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Le politiche pubbliche sono processi caratterizzati da un elevato livello di com- plessità lungo tutto il loro ciclo di vita: dalla formazione dell’agenda, ai processi decisionali, all’attuazione degli interventi sino alla produzione degli effetti a que- sti collegati.

E sono processi complessi perché caratterizzati da:

- elevato numero di partecipanti eterogenei (decisori, stakeholders, destinatari degli interventi);

- molteplicità di interazioni tra partecipanti appartententi a diverse reti su di- versi livelli di scala (reti formali e informali, diversi livelli di governo, pub- blico/privato);

- fenomeni di adattamento dei comportamenti da parte dei partecipanti (mo- delli decisionali, recepimento dell’intervento da parte dei destinatari, sta- keholders nel processo di attuazione);

- azione e retroazione tra i diversi livelli di scala (il contesto condiziona il comportamento dei partecipanti che, coi loro comportamenti, concorrono a determinarlo);

- imprevedibilità dell’esito del percorso decisionale;

- imprevedibilità degli effetti dell’intervento sui fenomeni di interesse; - imprevedibilità degli effetti dell’intervento sul sistema sociale nel suo com-

plesso.

La comprensione di queste molte dimensioni di complessità è una sfida posta agli strumenti di costruzione di conoscenza finalizzata al supporto dell’azione della pubblica amministrazione (e per estensione delle organizzazioni in genere). A questa sfida i tradizionali approcci allo studio dei processi di policy sembrano non riuscire a rispondere adeguatamente.

Sul piano metodologico, né i metodi quantitativi né i metodi qualitativi sono in grado di rappresentare questa complessità. I primi legati allo studio della relazio- ne tra variabili aggregate di descrizione del fenomeno, ne colgono l’intensità ma non ne spiegano l’origine; i secondi si orientano a svelare i meccanismi profondi che caratterizzano un processo e ne determinano gli esiti in maniera tanto foca- lizzata da non consentire spesso la trasferibilità delle conclusioni.

Sul piano dei riferimenti concettuali, il processo di policy è stato sinora studiato da due prospettive che faticano a dialogare: la policy analysis e l’approccio di complexity. Ciascuna per la sua parte, queste prospettive difettano nella completa rappresentazione del fenomeno di policy. La prima, concentrata sul processo e

al suo interno frazionata tra studiosi degli effetti e delle dinamiche decisionali e implementative, fornisce una descrizione accurata delle fasi del ciclo di policy ma manca di una visione organica delle relazioni tra i sottosistemi sociali coinvolti negli interventi e difetta nella considerazione dei complessi processi di interazio- ne tra i destinatari che possono influire sulla loro efficacia. La seconda si concen- tra sulle dinamiche complesse di produzione di questi effetti e di eventuale pro- pagazione nei molti sottosistemi che compongono il sistema sociale, ma non si cura di riflettere sulla produzione delle ipotesi di intervento, accolte come fattori esogeni del sistema che vogliono modificare e non come esito di processi interni. A fronte di queste difficoltà di interazione e integrazione, un mondo in cui l’inter- connessione tra individui, organizzazioni e processi (e politiche) diventa la cifra distintiva di ogni fenomeno sociale richiede di impegnarsi con urgenza nell’in- dividuazione di strumenti concreti di dialogo tra persone e saperi. Strumenti che possano rappresentare un terreno comune su cui far convergere, oltre che

scientists di diverso orientamento, anche gli altri attori coinvolti nello studio, nel-

la definizione e nell’implementazione di politiche pubbliche. Politiche che sono chiamate a governare questa complessità e che, sempre meno, possono essere pensate e realizzate unicamente considerando i confini del proprio dominio am- ministrativo. Tra questri strumenti possibili, cui abbiamo attribuito la funzione di

mediatore cognitivo, la simulazione basata su agenti (ABM) sembra un candidato cre-

dibile a soddisfare i requisiti propri di questa necessaria mediazione che abbiamo individuato nella capacità di rappresentare la complessità (interna ed esterna) dei processi e nella trasferibilità dell’applicazione ai diversi domini di policy. L’ambi- zione, sulla base di questi requisiti, è che gli ABM possano perseguire obiettivi di mediazione esplicativa (ridurre la compelssità), cognitiva (tra diverse sfere seman- tiche), metodologica (tra diverse tradizioni) e teorica (tra diverse prospettive). Per quanto riguarda il primo requisito (la rappresentazione della complessità dei processi), gli ABM sono nati e si sono sviluppati parallelamente al progressivo diffondersi del paradigma della complexity nelle scienze sociali come strumento di operazionalizzazione del paradigma stesso. Nel caso delle policy la complessità si estende, si è detto, non solo al contesto dell’intervento ma all’intero ciclo di vita dell’intervento pubblico e la sottovalutazione delle arene decisionali nella defini- zione degli scenari possibili rischia di togliere efficacia agli strumenti di valutazio- ne ex-ante, ABM compresi. In questo senso, seppure sul piano di una proposta da sottoporre al vaglio della prova empirica, gli ABM si mostrano compatibili con altri approcci e metodi di indagine che meglio presidiano le fasi decisionali (la Te- oria dei Giochi e i Serious Game) e la definizione di scenari plausibili (Qualitative Comparative Analysis) e i cui risultati potrebbero essere utilmente implementati in un modello ad agenti. Riguardo il secondo requisito (la trasferibilità nell’appli- cazione), in aggiunta alla versatilità richiamata nel cap. 4 e ribadita nel caso del modello di mobilità sistemataica nel cap. 5, l’universalità del concetto di sistema

