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Computo del periodo di prova, sospensione e proroga.

LA DURATA DELLA PROVA ED IL RECESSO

11. La durata della prova, modalità e tempi di svolgimento di essa 1 Limite temporale massimo e minimo

11.2 Computo del periodo di prova, sospensione e proroga.

Per quanto riguarda i criteri di computo del periodo di prova, una prima distinzione viene compiuta a seconda che la durata di essa sia contrattualmente stabilita in giorni o mesi.

Qualora l'indicazione contenuta nei contratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro sia espressa in giorni, dovranno essere considerati solo quelli di lavoro effettivamente prestati, ad esclusione dei periodi in cui operi la sospensione prevista per legge307

o dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro, comprendendo invece i giorni di riposo settimanale e le festività.

La Suprema Corte ha in tal senso pacificamente rilevato che anche la malattia, seppur prolungata, rientra tra quegli eventi che comportano il prolungamento del periodo di esperimento “non sussistendo ragioni idonee a giustificare una contraria conclusione e, al contrario, dovendosi rilevare che durante il periodo di prova il periodo di malattia il lavoratore non ha la possibilità di dimostrare le sue capacità, né il datore di lavoro quella di accertarle”308

.

Anche i contratti collettivi, cui spetta il compito di indicare le modalità esatte della prova, si riferiscono al concetto di “effettiva attività svolta”, da cui si desume un conteggio dei giorni nei quali il dipendente si è effettivamente recato al lavoro, rafforzando l'esclusione dal computo del periodo di esperimento di malattie, infortuni, ferie e così via.

Al verificarsi di tali eventi prevedibili e previsti dall'articolazione del normale svolgimento del lavoro, si avrà quindi la sospensione della prova fissata in giorni, che successivamente riprenderà a decorrere regolarmente309

.

Qualora la durata della prova sia invece espressa in mesi, ovvero nel cosiddetto tempo di calendario, senza ulteriori specificazioni, il problema da

307 Si veda ad esempio la Legge n. 816/1985, art. 2, comma 2^, secondo cui il periodo di prova può essere sospeso nel caso di aspettativa per la copertura di cariche pubbliche, tornando a decorrere con la ripresa del servizio.

308 Cass. Civ., Sez. Lav., 18 novembre 1995, n. 11934.

affrontare è stato quello di stabilire se nel computo debbano considerarsi anche le giornate di carenza della prestazione lavorativa e, in caso affermativo, se per tutte le cause di assenza o solo per alcune il periodo di prova non decorre o rimane sospeso.

La giurisprudenza si è resa portatrice di due diversi orientamenti: secondo il primo di essi, in assenza di specifica previsione, il calcolo del periodo di prova dovrà avvenire sulla base dei giorni di calendario, senza considerare le giornate in cui vi sia stata sospensione della prestazione lavorativa310

. Il secondo orientamento ritiene invece che la durata della prova si determini in base all'effettiva attività svolta, senza sospensione del periodo fissato per l'esperimento qualora la mancata prestazione lavorativa sia riconducibile al normale svolgimento del rapporto, come nel caso di ferie, riposi settimanali e festività.

Si avrà invece sospensione della prova nei giorni in cui “la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e, in particolare, il godimento delle ferie annuali”311.

La tesi che sembra prevalere, ad analizzare le più recenti pronunce della Suprema Corte, è quella meno rigida che consente di computare il periodo di prova basandosi semplicemente sui mesi di calendario senza andare a conteggiare le giornate di lavoro effettivamente prestate dal dipendente. Anche se in realtà non vi è un concorde riscontro in dottrina laddove, invece, si tende a privilegiare il criterio della effettività della prestazione anche nell'ipotesi in cui detto criterio non consentirebbe di sterilizzare i periodi fisiologici di sospensione312.

310 Cass. Civ., Sez. Lav., 24 dicembre 1999, n. 14538, in Foro It. Rep., Lavoro (rapporto), n. 1302; Cass. Civ., Sez. Lav., 18 luglio 1999, n. 7087; Cass. Civ., Sez. Lav.,12 settembre 1991 n. 9536; Cass. Civ., Sez. Lav., 25 luglio 1987, n. 6479, in O.G.L., 1988, pag. 73.

311 Cass. Civ., Sez. Lav., 18 luglio 1998, n. 7087, in Foro It. Rep., 1998, Lavoro (rapporto), n. 1165; Cass. Civ., Sez. Lav., 24 ottobre 1996, n. 9304; Cass. Civ., Sez. Lav., 1 dicembre 1992, n. 12814, in M.G.L., 1992, pag. 588.

