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Rappresentare la complessità dei fenomeni sociali: i modelli di simulazione basati su

3.2 La modellizzazione ad agenti nella tradizione di ricerca sociologica

3.2.4 Un po’ di storia: applicazioni ABM nella ricerca sociale

L’affermazione degli ABM come strumento di ricerca (sociale e non solo) si può far risalire più o meno a metà degli anni ’90 del XX secolo. La proposta metodologica all’interno della comunità dei sociologi si può però retrodatare agli anni ’60 quando l’idea della simulazione dei fenomeni aggregati basata sul comportamento di agenti minimali e l’utilizzo di tecniche computazionali per lo studio dei fenomeni sociali si concretizzò nella pubblicazione dei primi volumi del The Journal of Mathematical Sociology che conteneva la descrizione del

paradigmatico, e già abbondantemente citato nelle pagine precedenti, Segrega- tion Model (si veda box 1). Nella sua semplicità, il modello conteneva in nuce tutti

gli elementi degli ABM: agenti individuali che interagiscono secondo regole semplici in un ambiente che li condiziona e che concorrono a condizionare e che manifesta a livello aggregato dei fenomeni non prevedibili ma prodotti dal comportamento individuale.

A parte quell’esperienza pionieristica, di una vera e propria diffusione della metodologia si può parlare solo dalla seconda metà del decennio ’90 con il rila- scio dei primi software per la realizzazione di ABM: SWARM sviluppato dal Santa Fe Institute (1995) e soprattutto NetLogo (1999) che ha considerevol- mente abbassato le barriere all’ingresso per lo sviluppo degli ABM. Da allora, la metodologia ha conosciuto un’affermazione crescente fino a configurarsi oggi come una solida alternativa ad approcci metodologici più tradizionali e come più efficace strumento per lo studio dei sistemi complessi. Oggi si può a buona ragione parlare dell’esistenza di una comunità di modellisti che unisce practicioners di varia estrazione disciplinare: economisti, sociologi,

psicologi e scienziati hard (fisici, biologi e studiosi di ecosistemi).

Il senso di identità della comunità di modellisti ha cominciato a crescere negli anni di pari passo con la produzione e l’organizzazione scientifica. È del 1998 la nascita di una rivista interamente dedicata alla simulazione sociale (JASSS-Journal Of Social Science Simulation) fondata da Nigel Gilbert della Surrey University che

riuniva intorno ad un prodotto editoriale (online) un gruppo di ricercatori della stessa università di Surrey che in realtà si riconoscevano come gruppo già dal 1992 e confluiranno nella fondazione della European Social Science Simulation nel 2003. Il primo testo di manualistica può forse considerarsi quello, che si è già avuto modo di citare, dello stesso Gilbert (Gilbert e Troitzsch cit. edito per la prima volta nel 1999) cui ne seguirono presto altri.

Nel 2002 viene pubblicato un primo articolo di revisione della produzione scientifica in ambito sociologico (Macy et al. 2002) in cui si analizza l’ondata

di produzione in ambito ABM cui si è assistito nel decennio precedente (e si cerca di fare chiarezza sulla natura, gli obiettivi e le principali caratteristiche del

nuovo approccio). Nel 2008 un secondo momento di indagine sulla produzio- ne scientifica in ambito ABM (Heath 2008) ricostruisce l’impiego del metodo nel periodo 1998-2008 ed è un utile riferimento per ribadire la potenziale universalità delle sue applicazioni.

Gli autori, infatti, classificano un campione di 279 articoli scientifici in base a vari criteri: software utilizzato, obiettivo della simulazione, tecniche di validazione e campo di applicazione. Al netto delle applicazioni militari (che fanno registrare un consistente 13%), le scienze umane (Public policy, Social Science e Economics nel grafico) mostrano di essere il campo privile- giato per queste applicazioni (oltre il 60%) ma è consistente anche la presenza di lavori nei settori delle scienze della vita (oltre il 23%).