consente di utilizzare l’approccio e la tecnica per lo studio di qualsiasi oggetto di interesse che sia caratterizzato da eterogeneità dei componenti e delle interazioni tra di essi.

In termini di obiettivi, gli ABM possono poi giocare una funzione di mediazione lungo tutte le dimensioni proprie del mediatore cognitivo. In merito alla dimensio- ne esplicativa, gli ABM riducono notevolmente la complessità dei sistemi oggetto

di osservazione di cui deve farsi carico il decisore pubblico. L’internalizzazione delle complesse teorie esplicative dei fenomeni nel codice informatico permette di disporre di un quadro semplificato di input da considerare nella generazione degli output di interesse. La validazione, ove possibile, del modello aumenta poi la chiarezza agli occhi degli utilizzatori e conseguentemente la fiducia nell’uti- lizzo dello strumento. In pratica, le complesse interazioni tra i numerosi agenti eterogenei che caratterizzano il mondo reale e determinano l’emergenza dei fe- nomeni sono presenti anche nel modello ma ‘non si vedono’. La costruzione di un modello ABM può costituire, l’abbiamo vista, una piattaforma di discussione per arrivare ad una definizione della situazione e dei problemi su cui possano ritrovarsi tutti gli attori coinvolti nei processi. La dimensione cognitiva può essere

quindi soddisfatta dalla possibilità di definizione di proprietà e regole di compor- tamento rilevanti degli agenti e del sistema attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori del/i policy subsystem in modo da raccogliere le diverse prospettive soggettive di osservazione e la convergenza di diverse prospettive disciplinari. Tradurre dei focus groups in ipotesi di meccanismi da implementare in un codice

che genera comportamenti frutto di una visione condivisa è un’ipotesi alla por- tata e già applicata nella modellizzazione partecipativa. Gli ABM sono poi un metodo che necessariamente integra dati eterogenei e di diversa fonte, qualitativi e quantitativi, fromalizzazioni matematiche e teorie, descrizione di meccanismi sociali e produzione di dati per la misurazione dei loro effetti. Un ABM ha biso- gno di qualificare i comportamenti dei suoi componenti elementari (micro) per poter quantificare i loro effetti a livello aggregato (macro). Sulla dimensione di mediazione metodologica, quindi, non sembra di dover insistere oltre.

Così come per la dimensione teorica è sufficiente richiamare che la modelliz- zazione del comportamento degli agenti (e della rilevanza dei condizionamenti derivati dal contesto) può essere descritto sulla base di diverse teorie esplicative focalizzate sulla spiegazione di specifici elementi del sistema. Ad esempio, in un mondo in cui agenti regolatori applicano schemi razionali creando un contesto strutturante per gli agenti elementari, nulla impedisce che nelle interazioni tra pari questi applichino schemi comportamentisti e informati da razionalità limitata Gli ABM quindi sembrano poter rappresentare nell’ambito dello studio dei pro- cessi di policy, se non una rivoluzione metodologica, un grande aiuto per l’inte-

grazione e il proficuo dialogo interdisciplinare a supporto della definizione di politiche pubbliche efficaci e sostenibili. Il riconoscimento della validità del me-

todo, e del paradigma della complessità su cui si fonda, può costituire un terreno di incontro e confronto in cui policy analysts e studiosi di policy complexity-oriented

possono integrare le proprie rispettive competenze, metodologie e acquisizioni. Con il risultato auspicabile di poter garantire al decisore pubblico una lettura semplificata ma esaustiva della realtà su cui si trova a intervenire.

Possono cioè concorrere a fornire ai decisori pubblici una conoscenza utile a orientarsi nella complessità dei fenomeni sociali che entrano nel proprio dominio di competenza. Una conoscenza, in ultima analisi, complessa essa stessa, che nel “…riconoscimento dell’incompiutezza e della incompletezza di ogni conoscen- za… [si traduca in]... aspirazione a un sapere non parcellizzato, non settoriale, non riduttivo... un pensiero multidimensionale che possa articolare ciò che è col- legato e collegare ciò che è disgiunto”6.

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