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I componenti straordinari del reddito: è possibile una classificazione uniforme?

DEL CONTO ECONOMICO Libero Mario Mari

3. I componenti straordinari del reddito: è possibile una classificazione uniforme?

I componenti straordinari di reddito vengono variamente definiti come non ricorrenti, inusuali, infrequenti, irregolari, eccezionali, accessori e via seguitando (Coppa R., 1988, p. 7); essi, sostanzialmente, possono essere generati da molteplici e variegate cause, a volte molto distanti fra loro, che rendono assai difficoltoso trovare tratti comuni, e quindi generalizzabili, all’intera categoria.

Volendo compiere una sistematizzazione, è possibile individuare due differenti modalità di interpretazione del fenomeno: una prima, che punta l’accento sulla modalità e tempi di verificazione dell’evento nonché sugli effetti dello stesso; una seconda, che si basa sulla fonte generatrice del fatto, in quanto estranea all’attività ordinaria dell’impresa (Francia L., 2000, p. 236). Da ciò discende, primariamente, che gli eventi cui è associato il prodursi di aspetti reddituali straordinari possono essere collegati alle aree diverse della gestione, ovvero “il fenomeno dello straordinario non è aggiuntivo: non esiste un’attività straordinaria di impresa, ma soltanto l’impatto reddituale del verificarsi degli eventi straordinari rispetto alle due fondamentali classi di attività (caratteristica e accessoria)” (Gabrovec Mei, 1992, p. 157); secondariamente, attesa l’estrema differenziazione delle cause generatrici, risulta assai complesso arrivare, oltre a una classificazione, a un unico trattamento contabile che sia l’imputazione a Conto economico (all inclusive approach) oppure sia, almeno per una parte di questi, il transito diretto in Stato patrimoniale (non all inclusive approach).

In dottrina (Zappa, 1950, p. 305; Gabrovec Mei, 1992, p. 158) si è soliti far rientrare fra i componenti straordinari: 1) costi e ricavi legati a eventi causali o a inconsuete operazioni di gestione; 2) costi e ricavi per fatti eccezionali, in termini qualitativi e quantitativi; 3) profitti e perdite di realizzo a seguito dell’alienazione di beni strumentali; 4) rivalutazioni e svalutazioni; 5) costi e ricavi relativi a precedenti esercizi, legati a cambiamenti di criteri di valutazione degli elementi patrimoniali o alla correzione di errori e di stime.

Come si può notare dalla suesposta elencazione, certamente non esaustiva, la categoria si presenta alquanto eterogenea sia per cause formative che per effetti che possono prodursi sulle dinamiche economiche. In effetti, molteplici sono i criteri utilizzati nella predetta classificazione: “dall’inusualità con riguardo all’attività o all’ambiente in cui l’azienda opera all’infrequenza; dalla rilevanza, ossia l’impatto quantitativo sul bilancio, all’estraneità alla gestione caratteristica; dall’esistenza di una manifestazione di volontà contrattuale all’imputabilità degli effetti. Nessuno di questi criteri può, in assoluto, dirsi ottimo” (Lacchini M., 1988, p. 50).

Nella prima categoria rientrano i componenti reddituali, positivi e negativi, legati a eventi causali, imprevedibili e, comunque, non direttamente dipendenti dalla volontà degli amministratori (Vivarelli A., 1969, p. 9). Trattandosi di accadimenti in qualche modo estranei all’attività di gestione (sopravvenienze e insussistenze), si discute se debbano o meno contribuire alla formazione del risultato di periodo. Molti autori (per tutti, Amodeo D., 1965, p. 623 e ss.) sono dell’opinione che la rilevazione diretta a capitale sia da preferire, anche se di fatto avallano la pratica contabile di una loro imputazione a Conto economico. Tuttavia, il pensiero prevalente è che, in generale, tali componenti devono transitare in Conto economico, influenzando la determinazione del reddito di periodo. In tal senso già Zappa aveva cercato di eliminare qualsiasi dubbio osservando che “discutere senza limiti sull’opportunità di imputare componenti di reddito ordinari o straordinari … al Conto Profitti e perdite o al “Capitale”, distrarre dalla formazione del reddito d’esercizio quei valori che si vogliono giudicare propri di esercizi passati o che si presume avranno realizzazione in esercizi futuri … tutto ciò significa facile consenso ad alterazioni e a oscuramenti di bilancio per incomprensione dei più elementari principi che reggono ogni forma di rilevazione di fenomeni costituiti in organica unità” (Zappa G., 1950, p. 301). Si tenga inoltre presente che non sempre è dimostrabile l’estraneità di un evento casuale all’attività di gestione; in effetti, molti di questi, si pensi ad esempio agli eventi dannosi, si sarebbero potuti evitare grazie a una maggiore attenzione da parte di chi ha la responsabilità dell’amministrazione dell’impresa (Vivarelli A., 1969, p. 10).

