LA POLITICA DI BILANCIO NELLA DOTTRINA ECONOMICO-AZIENDALE: RIFLESSIONI CRITICHE
3. La politica di bilancio: riflessioni dottrinal
Come è stato evidenziato, la “politica di bilancio”, intesa nel senso stretto del termine, è prima di tutto connaturata all’operatività aziendale e costituisce un effetto del tutto fisiologico connesso alle scelte operate dall’alta direzione nella scelta dei criteri di valutazione e di rappresentazione della dinamica aziendale nella redazione dei documenti di sintesi.
Tuttavia, com’è noto, il bilancio d’esercizio, ove sono sintetizzati, in cifre, gli andamenti aziendali frutto di tali “politiche”, è inficiato dalla presenza di tre fenomeni: l’errore, l’incertezza e l’indeterminazione (Cattaneo, 1959, pag. 155 e segg.). Soprattutto quest’ultima, intesa come “[...] impossibilità logica di attribuire un’unica misura agli aspetti quantitativi di un fenomeno” (Cattaneo, 1959, pag. 218) comporta l’insorgere di un certo grado di discrezionalità nella redazione del bilancio e quindi nella rappresentazione dei valori. Situazione, questa, ineludibile, perché intrinsecamente connaturata alla soggettività delle stime che, sebbene possa essere regolamentata e limitata, non può essere in alcun modo eliminata.
Emerge così il profilo operativo della politica di bilancio “naturale”, riconducibile alla scelta dei criteri che l’alta direzione opera per trasformare la dinamica aziendale in cifre e nelle connesse decisioni operative relative alla valutazione ed alla rappresentazione dei fenomeni aziendali nei documenti contabili, ma anche in questo caso assolutamente fisiologica e connaturata al divenire aziendale ed alla necessità della sua sintesi e rappresentazione.
È di pronta evidenza che la politica di bilancio “naturale” mai potrà essere riprovevole, anche quando si concretizza in scelte operative in quanto, se queste sono assunte con correttezza, imparzialità, ragionevolezza, competenza, prudenza, onestà e buon senso, sono volte esclusivamente a garantire una rappresentazione attendibile della situazione aziendale (Ferrero, 1991, pagg. 21- 22).
D’altro canto, “Sulle cifre di bilancio pesano in maniera rilevante le ipotesi fatte per squarciare il velo che copre la vita probabilistica dell’azienda. Se le ipotesi sono attendibili, il «risultato di bilancio» ha qualche probabilità di rappresentare la dinamica aziendale”. Tuttavia, “[…] se le ipotesi non sono
attendibili, tutta la struttura del bilancio viene meno e il risultato in esso iscritto non ha altro significato che quello vuoto e formale dei numeri, quando questi non hanno un substrato reale” (Giannessi, 1960, pag. 805).
Poiché l’organo amministrativo non può esimersi dal compiere delle scelte valutative, sia a livello di criteri che in ordine alle decisioni operative riguardanti la loro concreta applicazione, stante la connessa impossibilità di inquadrare tutto in indicazioni puntuali ed entro limiti precisi, è palese che l’alta direzione può agire sui margini di discrezionalità a sua disposizione per giungere a valori di bilancio atti a fornire una determinata rappresentazione della situazione aziendale, magari con la finalità di raggiungere scopi particolari.
Peraltro, tali comportamenti, che secondo alcuni autori evidenziano rispettivamente una politica di bilancio “ideologica” e una politica di bilancio “strumentale” (Pini, 1991, pagg. 18-19), non necessariamente devono essere interpretati in senso negativo o riprovevole in quanto non necessariamente conducono ad alterazioni del bilancio tali da pregiudicarne l’attendibilità. Ciò a patto che gli amministratori si muovano entro margini di azione ragionevoli e ponderati: il campo di variabilità dei valori contabili, peraltro mutevole a seconda dell’oggetto di osservazione, consente infatti di operare sopra/sottovalutazioni rispetto ad un valore ideale senza con ciò per forza inficiare la veridicità dell’informazione contabile.
In effetti, ipotizzando di poter individuare puntualmente, in senso matematico, il valore “ideale” di ciascuna voce contabile soggetta a valutazione esiste, per utilizzare ancora un termine matematico, un “intorno” del valore medesimo che, pur esprimendo discrezionalità, si mantiene all’interno dei fondamentali caposaldi della correttezza, imparzialità, ragionevolezza, competenza, prudenza, onestà e buon senso.
Si comprende pertanto agevolmente che la politica di bilancio viene ad assumere un significato negativo soltanto quando i margini di fisiologica discrezionalità a disposizione degli amministratori vengono superati provocando una fuoriuscita dei valori rappresentati in bilancio al di fuori del citato “intorno” che garantisce la correttezza e l’attendibilità delle valutazioni.