In anni più recenti, un’ottima revisione critica (Bianchi et al. 2015) richiama

alcune delle esperienze più rilevanti di questi vent’anni di applicazioni ABM in campo sociologico e le colloca rispetto al loro apporto di novità in due domini di ricerca:

- cooperazione e norme sociali; - meccanismi di influenza sociale.

La rilevanza di questo contributo sta oltre che nell’immediata utilità di poter disporre di una revisione aggiornata della letteratura in ambito di modellizza- zione, soprattutto nel qualificare con attenzione l’impatto di questi contributi. Gli autori, infatti, non utilizzano i temi come semplici criteri di classificazione e ordinamento ma, con approccio problematico, considerano quanto i singoli temi sono stati arricchiti dall’impiego della metodologia ABM ovvero su quali meccanismi e dinamiche la modellizzazione riesce a gettare nuova luce. Dopo l’attenta disamina e sistematizzazione dei contributi (per l’approfondi- mento dei quali si rimanda all’articolo) vengono tratte alcune conclusioni circa il portato sociologico dei metodi di modellizzazione (anche in ottica di policy) che merita riportare.

Riguardo il primo dominio di ricerca (le norme sociali) gli autori evidenziano, sulla base dei risultati della ricerca effettuata mediante l’impiego di ABM, come l’ordine sociale possa essere promosso dai processi di continuo adatta- mento di una società in cui vi sia spazio per la spontanea auto-organizzazione dei gruppi emergente da interazioni basate sull’eterogeneità dei comportamenti e delle norme sociali. Strumenti di policy di incentivi-sanzioni (top-down), che igno-

rino questa realtà autorganizzativa (bottom-up) e si basino sulla considerazione degli individui come enti isolati e auto-riferiti rischiano di minare la soste- nibilità del sistema sociale che si propongono di sostenere. Rischiano infatti di cristallizzare la frammentazione e di spingere in direzione del conflitto invece che della integrazione tra agenti e gruppi eterogenei, bloccando i processi evolutivi di adattamento a livello del sistema globale. Gli ABM, considerando le dinamiche di auto-organizzazione, possono aiutare a individuare inter-

venti di policy efficaci in quanto forniscono elementi di comprensione rispetto a quando e come gli incentivi, gli interventi regolativi possono essere efficienti, quando invece bisogna fare leva su norme sociali preesistenti e quando i due strumenti possono lavorare in sinergia (un approccio in ultima analisi soft-system).

Secondo la prospettiva dei meccanismi di influenza sociale, invece, gli ABM possono aiutare a capire l’importanza del contesto sociale anche quando l’oggetto di interesse è il comportamento individuale in quanto riescono a rappresentare (andando oltre la considerazione dei fattori strutturali che condizionano il comportamento) le reciproche influenze tra i livelli macro e micro con un‘attenzione particolare alla configurazione del contesto macro dei comportamenti e dei network operanti al livello dei componenti elementari del sistema. Questa bidirezionalità dei meccanismi causali che si evolvono nel tempo non può essere colta facilmente da altri approcci sociologici poiché necessita dell’integrazione di diverse tipologie di dati qualitativi e quantitativi provenienti da diverse fonti che solo gli ABM possono utilmente integrare. Gli ABM (e gli strumenti di sociologia computazionale in genere) mettono poi a disposizione del ricercatore sociale la possibilità di estrarre conoscenza dall’e- norme e ancora inesplorata fonte di informazione rappresentata dai big data. Si

intende con questo termine riferirsi alle collezioni di dati eterogenei (database strutturati, immagini, email, conversazioni sui social network) generati come

by-product della pervasività delle ICT nei processi di erogazione dei servizi (istitu-

zionali e di comunicazione e interazione) . Collocati all’interno di un framework

sociologically informed questi dati diventano un potente un mezzo di rappre-

sentazione e analisi delle complesse interazioni di un mondo globalmente (in estensione spaziale e sociale) connesso.

Capitolo 4

Costruire ABM per accompagnare i