Nella seconda categoria sono ricompresi sia i fatti eccezionali, in quanto irripetibili, sia gli effetti particolarmente “anormali” di eventi che potrebbero essere considerati per natura “normali”. Si tratta di una classificazione che sconta un grado elevato di soggettività, per cui risulta impossibile definirne una casistica di generale validità, e “solo coloro che hanno un’approfondita conoscenza dell’attività aziendale passata e una visione esaustiva delle operazioni che verranno poste in essere nel futuro possono essere in grado di

giudicare la possibilità che un determinato evento possa ripetersi” (Pozzoli M., 2001, p. 11) o che abbia una un effetto ritenuto “anormale”. Qui non è in discussione la loro iscrizione in Conto economico; quello su cui, invece, sussistono dubbi è la corretta collocazione nelle differenti aree di formazione del reddito di periodo.

Sulla “straordinarietà” delle cosiddette plusvalenze e minusvalenze da realizzo (terza categoria) di beni strumentali all’esercizio dell’attività di gestione sembra non esserci particolare discussione; tali beni, infatti, sono destinati in via “normale” all’utilizzo nella produzione e solo in via “d’eccezione” rivolti alla vendita. Tuttavia, si evidenzia come i componenti reddituali di cui si discute siano strettamente connessi a quanto compiuto nella gestione ordinaria. In particolare, se si tratta di beni soggetti ad ammortamento, “le differenze fra i ricavi di vendita e i valori contabili sono profitti lordi che si risolvono in minori costi di ammortamento già imputati a precedenti esercizi (se positive) oppure perdite lorde che si risolvono in maggiori costi di ammortamento degli stessi esercizi (se negative)” (Vivarelli A., 1969, p. 21). Dunque, siamo di fronte a eventi la cui “straordinarietà” è dovuta sostanzialmente all’appartenenza a più periodi amministrativi.

In merito alle rivalutazioni e svalutazioni si osserva che queste derivano da una pluralità di cause: dall’adeguamento al mutato valore della moneta, da processi di ammortamento non in linea con la utilizzazione economica dei cespiti, da situazioni economiche generali interne ed esterne all’azienda. Le rivalutazioni monetarie non sono considerate “straordinarie” per due principali ragioni: la prima è che lo stesso codice civile le esclude dai casi ritenuti eccezionali ai fini dell’applicazione della deroga ex art. 2423, comma 4; la seconda è che tali aspetti sono riservati al legislatore ordinario, il quale tende a disciplinare in modo preciso, non solo la quantificazione, ma anche il conseguente trattamento contabile e rappresentativo di bilancio. Per le rivalutazioni e le svalutazioni dei cespiti ammortizzabili in virtù di piani di riparto non adeguati, a seguito di erronee valutazioni sulla durata della vita utile o sul prezzo di realizzo finale, valgono le considerazioni compiute poco sopra circa il tema delle plusvalenze e delle minusvalenze da realizzo (Vivarelli A., 1969, p. 27). Resta quindi il caso di situazioni economiche generali, interne ed esterne, che possono determinare, quale fatto eccezionale, l’utilizzo della deroga ex art. 2423, comma 4, cod. civ., evidenziando minusvalori e plusvalori, questi ultimi da iscrivere, secondo i dettami del codice, in una riserva non distribuibile.

Anche l’ultima categoria si presenta assai diversificata per cause generatrici; possono, infatti, riguardare sia cambiamenti dei criteri valutativi

possibili, secondo il codice civile, in casi “eccezionali”, sia correzioni di errori o di stime, per le quali si discute se i conseguenti effetti si debbano imputare a Conto economico oppure a rettifica della voce di Stato patrimoniale, con contropartita alle riserve di utili disponibili (Pozzoli M., 2001, p. 51; Pisani M., 1999, p. 620).

4. I componenti straordinari secondo i principi contabili