In quest’ultimo caso, a maggior ragione se ciò viene realizzato strumentalmente per raggiungere l’obiettivo di ledere la buona fede di coloro che si rivolgono al bilancio quale strumento informativo per poter assumere una serie di decisioni di finanziamento, investimento e quant’altro, la politica di bilancio assume senza dubbio significato negativo e riprovevole.
Ai risultati sulla bontà della rappresentazione può essere associato uno “stile amministrativo” che può essere classificato come “deontologico”, “consequenzialista” e “persuasorio” (Pini, 1991, pagg. 49-50).
da parte degli amministratori i quali applicano i criteri più corretti senza tenere conto delle conseguenze che scaturiranno dalle loro scelte di bilancio.
Lo stile “consequenzialista” (detto anche “adattivo”) implica che gli amministratori siano condizionati dalle presunte reazioni che le loro scelte valutative potrebbero causare in chi legge il bilancio. In questo modo il bilancio viene interpretato come un mezzo attraverso il quale si possono realizzare o influenzare determinate decisioni operative (Bruni, 1975, pag. 745).
Lo stile “persuasorio”, infine, comporta una vera e propria “premeditazione” volta ad ingenerare specifici effetti sui lettori del bilancio.
Negli ultimi due casi si pongono quindi in essere atteggiamenti valutativi e scelte di bilancio che possono avere indole e scopo strumentale; tuttavia, lo rammentiamo, esse sono da considerarsi riprovevoli solo se conducono ad alterazioni del bilancio tali da inficiarne l’attendibilità.
In sostanza, le aziende adottano una certa “politica di bilancio” in coerenza con una determinata “politica di gestione”, a sua volta derivante dalle scelte strategiche effettuate dal vertice aziendale. Ne discende che tali politiche possono avere carattere funzionale o antifunzionale, fisiologico o patologico, palese o occulto, lecito o illecito. Quindi, all’espressione “politica di bilancio” (intesa in senso stretto) può assegnarsi valenza negativa, ma anche positiva, in relazione alla politica di gestione attuata ed alla chiave interpretativa di volta in volta impiegata (Pini, 1991, pg. 16 e segg.)5.
Passando a riflettere sulla politica di bilancio intesa come scelta di stabilizzazione/livellamento dei dividendi nel tempo mediante la costituzione e l’utilizzo di riserve palesi va evidenziato come essa, peraltro molto diffusa, non possa essere in alcun modo considerata contra legem, proprio perché effettuata in maniera patente e visibile a tutti coloro che leggono il bilancio. Deve invece ritenersi criticabile se effettuata mediante politiche “occulte” (Terzani, 1989, pag. 18), che quindi rientrano nella tipologia che si descriverà a seguire. Al riguardo si è pure espresso l’OIC nei seguenti termini: “Le politiche di livellamento dei redditi, cioè le politiche che realizzano il conguaglio dei risultati d’esercizio mediante taciti accantonamenti nei «periodi favorevoli» e tacite utilizzazioni nei «periodi sfavorevoli», contrastano con le finalità del bilancio d’esercizio” (OIC 11, sub “Postulati del bilancio d’esercizio”), ed in
5 Fermo restando che è pressoché impossibile inquadrare inequivocabilmente le diverse
fattispecie di politiche bilancio, con tutte le cautele del caso alcuni autori hanno proposto una loro classificazione a seconda del punto di vista e degli effetti che esse comportano. Si possono così individuare politiche “assolute” e “relative”, “palesi” ed “occulte”, “lecite” ed “illecite”, “temporanee” e “definitive” (Verona, 2006, pag. 80 e segg.). Sulla complessa relazione tra la politica di bilancio e la politica di gestione si sono espressi, fra gli altri, i seguenti autori: Onida, 1974, pag. 901 e segg.; Bruni, 1975, pag. 745 e segg.; Ceriani, 1979, pag. 29 e segg.; Cavalieri, 1983, pag. 31 e segg.
particolare con il principio di neutralità/imparzialità nella redazione del documento di sintesi (IASB, 2010, par. QC 14).
Anche alla luce di quanto appena illustrato, senza dubbio problematica è la considerazione delle politiche di bilancio che conducono alla creazione di riserve ed annacquamenti patrimoniali occulti. Al riguardo infatti, se da una parte tali politiche occulte in linea di principio contrastano con il principio di neutralità/imparzialità, dall’altra (ci si riferisce in particolare alla creazione di riserve occulte), se operate entro limiti ragionevoli e con lo scopo di rafforzare e salvaguardare la combinazione produttiva, vengono da molti ritenute lecite se non addirittura opportune.
