzoni 2010, Terna 2009, Squazzoni 2014, Roswell 2012).

Le deficienze cognitive riconosciute rispetto a queste esigenze si possono ricon- durre a due principali motivi: l’inadeguatezza dei modelli statistici tradizional- mente utilizzati dai policy analysts nel cogliere i dettagli micro/locali determinan- ti nella produzione degli outcomes aggregati; la relativa ingenuità degli strumenti di previsione scenariale utilizzati nella valutazione ex-ante che sottostimano l’importanza della fase attuativa del processo di policy ovvero la reazione agli interventi prodotta dai destinatari, l’effetto aggregato delle interazioni tra queste reazioni individuali e le conseguenze su diverse scale spazio-temporali (Boero et al 2010). La complessità deve quindi essere presa in considerazione non nel tentativo riduzionista di eliminarla ma, come approccio, nel tentativo di produrre comprensione, spiegazione e previsione (Axelrod et al. 1999).

L’analisi previsionale dei processi e degli effetti delle policy si potrebbe ampia- mente giovare di una ‘consapevolezza della complessità’. Da una parte tenere in conto il ruolo delle molte e diverse interazioni tra agenti eterogenei consente di prendere coscienza della imprevedibilità degli effetti a livello aggregato (macro) a partire dai comportamenti singoli, così come della possibilità che si formino equilibri subottimali nel sistema (diseguaglianze, segregazioni). Dall’altra, la rap- presentazione dei destinatari non come agenti isolati e massimizzanti ma come individui calati in contesti di relazioni e interazioni che ne orientano preferenze e comportamenti, porta a considerare la potenziale diversità di effetti di uno stesso intervento anche al livello micro. Quando anche, in un’ipotesi riduzionista, fosse chiaramente descrivibile il comportamento individuale, i risultati a livello aggre- gato rimarrebbero però, per quanto si è detto sui CAS, altamente imprevedibili. Ragionare sulle policy in ottica di complessità dovrebbe così portare a limitare coscienziosamente l’obiettivo dello studio dei processi di policy alla compren- sione delle proprietà dei sistemi e dei suoi meccanismi generativi escludendo dal panorama dei possibili esiti scientificamente fondati quello della previsione di stati futuri del sistema.

Ma la richiesta di previsioni è però comprensibilmente diffusa tra i policy makers ed è il motivo del persistente appealing dei modelli di previsione basati sull’im- postazione metodologica (economicistica) prettamente marginalista e orienta- ta all’equilibrio del sistema considerato. Questo tipo di modelli ha successo e seguito perchè, anche se largamente inadeguati a comprendere i fenomeni che pretendono di prevedere,‘forniscono una risposta’, nella maggior parte dei casi rassicurante in quanto formulata in un framework teorico condiviso tra il policy maker e il policy analyst (Rosswell et al. 2012).

L’inadeguatezza degli strumenti tradizionali (e delle previsioni in genere) è però evi- dente e risiede nel fatto che il problema da fronteggiare non è quello dell’imperfetta informazione (ovvero informazione scarsa e scadente ma che l’impiego di adeguate risorse può migliorare e aumentare) ma dell’imperfetta conoscenza (che nessuna ulteriore informazione può colmare) propria della complessità che si riscontra nei processi di policy. Imperfetta conoscenza significa incertezza e ambiguità rispetto a diversi momenti del processo di policy: nella condizione iniziale, nell’ordine in cui gli agenti prendono le decisioni, nella natura e struttura delle reti che li connettono e nei comportamenti che seguono. Tutto questo porta a far cadere l’edificio degli strumenti analitici utilizzati nella modellizzazione di stampo economico per com- piere previsioni sulle traiettorie future che, per la complessità dei fattori implicati, possono svilupparsi in molte e intricate direzioni:

“In the policy world such repetitions (di nessi cause-effetti, ndr) is often lacking and each repetition of a policy takes effect in distinctively different circumstances. Such differences reduce the possibility of sistematically accu- rate prediction and generate multiple possible futures” (Rosswell et al. cit.).

Altro profilo critico degli approcci tradizionali si trova nella sottovalutazione dell’interazione sociale a livello micro nel determinare gli effetti di policy (Squaz- zoni 2014). Questa sottovalutazione si lega a tre fondamentali mancanze: il persi- stere di un modo di pensare meccanicistico, che riconduce l’intervento di policy a uno schema top-down; una teoria parziale del comportamento umano (fondato sull’assunzione di razionalità dell’individuo nella risposta agli incentivi e sul suo isolamento dal contesto sociale); scarsità di dati utilizzabili per l’analisi complessa delle policy (ovvero i dati disponibili, aggregazioni in serie storiche, sono utilizza- bili solo in un framework che presuppone la derivazione ‘additiva’ dei fenomeni sociali dai comportamenti individuali). L’interazione sociale, cme già detto, è una forza importante nel determinare gli outcomes degli aggregati in quanto condi- ziona, attraverso le norme sociali, le preferenze e i comportamenti degli agenti e guida i processi di autoorganizzazione attraverso le dinamiche proprie della strut- tura che la definisce. Interventi di policy che non tengano conto di questa ‘au- tonomia’ del livello micro nella rielaborazione degli schemi di incentivi/sanzioni contenuti in una policy e del suo stesso significato, rischiano di confliggere con queste strutture autorganizzate preesistenti e possono generare risultati inattesi e non voluti (Squazzoni cit., Ghorbani et al 2014).

