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Crisi della funzione della prova Libera recedibilità nel sistema imprenditoriale italiano e prova di fatto del lavoratore.

LA PROVA NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

C. N.L del 13 febbraio 2007 sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico 414 che all'art 13 Periodo di prova – sancisce

16. Crisi della funzione della prova Libera recedibilità nel sistema imprenditoriale italiano e prova di fatto del lavoratore.

Analizzando la nutrita casistica contrattuale ad oggi esistente, emergono forme di utilizzazione della forza lavoro che consentono concretamente all'imprenditore di ottenere l'erogazione di una prestazione lavorativa senza potenziali vincoli a tempo indeterminato, che opererebbero qualora questi si avvalesse della clausola della prova417

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Nella tradizionale ipotesi di esperimento della prova ad essa viene sottoscritto tra le parti un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con previsione di un periodo nel corso del quale esse compiono una reciproca valutazione di convenienza.

Qualora la prova abbia esito positivo, vi sarà lo svantaggio per il datore di lavoro di rimanere “bloccato” in un rapporto contrattuale definitivo, che potrà interrompere solo per giusta causa o giustificato motivo soggettivo od oggettivo.

La prova, d'altro canto, ha il pregio di consentire, per tutta la sua durata, un'ampia libertà di recesso che, per il datore, si traduce nella possibilità di intimare un licenziamento privo di motivazione e fondato sulla sua valutazione discrezionale di esito negativo dell'esperimento.

L'interesse ad inserire tale clausola nel contratto di lavoro, era originariamente collegato all'assenza di strumenti che consentissero all'imprenditore una pari libertà d'azione ed alla vigenza, soprattutto a seguito della Legge n. 604/66 sui licenziamenti individuali, di un regime fortemente protettivo del prestatore418

.

Il datore di lavoro era costretto a sottostare al rigido sistema di regolamentazione delle assunzioni – operante per i contratti di lavoro

417 Questi nuovi o rinnovati strumenti vengono ricondotti alla categoria del lavoro “atipico”, in quanto manca almeno un elemento del lavoro definito standard ovvero la durata indeterminata e/o l’orario a tempo pieno.

418 Si vedano tra gli altri VALLEBONA A., “Istituzioni di diritto del lavoro”, Volume II, “Il Rapporto di lavoro”, op. cit.; PERONE G., “Lineamenti di diritto del lavoro”, “Evoluzione e partizione della materia tipologie lavorative e fonti”, op. cit.; GHERA E., “Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro”, Cacucci Editore Bari, 2006; SANTORO-PASSARELLI F., “Nozioni di diritto del lavoro”, op. cit.; SCOGNAMIGLIO R., “Diritto del lavoro”, op. cit.

subordinato a tempo pieno ed indeterminato - e dei licenziamenti individuali ed aveva come unica, seppur temporanea, scappatoia quella di “provare” il dipendente.

In questo modo, per un lasso di tempo estendibile fino ai sei mesi, egli avrebbe mantenuto lo stesso potere di libera ed incondizionata scelta sul destino del rapporto di lavoro, che gli veniva garantito prima dell'intervento della legislazione sul licenziamento individuale.

Altro profilo rilevante nell'uso del lavoro in prova è rinvenibile nel disposto dell'art. 2096 c.c., comma 2^, e consiste nell'interesse, per il datore ed il dipendente, a compiere una reciproca valutazione sulle attitudini personali, le capacità tecniche e le condizioni di lavoro, dalla quale far discendere l'opportunità o meno di incardinare un rapporto di lavoro subordinato definitivo.

Rimanendo sempre nella prospettiva datoriale, ciò si traduce nella possibilità di accertare il rendimento medio del lavoratore subordinato alla stregua della diligenza e perizia lui richieste dalla qualifica di assunzione. Rendimento che si porrà alla base del giudizio di convenienza all'assunzione definitiva e che risulterà dallo sforzo di attenzione e prudenza del dipendente, contestualmente alla conoscenza e all'applicazione pratica delle regole tecniche inerenti alle mansioni richieste419

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Per il lavoratore la prova avrà solo un'utilità residua, in quanto egli potrà esprimere il proprio gradimento sulle condizioni di lavoro offertegli, ma avrà senza dubbio un maggior interesse alla conclusione positiva dell'esperimento, così da poter ottenere un'occupazione stabile.

L'utilità del lavoro in prova sarà invece massima per l'imprenditore esplicitandosi: - nella libertà di licenziamento esercitabile discrezionalmente nel corso del tempo dell'esperimento; - nella sottoposizione del prestatore alla verifica del suo patrimonio di conoscenza tecnico-professionale ed all'analisi della compatibilità dell'ambiente di lavoro con la sua personalità. Entrambi questi profili, che costituiscono la finalità e la causa stessa della

419 ZANGARI G., “Il recesso dal rapporto di lavoro in prova. Studi sul contratto di lavoro con

prova, hanno perso il loro “peso” a causa della struttura tipica del settore imprenditoriale italiano, la cui ossatura è composta da imprese di piccole dimensioni, che non occupano più di 15 dipendenti420

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Unità produttive che, in caso di licenziamenti individuali, non sono sottoposte alla rigidità che contraddistingue l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, bensì alla tutela obbligatoria ex Legge n. 604/66.

