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LA POLITICA DI BILANCIO NELLA DOTTRINA ECONOMICO-AZIENDALE: RIFLESSIONI CRITICHE

6. Considerazioni conclusive

Nelle pagine precedenti si è evidenziato come, delle quattro concezioni di “politica di bilancio” illustrate, le prime due (quella “fisiologica” e quella volta alla stabilizzazione palese dei dividendi) non comportano problemi di sorta, mentre la terza (creazione di riserve/annacquamenti occulti) può sfociare in

19 Si badi: vi è notevole differenza tra gli annacquamenti di capitale e le riserve occulte. Nel

primo caso viene senz’altro perpetrato un raggiro nei confronti degli aventi diritto ed interesse, mentre nel secondo la questione assume un contorni diversi. Il conseguire, da parte dei soci, anche di minoranza, un dividendo inferiore al dovuto non sempre rappresenta uno svantaggio: viene infatti potenziata la solidità dell’azienda e si creano riserve non palesi che agevolano la politica di “conguaglio dividendi” che, fatte salve le considerazioni già espresse al riguardo, spesso si rivela vantaggiosa per la stessa compagine sociale.

comportamenti eticamente scorretti e giuridicamente perseguibili e la quarta (manipolazione dei dati oggettivi del bilancio) sicuramente possiede queste ultime caratteristiche.

La “politica di bilancio” che può quindi creare problemi interpretativi è quella da noi indicata come “terza concezione”, dove entrano in gioco decisioni di carattere soggettivo che sono difficilmente giudicabili.

Invero, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 127/91, l’introduzione della “clausola generale” (art. 2423 c.c., secondo comma) – sovraordinata ai “principi di redazione” (ex art. 2423-bis c.c.) ed ai “criteri di valutazione” (ex art. 2426 c.c.) – ha imposto l’obbligo della chiarezza di redazione, nonché della

rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e

finanziaria della società e del risultato economico dell’esercizio. La disposizione legislativa possiede un forte carattere innovativo rispetto alla previgente disciplina del codice civile del 1942, in quanto prescrive la sostanziale aderenza tra i valori di bilancio e la realtà, attraverso l’adozione di criteri di valutazione e di rappresentazione formale il più possibile coerenti e neutrali. I valori di bilancio, quindi, pur derivando da analisi di tipo soggettivo, dovrebbero possedere il requisito essenziale della “attendibilità” e della “credibilità” (Ferrero, 1991, pagg. 21-22; Caramiello, 1994, pag. 20). Da ciò si deduce agevolmente che il processo di formazione del bilancio deve essere caratterizzato da imparzialità, ragionevolezza,

competenza e da onestà di intenti. Di conseguenza: “Il mancato rispetto della

clausola generale del bilancio, nel suo complesso, non può non condurre, ovviamente, all’invalidità assoluta del bilancio” (Caramiello, 1994, pag. 23). In prima approssimazione, sembrerebbe pertanto inibita la possibilità di mettere in atto le cosiddette “politiche di bilancio”, quali atteggiamenti protesi all’utilizzo strumentale delle valutazioni, onde mostrare una situazione economica, finanziaria e patrimoniale incongrua, più o meno distante dalla realtà.

Tuttavia, a ben guardare la questione è assai più complessa e non è risolvibile in termini tanto semplicistici.

In effetti, questa tipologia di politica di bilancio sotto l’aspetto “etico” tende ad assumere un significato negativo solo quando gli amministratori agiscono strumentalmente per indurre in errore i terzi nella lettura del bilancio. Sotto l’aspetto “giuridico” diventa inoltre rilevante e sicuramente perseguibile quando, sotto il profilo operativo, gli stessi superano i fisiologici margini di discrezionalità nella valutazione delle voci di bilancio (profilo soggettivo) a loro

disposizione20.

Peraltro, lo si è rilevato, se in sede valutazione, si agisce all’interno di confini ben definiti e ragionevoli, le scelte operate possono non essere ritenute censurabili: anzi, talvolta – in particolare per quanto riguarda la creazione di riserve occulte – secondo la migliore dottrina esse sono consigliabili per consentire alla combinazione produttiva seguire criteri di razionalità amministrativa atti anche a fronteggiare le conseguenze sfavorevoli della variabilità interna ed ambientale, in modo da dare alla gestione una maggior sicurezza di svolgimento (Cassandro, 1946, pag. 51 e segg.).

D’altro canto, a causa dell’impossibilità di formulare criteri di valutazione, di carattere assoluto, i concetti di verità e correttezza assumono un significato relativo in quanto variano da caso a caso e da momento a momento. È pertanto ineliminabile un certo margine operativo a disposizione degli amministratori, ancorché esso sia meno ampio del passato a seguito delle progressive innovazioni legislative in materia di formazione del bilancio di esercizio che hanno introdotto vincoli sempre più stringenti, limitando progressivamente la possibilità di effettuare politiche di bilancio orientate verso finalità più o meno discutibili. Dalle lacunose disposizioni del Codice di Commercio del 1882, le quali si limitavano a stabilire – era questa la sola disposizione di rilievo – che il bilancio doveva “[...] dimostrare con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte” si è giunti ad una normativa molto più compiuta e tendente a limitare lo spazio alle politiche di bilancio, attraverso la previsione di criteri di valutazione analitici a partire dal Codice Civile del 1942 (art. 2425) e del Codice Civile rinnovato prima con D.Lgs. 127/91, poi con D.Lgs. 6/2003 e, infine, con D.Lgs. 139/2015 (art. 2426).

