LA DISCIPLINA DEL PATTO DI PROVA NEL RAPPORTO DI LAVORO
10. Applicazione in rapporti speciali e nel pubblico impiego.
10.3 Prova ed assunzioni obbligatorie
L'assunzione dei disabili viene oggi regolamentata dalla Legge n. 68 del 1999, che ha abrogato la precedente Legge n. 482/68, e si è occupata di fissare i limiti dimensionali delle imprese tenute alle cosiddette assunzioni obbligatorie, nonché delle modalità con le quali consentire l'avviamento al lavoro dei portatori di handicap fisici o mentali258
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Ulteriori misure di facilitazione nell'accesso al lavoro sono state poi previste dalla Legge n. 247 del 2007, che ha introdotto due diverse tipologie di convenzioni volte a favorire la formazione professionale dei disabili.
In dottrina si è a lungo discusso sull'ammissibilità della prova in questi particolari casi, così come in giurisprudenza si sono avute impostazioni contrastanti.
L'orientamento più risalente nel tempo riteneva inutilizzabile la prova nelle assunzioni obbligatorie, fornendo una lettura restrittiva dell'art. 10 della Legge n. 482/78 - relativo all'applicazione del normale trattamento economico, normativo e giuridico ai lavoratori disabili – ed escludendo dalla sua portata l'applicazione della disciplina del periodo di prova259.
La giurisprudenza prevalente, supportata anche dalle Sezioni Unite della Cassazione del 1979260
, ha invece ammesso la pattuizione della prova anche nel caso di assunzione di invalidi, riconoscendo la massima autonomia delle parti in merito all'apposizione di tale clausola al contratto, prevedendo però particolari cautele e condizioni.
Soprattutto a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale che, con Sentenza n. 255 del 1989, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni della Legge n. 482/68, si è sancito che il rapporto di lavoro, anche nel caso delle assunzioni obbligatorie, non si costituisce ex lege ma con un normale contratto, in cui può essere inserito il patto di prova261.
258 DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., (a cura di), “Diritto del lavoro”, op. cit. pag. 171.
259 Tra le tante Cass. Civ., n. 400/78.
260 Si veda ex plurimisCass. Sez. Un., n. 1764/79.
Giudice delle Leggi che intervenendo anche di recente, ha ribadito l’apponibilità del patto di prova nell’ambito dei rapporti instaurati con i soggetti avviati obbligatoriamente262
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La Corte di Cassazione ritiene pertanto ammissibile il periodo di prova nei limiti in cui esso è limitato alla residua capacità lavorativa dell'invalido e in quanto la prova sia riferita a mansioni determinate e compatibili con lo stato fisico del medesimo263
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L'esperimento deve cioè prevedere necessariamente mansioni compatibili con lo stato di invalidità del disabile avviato e deve essere limitato alla sua residua capacità lavorativa, senza discriminarlo per l'inevitabile minor rendimento derivante dalla sua menomazione o invalidità264
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Ne consegue che sarà illegittimo il recesso per esito negativo della prova qualora le suddette condizioni non vengano rispettate265
e sarà altresì impossibile affermare l'esito negativo della prova per l'inesistenza nell'azienda di un'attività che l'invalido possa compiere allo stesso ritmo degli altri dipendenti266
, poiché il datore di lavoro è tenuto ad adeguare l'attività lavorativa dell'invalido alla sua menomazione, qualora ciò non incida sui ritmi di lavoro degli altri dipendenti o non pregiudichi il ciclo produttivo267
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Principio della compatibilità delle mansioni con lo stato di invalidità del lavoratore recepito dalla Legge n. 68/99,art. 10, comma 2^, che prevede espressamente “Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni268
”.
262 Corte Cost., 4 dicembre 2000, n. 541, in O.G.L., 2000, I, 953, con nota di MARANDO, “Patto di
prova stipulato con l’invalido ed irrilevanza della forma del recesso datoriale: una nuova pronuncia della Corte costituzionale”.
263 Cass. Sez. Un., n. 1104/89; Cass. Sez. Un., n. 1756/83; Cass. Civ., n. 6810/92; Cass. Civ. n. 68/81.
264 Cass. Civ., n. 13726/00; Cass. Civ., n. 5634/91; Cass. Civ., n. 5078/88.
265 Cass. Sez. Un., 27 marzo 1979, n. 1763, in D.L., 1980, II, pag. 113; Cass. Sez. Un., 27 marzo 1979, n. 1764, in Foro It., 1979, I, pag. 18; Cass. Sez. Un., 27 marzo 1979, n. 1765, in N.G.L., 1979, II, pag. 474; Cass. Sez. Un., 27 marzo 1979, n. 1766, in R.G.L., 1979, II, pag. 474.
266 Cass., 14 ottobre 2000, n. 13726 in G.C.Mass., 2000, 2140. Ma v. anche Cass., 2 agosto 1999, n. 8375, in G.C.Mass. 1999, 1769, secondo cui “ il recesso del datore di lavoro per esito
negativo della prova ... non può essere determinato esclusivamente dall'inesistenza nell'azienda di un'attività che l'invalido possa compiere allo stesso ritmo degli altri colleghi”,
Cass., 8 giugno 1998, n. 5639, in G.C., 1998, 1245.