312 MONTUSCHI L. - LASSANDRO D., “La costituzione del rapporto di lavoro e il collocamento”, op. cit., pag. 392 e ss; VARESI P. A. - ROCCELLA M., “Il patto di prova nel rapporto di lavoro”, op. cit., pag. 26.

Sarà quindi possibile, attraverso la specifica previsione dei C.C.N.L. di categoria e dei contratti individuali di lavoro, stabilire quali criteri utilizzare per il computo del periodo destinato alla prova, nei limiti della durata massima per lo stesso prevista.

Abbiamo visto, infatti, che legge e fonti collettive hanno fissato un tempo massimo nel corso del quale consentire alle parti di effettuare il reciproco esperimento ed abbiamo altresì dato conto della possibilità per le parti di prorogare la durata della prova.

Si è avuta in tal senso un'evoluzione delle pronunce giurisprudenziali che, originariamente presupponendo la situazione di sofferenza del lavoratore causata dalla sua precarietà nel corso della prova, affermavano “La durata del periodo di prova, stabilita dal contratto collettivo, non può essere prorogata neppure su richiesta dello stesso lavoratore, dovendosi considerare la norma ad esso relativa come inderogabile e cogente313

”. A questa iniziale rigidità seguì nei decenni successivi una prima apertura della Corte di Cassazione secondo cui “Le norme collettive che prevedono un prolungamento del periodo di prova originariamente pattuito in tanto sono legittime in quanto lo consentano solo al termine del primo periodo, con riferimento ad un momento in cui si è constatata l'insufficienza di questo e viene offerta al lavoratore un'ulteriore possibilità di definitiva assunzione, con la conseguenza che è arbitrario un prolungamento disposto prima di detto momento, quando ancora la prova non ha esaurito la sua funzione ed ancora non è noto se, alla scadenza del tempo per essa fissato, l'esperimento risulterà definitivo314

”.

Si previde quindi la facoltà di prorogare la durata della prova ma solo dopo lo scadere del termine per essa originariamente previsto e qualora l'esperimento non fosse risultato sufficiente a compiere una valutazione di convenienza reciproca.

Il passo successivo, che portò all'orientamento attualmente vigente, fu quello di autorizzare l'anticipazione della proroga della prova ex ante, già al

313 Corte di Appello di Genova, 21 gennaio 1964, in R.G.L. 1964, II, pag. 177.

momento della formazione della volontà delle parti attraverso la stipulazione del contratto di lavoro.

La dottrina si espresse favorevolmente ritenendo legittime le clausole individuali di proroga inserite nel contratto di lavoro, a condizione che la proroga fosse stabilita tra le parti ab origine e che il periodo di prova, globalmente computato, non superasse il limite di durata previsto dal contratto collettivo315

.

La giurisprudenza di legittimità si spinse oltre sancendo che, in caso di conflitto tra contratto individuale e contratto collettivo, la maggior durata del periodo di prova previsto dalla prima delle menzionate fonti, non costituirà un trattamento necessariamente sfavorevole nei confronti del lavoratore, lasciando al giudice di merito il compito di valutare, di caso in caso, con riferimento all'assetto concreto dei singoli rapporti316

.

La Suprema Corte ha specificato inoltre che sarà legittima la clausola contrattuale con cui venga prevista una durata della prova superiore a quella ritenuta congrua dai C.C.N.L. di categoria per la normalità dei casi – fermo restando il limite legale di sei mesi di cui all'art. 10 Legge n. 604/66 - “se il prolungamento sia giustificato dalla particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore”317

.

Per evitare che una siffatta pattuizione possa essere usata con finalità elusive ed in frode alla legge, se ne autorizza la stipula ma, allo stesso tempo, se ne riduce l'ambito operativo ai soli casi in cui vi siano comprovate esigenze connesse al singolo rapporto di lavoro.

Facendo tra l'altro ricadere sul datore di lavoro l'onere di provare le ragioni della indispensabilità del maggior tempo di sperimentazione per consentire il formarsi del giudizio di gradimento, atteso che la maggior durata della prova gli attribuirà una più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della prova.

315 CASSI' V., “Il rapporto di lavoro in prova”, op. cit., pag. 59; ASSANTI C., “Il contratto di lavoro a

prova”, op. cit., pag. 58.

316 Cass. Civ., 19 giugno 2000, n. 8295, in G.C.M., 2000, pag. 1333; Cass. Civ., 4 aprile 1986, n. 2349.

In mancanza di cause giustificative del prolungamento del lavoro in prova, dunque, le clausole del contratto di lavoro individuale confliggenti con quelle del contratto collettivo saranno nulle ai sensi dell'art. 2077 c.c., 2^ comma, non potendo la fonte individuale derogare in peius quella collettiva318

.

318 Sancisce la citata norma che “Le clausole difformi dei contratti individuali preesistenti o

successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”.

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