Anche sotto il profilo dei principi contabili, sia nazionali che internazionali, si è assistito, a partire dagli anni settanta del Novecento, alla formazione di un corpus di regole sempre più stringenti nella regolamentazione delle valutazioni delle voci di bilancio. Purtuttavia, i margini di discrezionalità degli amministratori, seppure progressivamente “compressi” (Verona, 2006, pag. 3 e segg.), restano un intoccabile baluardo per coloro che di questi voglio approfittare. La soggettività delle stime, sebbene possa essere limitata, non può essere infatti eliminata totalmente.

Peraltro, oltre alla presenza di criteri sempre più complessi, sia a livello

20 Le politiche di bilancio sono spesso utilizzate dalle aziende italiane, soprattutto in periodi di crisi,

per limitare il grado di allarme che risultati di bilancio particolarmente negativi possono suscitare negli stakeholder. Tuttavia, affinché esse siano praticabili occorre che, oltre ad essere effettuate in maniera moderata, l’azienda abbia una ragionevole prospettiva di inversione del moto aziendale verso performance positive, si muova nel rispetto della disciplina di bilancio e offra un’adeguata informazione sulle prospettive di ripresa futura (Antonelli, 2011, pagg. 74-75).

nazionale che internazionale, occore pure ricordare che i principi Ias/Ifrs hanno introdotto, seppure limitatamente, dei criteri fondati sulle previsioni. Ne consegue che, sebbene l’affinamento della disciplina in materia di bilancio abbia comportato nel tempo, almeno idealmente, una crescente limitazione degli ambiti di discrezionalità a disposizione del management, gli amministratori che vorranno mostrare una situazione aziendale diversa da quella effettiva potranno usufruire di nuovi strumenti, con relativi spazi di manovra, peraltro nell’osservanza formale delle regole.

In definitiva, gli amministratori, anche se rinunciassero a porre in essere politiche occulte di carattere “oggettivo”, evidentemente sfocianti in un falso

materiale, avrebbero sempre a disposizione la possibilità (non particolarmente

difficile da attuare) di abusare dei più volte richiamati margini di discrezionalità sulle valutazioni, quindi di porre in essere politiche occulte di carattere “soggettivo”. Ciò può procurare alterazioni anche di rilevante entità che nella migliore delle ipotesi impediscono al bilancio di rappresentare uno strumento di informazione neutrale (Amaduzzi, 1949, pag. 13), intendendosi con questo che esso debba fondarsi su principi contabili che non favoriscano le esigenze o il tornaconto di particolari soggetti (OIC 11, sub “Postulati del bilancio d’esercizio”) e nella peggiore delle ipotesi conducono comunque alla falsità del documento di sintesi. Il tutto però perpretato in maniera decisamente più subdola – e pertanto più difficilmente dimostrabile – rispetto alle manipolazioni dei dati “oggettivi” del bilancio 21.

21 Negli ultimi anni, sia a livello nazionale che, soprattutto, internazionale, è stato

particolarmente approfondito il fenomeno dell’earnings management. Com’è noto, con tale termine si intede la messa in atto di manipolazioni contabili da parte degli amministratori per raggiungere specifici obiettivi, normalmente connessi alla presentazione di bilanci più attraenti per varie finalità (condizionare potenziali investitori o finanziatori, ottenere maggiori commesse o appalti, aumentare i propri compensi in quanto connessi ai risultati, ecc.). L’earnings management, pur essendo un fenomeno estremamente ampio, presenta molti punti di contatto con le nostre “politiche di bilancio”. Fra le tante definizioni che sono state fornite al riguardo, Davidson, Stickney, Weil (1987) considerano l’earnings management come un processo tramite il quale gli amministratori perseguono lo scopo di determinare un desiderato livello di utili da mostrare all’esterno pur rispettando il disposto dei principi contabili. Tale politica può passare, oltre che dalle valutazioni, anche da come vengono riferiti i dati finanziari o da come vengono strutturate le transazioni aziendali in modo da ingannare i portatori di interesse (Healy e Wahlen, 1999, pagg. 365-383). Ma può anche essere finalizzata a livellare i dividendi nascondendo utili nei periodi più floridi per poi utilizzare le relative riserve occulte per migliorare i risultati in tempi meno favorevoli (Beneish, 2001, pagg. 3- 17). In sostanza, l’attività di earnings management può essere attuata tramite una numerosa serie di scelte in linea con i principi contabili (contabilità “conservativa”, contabilità “neutrale”, contabilità “aggressiva”), ma può sfociare anche in scelte illegali (contabilità “fraudolenta”) (Giroux, 2005, pagg. 6-7). Numerosi sono gli studiosi che si sono occupati di earnings management, anche cercando di effettuare delle classificazioni del fenomeno. Per un’analisi più ampia della principale letteratura si rimanda a Raoli (2015), pagg. 56-70.

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