Merita sottolineare un aspetto che caratterizza queste critiche. L’obiettivo non sembra essere, o perlomeno non principalmente, gli esponenti della analysis per i quali non sono certo ignoti i concetti di sistema di attori, di feedback e di ap- procci bottom-up ai processi. Sembra piuttosto che le critiche siano rivolte a esperienze e tradizioni più vicine, ovvero agli approcci economici di scuola clas- sica ispirati ai modelli di sistemi lineari popolati da attori razionali. La qual cosa

più che rassicurare sulle prospettive di dialogo interdisciplinare, conferma quella indifferenza di cui si è detto in apertura di capitolo.

Nei contributi richiamati c’è poi, oltre alla pars destruens della critica, una riflessio-

ne rivolta alle prospettive di reframing del processo di policy all’interno del paradigma

CAS.

Il punto di partenza condiviso è che quando la complessità non è eliminata dalla prospettiva di osservazione del policy maker si può ripensare il processo di policy come parte del sistema stesso il cui comportamento è orientato a modificare. In questo senso, l’analisi dei modelli di governance in una prospettiva di com- plexity offerta da Duit è quanto mai pertinente (Duit et al. 2008). Il concetto di

governance rimanda al mondo degli assetti istituzionali e alla dimensione orga- nizzativa e pertiene maggiormente alla fase di esecuzione che non di scelta delle policy. Solo in parte può quindi essere ricondotto al focus centrale del nostro discorso che verte sul processo e soprattutto sui meccanismi decisionali. Al netto di questa dovuta precisazione, l’autore propone un confronto tra modelli di go- vernance definiti in base alla loro possibilità di aumentare la capacità adattiva dei sistemi in cui sono immersi ovvero di fare leva sulle proprietà specifiche dei CAS, accompagnarne i processi e tentare di evitare l’insorgere di risultati indesiderati e lontani dagli obiettivi di policy.

Nel far questo misura le potenzialità adattive dei modelli di governance in base a due dimensoni concettuali: l’exploitation (intesa come la capacità di beneficiare

delle forme di organizzazioni rilevabili nella società, o in altre parole di control- lare il coordinamento e la cooperazione tra gli attori ) e l’exploration (intesa come

capacità/possibilità di osservare e comprendere l’esistente, e di provare su que- sta base delle soluzioni operative, experimentation). Dall’incrocio di queste due di-

mensioni ricava quattro tipologie di governance delle quali solo quella cosiddetta Robusta (con alti livelli di exploitation e exploration) consente un effettivo governo

della complessità. Al di là della validità empirica dell’ipotesi, rimane importante il richiamo alla necessità di allineare exploration e exploitation e all’auspicabile passaggio da un modello di gestione della realtà command-and-control a un mo- dello che si orienti verso il self-govenment adattivo del sistema, in cui i modelli di governance giocano un ruolo fondamentale.

Spostando l’attenzione al livello delle policy, convergono sulla necessità di utiliz- zare la complessità per ripensare la funzione delle policy (reframing) anche Boero e Squazzoni quando sostengono che:

“…by emphasizing that social systems are composed of heterogeneous hu- man agents, which are reflexive and influenced by the macro outcomes they cause, the complexity perspective allows us to reframe policy as a component of the behaviour of a particular system. Once viewed as something that is embedded within the system, rather than taking place before and off-line, policy starts to be practiced as a crucial component which interacts with other

components in a constitutive process” (Boero e Squazzoni cit.).

La considerazione del processo di policy in un’ottica di complessità suggerisce quindi come possa essere utile coinvolgere gli stakeholders nella definizione del quadro semantico di approccio ai problemi. Ad un livello più profondo, consente di ripensare alla relazione tra sistema di policy e sistema target della policy ov- vero alla policy come componente (guidata) dei processi di auto-organizzazione del sistema fondati sulle interazioni sociali tra soggetti eterogenei e diversi. Fare consapevolmente leva su queste dinamiche, una volta che siano state comprese attraverso la predisposizione di adeguati strumenti di conoscenza, conduce ad abbandonare i modelli ancora troppo centrati su un’ottica top-down e a ridurre i rischi di fallimento a questa connessi.

2.5 In nome della complessità: per un dialogo interdiscipli-