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Regolamentazione del recesso nel lavoro in prova dall'impiego privato alla legislazione sul licenziamento individuale.

LA DURATA DELLA PROVA ED IL RECESSO

13. Libera recedibilità e rapporto con la Legge 604 del 1966 sul licenziamento individuale.

13.1 Regolamentazione del recesso nel lavoro in prova dall'impiego privato alla legislazione sul licenziamento individuale.

Causa tipica di estinzione del rapporto di lavoro in prova è l'esercizio del diritto di recesso previsto dall'art. 2096 c.c., comma 3^.

Scaduto il termine contrattualmente destinato alla prova, infatti, le parti avranno la possibilità di continuare la prestazione, manifestando così, per fatti concludenti, la volontà di costituire un rapporto di lavoro definitivo340.

Oppure potranno avvalersi, anche prima dello scadere del detto termine, della libertà di recesso che veniva e viene tuttora riconosciuta in capo ad entrambe.

Già nell'art. 4, R.D.L. n. 1825/24, comma 4^, vi era la previsione in virtù della quale “Durante il periodo di prova la risoluzione del contratto di impiego ha luogo in qualunque tempo senza preavviso o indennità”.

L'istituto in esame è nato, cioè, come riserva di libero recesso esercitabile dalle parti341 e si è inserito in un sistema nel quale non si era sviluppata

alcuna legislazione protettiva in favore del prestatore, volta a garantire la stabilizzazione dell'occupazione ed alcuna sensibilità riguardo al lavoratore essere umano e non fattore della produzione342.

La dottrina maggioritaria riteneva che questa facilità nel recedere fosse giustificata dalla creazione, nel corso del lavoro in prova, di un mero rapporto di aspettativa e di un vincolo preparatorio avente ad oggetto l'effettiva esecuzione, da parte del lavoratore, della prestazione promessa, al fine di consentire alla controparte di accertarne il valore e di valutarne le

340 ASSANTI C., “Il contratto di lavoro a prova”, op. cit., pag. 94.

341 Tale definizione è stata elaborata dalla dottrina lavoristica, mentre quella civilistica ha ricondotto la prova ad un sottotipo del recesso ad nutum, privo di tutela cronologica e ad effetto interruttivo immediato.

342 Connotazione personalistica del lavoro che ha prepotentemente fatto il suo ingresso nel nostro sitema giuslavoristico con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, che ha fissato alcuni principi fondamentali quali quello della sufficienza della retribuzione; del diritto – dovere al lavoro dei cittadini; del diritto di sciopero, ecc.

qualità professionali e personali343

.

Per questo si parlava correttamente di “riserva di recesso libero”, ovvero di un ampio ed illimitato potere di interrompere un rapporto non ancora caratterizzato dal sinallagma prestazione di lavoro - retribuzione344

.

Un intervento riequilibratore si ebbe con l'entrata in vigore del Codice Civile del 1942 e con le previsioni contenute nell'art. 2096 c.c., comma 2^, e 3^, che recitano:

“L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”.

Nel corso dell'esperimento le parti si vedono riconosciuta la possibilità di esercitare un recesso ad nutum ex art. 2218 c.c.345

, seppur senza obbligo di preavviso, ma con un duplice ordine di limitazioni.

Un limite esterno, consistente nell'obbligo reciproco di fare e consentire l'esperimento (art. 2096, comma 2^); ed un limite interno concretizzato nell'ulteriore regola secondo cui, se la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non potrà esercitarsi prima della scadenza di esso (comma 3^)346.

Le parti potranno cioè scegliere di ricorrere alla clausola della prova e di non vincolarsi definitivamente ad un rapporto che potrebbe essere sgradito e/o improduttivo e/o non rispondente agli interessi aziendali, rinviando allo scadere di essa l'applicazione del regime di recedibilità proprio del rapporto di lavoro definitivo.