267 Cass. Civ., n. 15942/04; Cass. Civ., n. 5541/03; Cass. Civ., n. 8375/99.
In altri termini la prova non può in alcun modo riguardare l'invalidità, essendo essa il presupposto dell'assunzione obbligatoria, ma deve essere condotta in relazione a mansioni compatibili con lo stato psico-fisico del disabile e per un periodo di tempo congruo rispetto al reale esperimento ed alla concreta valutazione delle capacità dell'invalido.
Il datore non potrà poi rifiutare la sua assunzione avvalendosi dell'esito negativo di un esperimento precedentemente effettuato in occasione di altro avviamento al lavoro, dal momento che il suo giudizio deve limitarsi al rapporto cui esso si riferisce e, una precedente negativa esperienza del prestatore, non può costituire il fondamento di una valutazione aprioristica di ogni attività futura269
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La Suprema Corte ha previsto poi una ulteriore tutela per il disabile finalizzata ad evitare che il datore di lavoro si avvalga della libertà di recesso nel corso del periodo di prova, con intento fraudolento o elusivo delle norme di legge che prescrivono l'obbligo di assunzione, attraverso la previsione di un obbligo di motivazione del recesso qualora sia fondato sull'esito negativo della prova270
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Questo fondamentale principio è stato ribadito dalla Corte Costituzionale nel 1990 che ha ritenuto necessario consentire al giudice di svolgere, attraverso la motivazione del recesso, un controllo sull'uso del patto di prova con modalità non elusive della legge.
Vi sono stati poi discordanti orientamenti in merito al momento in cui dovrebbe esserci l'esplicitazione della motivazione del recesso datoriale. Alcune pronunce ritengono che non vi sia alcun obbligo del datore di lavoro di fornire la motivazione del licenziamento del dipendente271
, affermando che “l’assenza di una motivazione contestuale (così come della adozione della forma scritta) all’atto di licenziamento non può, di per se', incidere sulla validità ed efficacia del medesimo”272
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Gazzetta Ufficiale 23 marzo 1999
269 Cass. Civ., n. 429 del 1985.
270 Cass. Civ., n. 9705/00; Cass. Civ., n. 7988/00; Cass. Civ., n. 3689/98.
271Cass, 29 maggio 1999, n. 5290, in R.I.D.L., 2000, II, pag. 128, Cass., 18 marzo 2002, n. 3920, in G.C. Mass., 2002, 474, ibidem, 2002, pag. 474.
Altre sostengono la necessaria contestualità della motivazione all'esercizio del recesso, per evitare che questo sia determinato da motivi arbitrari273
Non sono poi mancate pronunce intermedie secondo cui vige sul datore di lavoro un obbligo di motivazione non contestuale all'esercizio del diritto di recesso ma prevedono, qualora il lavoratore assunto obbligatoriamente ne faccia richiesta, il dovere di comunicare le ragioni del licenziamento, al fine di consentire un corretto controllo sullo svolgimento della prova274
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In realtà, date le particolari caratteristiche dei lavoratori disabili, e considerati i limiti a cui soggiace il giudizio sull’esperimento (che deve essere neutrale rispetto alla menomazione), non sembra irragionevole sostenere la necessità che il recesso sia contestualmente motivato, al fine di agevolare l’eventuale controllo giudiziale su di esso ed evitare così abusi nei confronti di soggetti particolarmente deboli quali sono i disabili.
Un obbligo del genere altro non sarebbe che espressione della corretta applicazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.
273 Cass. Civ., 16 agosto 2000, n. 10834, in G.C.Mass., 2000, 1800; Cass. Civ., 14 giugno 2000, n. 8143, in M.G.L., 2000, 882 ss.; Cass. Civ., 29 maggio 1999, n. 5290, in R.I.D.L., 2000, II, pag. 128; Cass. 18 febbraio 1994, n. 1560; Cass. Civ., 20 maggio 1991, n. 5634; Cass. Civ., 27 novembre 1982, n. 6437. Cass. Civ., Sez. Lav., 14 giugno 2000, n. 8143.
274 Una posizione intermedia assumono poi quelle pronunce che pur negando la con testualità della motivazione, ne ammettono l’obbligo in caso di richiesta del disabile, in base a quanto disposto dall’art. 2 l. n. 604 del 1966: v. ad es., Cass., 9 aprile 1998, n. 3689, in Foro it., 1998, I, 2454, Cass., 12 giugno 2000, n. 7988. Cass. Civ., 12 giugno 2000, n. 7988, in M.G.L., 2000, pag. 882; Cass. Civ., 18 febbraio 1994, n. 1560, in L.G., 1994, 5, pag. 511; Cass. Civ., 20 maggio 1992, n. 5634, in R.G.L., 1991, II, pag. 398.