Le ragioni della mancata diffusione della prova vengono oggi ricercate anche nell'introduzione, tramite il cosiddetto Decreto Biagi, di nuove forme contrattuali che consentono la gestione flessibile della forza lavoro421

, quali il job sharing o il lavoro intermittente, nonché nella riforma di istituti quali i contratti di apprendistato, di formazione lavoro ed interinali.

Con essi le aziende possono scegliere, al momento dell'assunzione dei lavoratori, tra un ampio ventaglio di soluzioni422

, non vincolanti, non sottoponibili alla normativa vigente in materia di licenziamenti individuali423 e

che consentirebbero un esperimento di fatto.

Verrebbe cioè completamente a svuotarsi di significato l'istituto della prova, la cui funzione, riconducibile al libero svincolo dal contratto di lavoro subordinato ed all'esame delle capacità del dipendente, sarebbe stata nella prassi sostituita da soluzioni alternative e parimenti soddisfacenti dal punto di vista datoriale.

420 FAVARETTO I. - CALCAGNINI G., “Lo stato delle piccole imprese: Italia, Europa e Stati Uniti a

confronto”, Facoltà di Economia Università Urbino “Carlo Bo”, 22 aprile 2008, Conferenza

Internazionale USA – UE – ITALIA.

421 PERONE G., “Lineamenti di diritto del lavoro”, “Evoluzione e partizione della materia tipologie lavorative e fonti”, Appendice di aggiornamento, Seconda edizione, Giappichelli Editore, Torino, 2008.

422 GHERA E., “Il nuovo diritto del lavoro. Subordinazione e lavoro flessibile”, Giappichelli Editore Torino, 2006.

423 SICA F.G.M., “Le transizioni dimensionali nelle piccole imprese italiane nel periodo 1995-2000:

16.1 Piccole imprese e microimprese: interesse alla prova in caso di applicabilità della sola tutela obbligatoria ex Legge n. 604/66.

La libertà di licenziamento individuale esercitabile nel corso della prova, che ha portato a definire tale clausola strumento di libera recedibilità, dovrebbe spingere le imprese ad avvalersene massicciamente, onde evitare di incardinare da subito un rapporto di lavoro subordinato definitivo, che potrebbe in un momento successivo risultare “sgradito”.

La parte datoriale avrebbe anzi dovuto, sulla base di questa semplice osservazione, spingere le proprie organizzazioni sindacali a rivendicare, in sede collettiva, l'introduzione di clausole contrattuali inderogabili volte a prolungare il più possibile la durata del lavoro in prova, oltre i sei mesi legislativamente prefissati.

Ciò non è invece accaduto, tanto che la disciplina rinvenibile nei contratti collettivi di diritto comune non si discosta da quella risalente all'epoca corporativa e post-corporativa, come sinteticamente riportato nel precedente schema riepilogativo.

L'indifferenza degli imprenditori nei confronti del lavoro in prova, che consentirebbe loro di “liberarsi” del dipendente assunto a tempo indeterminato, senza obbligo di motivazione e discrezionalmente, è facilmente spiegabile se si analizza la struttura del nostro sistema economico-produttivo.

Dalle informazioni sulle caratteristiche strutturali delle imprese pubblicate dall'I.S.T.A.T. nel maggio del 2009, emerge che in Italia esiste un numero elevato di imprese di piccolissime dimensioni (1-9 addetti), nelle quali sono occupati circa il 47% dei lavoratori nel settore dell’industria e dei servizi424.

Vi è cioè una polverizzazione del sistema produttivo che ha sempre caratterizzato il nostro sistema economico, tant'è che già in base ad un censimento compiuto nel 1996, nel settore dell'industria e dei servizi il numero di imprese con meno di 16 addetti rappresentava circa il 97% del 424 I.S.T.A.T., “Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2008”, presentato dal Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Prof. Luigi Biggeri, RTI Poligrafica Ruggiero S.r.l. - A.C.M. S.p.A,26 maggio 2009, pag. 78 e ss.

totale (le sole imprese individuali erano il 56%) con un livello di occupazione dipendente pari al 32% della totale. Nel settore manifatturiero le imprese con meno di 16 addetti pesavano per il 90% (le individuali per il 35%) in termini di numero di imprese e per il 23% in termini di dipendenti occupati425

. Questo trend si è consolidato nel corso dei decenni e, ad oggi, vi sono circa 4,5 milioni di imprese e la quasi totalità di esse, ovvero il 95% circa, impiega meno di dieci addetti, presenta una conduzione spesso familiare ed una struttura organizzativa estremamente semplice.

Tali dati sono riscontrabili nella successiva tavola 1, elaborata dall'istituto di Statistica, dove si evidenzia la concentrazione della forza lavoro in realtà produttive molto piccole, ovvero in microimprese, che non superano i nove dipendenti impiegati.

Tavola 1 - Addetti delle imprese per classe di addetti e settore di attività economica - Anni

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