343 RIVA SANSEVERINO, “Commentario del codice civile art. 2096”, op. cit., pag. 245.

344 BARASSI L., “Il diritto del lavoro”, Milano, 1949, volume II.

345 Non è mancata giurisprudenza che ha escluso la recedibilità ad nutum del datore di lavoro, il quale dovrebbe sempre indicare una congrua motivazione del licenziamento anche se con minor rigidità rispetto alla giusta causa o al giustificato motivo. Ex plurimis Cass. Civ., 18 maggio 1989, n. 255.

346 ZANGARI G., “Il recesso dal rapporto di lavoro in prova. Studi sul contratto di lavoro con

Chiaramente vi saranno delle prospettive diverse: l'interesse alla prova del datore di lavoro atterrà strettamente ad un'utilità economica aziendale; quello del lavoratore all'effettivo espletamento dell'esperimento, sarà strumentale all'assunzione, ovvero alla trasformazione del rapporto da sperimentale in definitivo 347

.

In tale ottica di contrapposizione degli interessi delle parti contrattuali, l'obbligo introdotto al comma 2^ dell'art. 2096 c.c., è quindi teso a garantire l'effettuazione di una prova reale, perdurante per tutta la durata dell'esperimento qualora le parti ne abbiano fissato una minima o, in caso contrario, per il tempo necessario al formarsi di un giudizio rispettivamente sulle capacità del dipendente e sulle condizioni di lavoro348

.

Il datore avrà la facoltà di “studiare” il dipendente e di assumerlo definitivamente qualora lo ritenga valido personalmente e professionalmente; il prestatore potrà a sua volta valutare l'ambiente di lavoro e la congruità delle condizioni lui offerte, rispetto alla qualità e quantità del lavoro richiesto.

Adempiuto l'obbligo bilaterale di fare e consentire l'esperimento, la disciplina codicistica riconosce al datore di lavoro il potere di recedere senza dover invocare una giusta causa o un giustificato motivo349

, con l'unico limite dell'eventuale fissazione di un periodo minimo di prova, salvo il verificarsi di un evento che integri un licenziamento per giusta causa del lavoratore350

. Le dimissioni del prestatore, invece, resteranno regolate dall'art. 2118 c.c. in quanto egli potrà uscire dal rapporto lavorativo in ogni momento e liberamente, secondo una valutazione soggettiva ed insindacabile, senza dover fondare la propria scelta su un fatto giustificativo tipizzato rigidamente, come ad esempio l'inadempimento datoriale.

347 RIVA SANSEVERINO, “Commentario del codice civile art. 2096”, op. cit., pag. 243, secondo cui il lavoratore ha interesse alla prova ai fini di un'assunzione a titolo definitivo, che per lui rappresenta la garanzia di un'occupazione a tempo indeterminato.

348 Nella più volte menzionata Relazione del Guardiasigilli si chiarisce “Dato che le parti hanno

convenuto di procedere all'esperimento, è giusto che siano tenute ad attuarlo, sotto pena....di dover rispondere dei danni” ed ancora “E' salvo il diritto di recesso nel corso del periodo ove questo non sia soggetto ad un minimo di durata necessaria”. L'obbligo dell'esperimento deve

cioè essere rispettato sotto pena di obbligazione risarcitoria.

349 IZAR A. V., “Il patto di prova nel lavoro subordinato”, cit., pag. 2.

Questa maggior libertà è giustificata dalla tendenza stessa del nostro ordinamento giuslavoristico, finalizzato a tutelare la parte ritenuta più debole e disinteressato all'adozione di cautele da porre in favore di un soggetto – datore di lavoro – già dotato di un forte potere contrattuale.

Mentre la Legge sull'impiego privato del 1924 ricalcava quindi gli usi di fabbrica senza prevedere alcun limite all'esercizio del potere di recesso datoriale, il Codice Civile del 1942, per evitare abusi nell'uso della prova, sancisce l'obbligo di consentire un'effettivo svolgimento dell'esperimento, evitando in tal modo licenziamenti arbitrari.