Peraltro, va evidenziato che, proprio a supporto di tale impostazione, la dottrina aziendalistica ha introdotto una distinzione fra valutazioni “prudenziali” e valutazioni che esasperano tale principio. Mentre le prime darebbero origine a “riserve potenziali”6, in quanto la stima risulta comunque realistica, seppure diverso rispetto al valore oggettivamente attribuibile alle grandezze in esame, le altre si manifesterebbero in vere e proprie “riserve occulte” (De Dominicis, 1966, pagg. 392-395; Cavalieri, 1983, pag. 23 e segg.), per il raggiungimento di finalità improprie, addirittura dolose. Non vanno dunque confuse le valutazioni ragionevolmente prudenziali rispetto a quelle rivolte deliberatamente ad una arbitraria e strumentale sottovalutazione del patrimonio, protesa all’occultamento di una parte più o meno considerevole dei mezzi propri. Data l’impossibilità di effettuare stime incontrovertibili su determinate voci di bilancio risulta però molto difficile stabilire la linea di confine fra le prime e le seconde7.
Tornando sulla questione dell’ammissibilità della creazione di riserve occulte, la dottrina aziendalistica, unanimamente, ritiene sicuramente illecite le politiche di bilancio occulte che perseguono lo scopo di favorire determinate
6 Le riserve potenziali diventerebbero “effettive” solo se e quando il successivo realizzo dei
fatti aziendali dovesse smentire il “pessimismo” usato nel compiere le stime.
7 La dottrina economico-aziendale si è confrontata anche sulla possibilità di assimilare
l’avviamento dell’azienda ad una riserva occulta. Su posizioni esattamente antitetiche si pongono Domenico Amodeo (favorevole) e Pietro Onida (contrario) (cfr. Amodeo, 1960, pag. 43 e segg.; Amodeo, 1965, pag. 827 e segg.; Onida, 1951, pagg. 487-488). Aldo Amaduzzi e Paolo Emilio Cassandro riconoscono l’avviamento come espressione di una riserva occulta, ma soltanto con carattere “potenziale”, in quanto destinata a palesarsi solo in caso di cessione o fusione dell’azienda (cfr. Amaduzzi, 1941, pag. 298; Cassandro, 1946, pagg. 28-32). Vincenzo Vianello e Ubaldo De Dominicis pur non accettando l’accostamento fra avviamento e riserva occulta in senso stretto, accolgono - con diverse sfumature - l’assimilazione fra avviamento e riserva potenziale (definita “tacita” dal Vianello), derivante da valutazioni razionalmente prudenti, ferma restando la necessità della cessione o della fusione dell’azienda al fine della sua esplicitazione (cfr. Vianello, 1935, pag. 89; De Dominicis, 1966, pag. 395 e segg.).
classi di soci a scapito di altre, alcuni gruppi di persone e società collegate o controllate a detrimento dell’equilibrio aziendale. Inoltre, quelle poste in essere per addivenire ad una riduzione ingiustificata del carico fiscale, per trarre in inganno le persone con cui l’azienda entra in contatto, soprattutto in occasione di aumento di capitale o di ingresso della stessa all’interno di un gruppo.
Devono invece considerarsi scopi “neutrali” delle politiche di bilancio occulte quelli di autoassicurare e autofinanziare in modo più deciso la combinazione aziendale, nonché, secondo alcuni studiosi, favorire una eventuale politica di stabilizzazione dei dividendi. Se è vero che queste ultime finalità sono perseguibili anche attraverso la costituzione di riserve palesi di utile, le riserve occulte risultano di più facile utilizzazione da parte degli amministratori, in quanto, fra l’altro, non sono soggette ai vincoli legali o statutari tipici di alcune riserve palesi. Inoltre, se ne può disporre l’utilizzo senza dover sottoporre la relativa decisione alla compagine sociale, semplicemente agendo, in sede di valutazione, sui valori delle poste contabili alterati precedentemente.
Ciò posto, i fautori delle riserve occulte per fini “neutrali” – e quindi leciti – giustificano il loro atteggiamento con la necessità di favorire il raggiungimento ed il consolidamento dell’equilibrio economico a valere nel tempo (cfr. fra gli altri, Zappa, 1910, pag. 215-217; Cassandro, 1946, pagg. 49-62; Onida, 1951, pag. 486 e segg.; Amodeo, 1965, pagg. 825-827 e 834-836). Tra i sostenitori di tale impostazione le posizioni risultano però differenziate sui limiti e sulle modalità di utilizzazione di tali riserve, nonché, talvolta, sulle stesse finalità della loro creazione.