Ciò non significa che l'art. 2096 c.c. abbia introdotto un diritto soggettivo del prestatore ad essere assunto definitivamente in caso di esito positivo dello stesso, ma può parlarsi senza dubbio di un diritto soggettivo al compimento della prova, da cui deriva la limitazione temporale nell'esercizio della facoltà della controparte di uscire liberamente dal rapporto351

La libertà di recesso dell'imprenditore dovrà cioè essere ridimensionata dalla soddisfazione dell'obbligo di consentirne il compimento della prova in modo serio e dalla eventuale previsione, ad opera delle parti, di un tempo minimo352.

La scelta di tutelare la parte contrattualmente più debole attraverso la restrizione del potere di recesso datoriale, è stata seguita anche dalla Legge n. 604/66 sui licenziamenti individuali, che dispone l'esclusione del lavoro in prova dal suo ambito applicativo.

Nel corso dello svolgimento dell'esperimento, infatti, la legislazione speciale in esame non prevede la necessità di fondare il licenziamento su una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo o soggettivo353

.

Allo stesso tempo, però, pone un limite temporale massimo di durata della facoltà di libero recesso pari a sei mesi dall'inizio del rapporto, allo scadere dei quali tornerà ad applicarsi la normativa vigente, ovvero la necessaria

351 ZANGARI G., “Il recesso dal rapporto di lavoro in prova. Studi sul contratto di lavoro con

clausola di prova”, op. cit., pag. 89.

352 La Corte Costituzionale, con sentenza n. 541 del 2000, ha tra l'altro chiarito che il recesso dal rapporto di lavoro in prova non è soggetto alla prescrizione necessaria della forma scritta, che opera in generale per il recesso del datore.

giustificazione del licenziamento individuale.

Le disposizioni in parola sono contenute nell'art. 10 della Legge n. 604/66 che sancisce “Le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'art. 2095 del codice civile e, per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro”.

La ratio rinvenibile nell'art. 2096 c.c. è dunque che l'esperimento oggetto della clausola della prova si compia per intero e seriamente, onde far si che dalla conversione del rapporto in prova esca un rapporto destinato a svolgersi durevolmente ed operosamente tra le parti.

In caso di effettivo esercizio del potere di licenziamento o del diritto a presentare le proprie dimissioni la disciplina applicabile non differirà da quella prevista nel rapporto definitivo, come confermato dalla Corte Costituzionale354

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In ogni caso di recesso al termine o durante la prova, spetteranno al lavoratore il trattamento di fine rapporto e le ferie retribuite o la relativa indennità sostitutiva; qualora sia il lavoratore a dimettersi egli avrà diritto alla corresponsione dell'indennità sostitutiva di preavviso355

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Qualora invece, compiuto il periodo di prova, nessuna delle parti receda, vi sarà una trasformazione automatica del lavoro in prova in contratto a tempo indeterminato, senza che sia necessaria alcuna formalità circa l'avvenuta conferma. Lo stesso effetto si produrrà nel caso in cui si sia lavorato anche un solo giorno in più oltre il termine pattuito per la prova.

Non vi sarà cioè il bisogno di una successiva determinazione negoziale tra le parti, ma la conferma del lavoratore al termine della prova come effetto automatico del mancato recesso356

.

Il rapporto di lavoro diventerà pertanto definitivo e, come precisato dall'ultimo comma dell'art. 2096 c.c., il servizio prestato si computerà

354 Corte Cost., 16 dicembre 1980, n. 189, in Gazzetta Ufficiale n. 357, 31 dicembre 1980.

355 CGIL Milano, “Il patto di prova: cos'è e come funziona”, su rivista “Appunti”, n. 3 gennaio 2001.

356 ZANGARI G., “Il recesso dal rapporto di lavoro in prova. Studi sul contratto di lavoro con

nell'anzianità di servizio del lavoratore subordinato357

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Si avrà in questo modo la retrodatazione di alcuni effetti della fattispecie negoziale del lavoro subordinato, quale la maturazione dell'anzianità di servizio, fenomeno definito dalla dottrina come “retroattività obbligatoria” imputabile alla conversione del rapporto da provvisorio in definitivo.

13.2 Prova come “clausola di libera recedibilità”: tempo del recesso e

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