Vi sono però anche dei detrattori delle riserve occulte che criticano in ogni caso (anche per fini “neutrali”) tale scelta principalmente opponendo il mancato rispetto delle leggi e la lesione procurata agli interessi di soggetti coinvolti nell’ambito aziendale (cfr., fra gli altri, D’Alvise, 1934, pagg. 626-630; Rossi, 1950, pag. 152 e segg.; De Dominicis, 1966, pag. 442 e segg.). Tuttavia, anche gli studiosi avversi alla pratica delle riserve occulte non confondono le valutazioni marcatamente prudenziali, ritenute lecite, con la formazione di riserve nascoste. Al riguardo così recita infatti il De Dominicis: “Affinché sorga la riserva occulta occorre scendere al di sotto del minimo ragionevole [...]. Occorre cioè varcare i limiti di una ragionevole prudenza ed entrare nel campo dell’arbitrio, nel campo cioè in cui la valutazione non si giustifica più sulla base della previsione fondata di eventi futuri, ma se mai col proposito di mettersi al sicuro anche da rischi non valutabili statisticamente, cioè da quei rischi che si fronteggiano, per l’appunto, mediante la costituzione di riserve” (De Dominicis, 1966, pagg. 371-372).
di scopi “neutrali” il dubbio di legittimità sussiste perché in tal modo sono gli amministratori a stabilire la destinazione degli utili, quando questa prerogativa è di esclusiva competenza dell’assemblea dei soci8. Al riguardo, lo abbiamo evidenziato poc’anzi, si è espresso in senso critico anche l’OIC.
Tant’è che i giuristi, in tempi più remoti divisi, sono compatti nel dichiarare, in ogni caso, l’illiceità delle politiche di bilancio, sul presupposto che essa tradisce la disciplina del bilancio quale strumento di conoscenza oggettiva dei fatti aziendali9.
Ad ogni buon conto, è corretto evidenziare che, mentre l’annacquamento di capitale in linea di principio viene sempre considerato come una pratica illecita10, la creazione di riserve occulte ha suscitato nella nostra migliore dottrina reazioni diverse.
Va infine rammentato che per “politiche di bilancio” si intende spesso anche l’omissione o l’inserimento ingiustificati di voci negli schemi di sintesi in seguito alla mancata rilevazione di operazioni effettivamente avvenute o la rilevazione di operazioni inesistenti. In questa circostanza si agisce sui dati “oggettivi” del bilancio e si opera un vero e proprio “falso materiale” che non può mai essere giutificato o giustificabile.
8 Si produce poi un’ulteriore conseguenza negativa, ovvero che i risultati di bilancio risultano
falsati sia negli esercizi di formazione delle riserve occulte che in quelli in cui le stesse vengono utilizzate, rivelandosi, rispettivamente, artificiosamente peggiorati e migliorati (De Dominicis, 1966, pag. 439).
9 Cfr., per tutti, Giovanni Emanuele Colombo, che così si esprime: “È [...] senza dubbio esatto
che una verità assoluta di bilancio non esiste, e che «il risultato che nei concreti bilanci delle aziende in funzionamento si rileva sotto il nome di utile netto di particolari esercizi, costituisce di regola... un’entità astratta e pensata»; ma accettare queste affermazioni non significa affatto [...] ammettere l’inevitabilità di riserve occulte. Altro è, infatti, il margine di incertezza derivante dall’inesistenza di strumenti fisici o meccanici capaci di misurare i valori, altro è l’iscrizione di valori che sono il risultato non di uno sforzo di obbiettivazione del soggetto di fronte ai beni da valutare, bensì giudizi sicuramente, e quasi volutamente erronei” (Colombo, 1965, pag. 206; più in generale si vedano anche le pag. 177 e segg.).
10 Si badi, tuttavia, che alcuni autori – segnatamente Domenico Amodeo – sono favorevoli,
in determinate condizioni, pure alla creazione di annacquamenti patrimoniali ed in particolare alla scelta di deprimere gli ammortamenti per far figurare un reddito positivo: “La decisione in sé non può essere giudicata a priori in modo negativo: determinazioni siffatte, che pertengono alla politica di bilancio, non hanno un aspetto univoco, bene identificabile, che consenta facili giudizi, ma si legittimano con i propositi che sono alla loro base. Se l’imprenditore ha motivo di ritenere che la formazione di un bilancio che dimostri un utile, o un utile di certo ammontare, sia profittevole per le sorti future dell’azienda, ben può accettarsi una manovra che a quel risultato conduca” (Amodeo, 1956, pag. 381. Si vedano anche le riflessioni successive espresse al riguardo).