• Non ci sono risultati.

«Non ho mai visto una persona essere trattata con tutto questo riguardo qui a Lucerna», mi disse una mattina Marguerite, dopo uno dei suoi gruppi del venerdì mattina. Stava parlando di Magda. «Non riesco a capirne il motivo. Di cosa hanno paura?»

Ricordo chiaramente il giorno del suo ingresso, la presentazione durante il pranzo. Ricordo anche un'altra cosa che mi fu fatta notare, proprio alla fine del pranzo – Magda non aveva finito di mangiare ciò che aveva chiesto. «Non penserà di fare così ogni giorno, spero», sussurò Christiane, guardandola con supponenza. Sprecare cibo era una delle cose che maggiormente creava fastidio, fra gli operatori ma anche fra gli utenti. Non perché il cibo fosse mai scarso – al contrario, era spesso sovrabbondante – ma per una questione di principio. Ogni mattina veniva compilato il menu per pranzo e per cena, e ciascuno doveva segnare quali portate avrebbe mangiato per entrambi i pasti. Fu una delle prime cose che insegnarono anche a me, per facilitare il compito di chi stava in cucina, e permettere di preparare porzioni adeguate. E questo rendeva lo spreco di cibo ancora più inaccettabile, un'altra dimostrazione dell'incapacità dei tossicodipendenti di essere padroni di sé e dei propri bisogni.

~ 190 ~

Era il suo primo giorno, e questa infrazione le fu perdonata. Non conosceva ancora adeguatamente le regole, soprattutto non sapeva ancora quali fossero gli impliciti che stanno intorno a quelle regole. Ma a Magda questa particolare infrazione fu perdonata per un altro ben più importante motivo: era stata ammessa in comunità non soltanto con disturbi legati all'uso di sostanze. inestricabilmente legati a questi erano i suoi disturbi alimentari. «La cocaina mi permetteva anche di mangiare e comunque non ingrassare», spiegò.

Ma nelle settimane successive accadde una cosa imprevista. Invece che migliorare, sul fronte di questi disturbi, Magda iniziò a peggiorare. Non soltanto mangiava meno, ma sempre meno cose. E il culmine fu raggiunto quando venne assegnata alla cucina, per sostituire Bret. Con la giustificazione del suo disturbo alimentare, ottenne il permesso di preparare per sé una ciotola di insalata mista a parte, sia a pranzo che a cena. Da quel momento, non mangiò più quello che mangiavamo noi. Aveva sempre la sua ciotola di insalata, che preparava separatamente ogni giorno. Inevitabilmente, questo significava concederle preminenza rispetto ad alcune provviste: se anche non c'era abbastanza verdura per tutti, ci doveva essere abbastanza verdura per lei.

A lungo, questo privilegio non creò nessun problema, nessun malcontento presso gli altri utenti. In fondo, Magda non mangiava altro, letteralmente, se non a colazione. E, oltretutto, non mancava mai di essere puntuale con il lavoro in cucina per tutti. Non mancava mai di svolgere i propri compiti in generale, a dire il vero. Era una delle persone più precise e affidabili, e molto rapidamente iniziò a gestire la cucina senza necessità di supervisione da parte degli operatori di turno, soprattutto da quando fu affiancata da Elsa e poi da Lauren. Non solo: era anche una delle persone che, almeno apparentemente, avevano preso più sul serio il percorso riabilitativo. Interveniva durante i gruppi, era sollecita a chiedere ed effettuare colloqui, non soltanto con Dacia, la sua operatrice di riferimento, ma con tutta l'équipe. E divenne anche un supporto per gli operatori stessi, non solo prendendo frequentemente le loro parti in momenti di conflitto ma esercitando anche in maniera sollecita quella funzione di 'sorveglianza secondaria' di cui ho parlato nei capitoli precedenti. Con il tempo, tuttavia, riuscì a ottenere anche altri privilegi, o comunque a farsi trattare in maniera diversa rispetto agli altri utenti. Nei primi mesi del 2018, tornò spesso a Livorno per visite e operazioni odontoiatriche, ma invece che andare e tornare in giornata riuscì quasi sempre a ottenere di passare la notte a casa, per stare con la figlia. Le furono approvati acquisti di prodotti non strettamente necessari, che agli altri utenti non erano stati approvati. In generale, la percezione di molti era che Magda venisse sempre trattata con un occhio di riguardo dagli operatori. Che a lei fosse permesso più di quanto agli altri era permesso. «Lei non chiede, ordina».

A lamentare maggiormente questa ingiustizia fu, sicuramente, Sylvia. Anch'ella aveva avuto, in concomitanza con l'abuso di alcolici, problemi nella gestione del cibo, che consumava in eccesso, e temeva un ritorno di questo comportamento al punto di chiedere di poter sedere vicino all'operatore in turno ogni pasto per essere sorvegliata. Ma, oltre a questo, nessuna delle sue richieste di menu specifici fu mai accolta, probabilmente perché non aveva disturbi alimentari diagnosticati e certificati. Una diversità di trattamento che lei non esitava a rimarcare, non solo commentando a mezza voce ogni no che riceveva, con riferimenti chiari alla libertà che era invece concessa a Magda, ma anche con vere

~ 191 ~

e proprie azioni di protesta, come rifiutarsi di mangiare qualsiasi cosa se non le verdure di contorno che doveva condividere con tutti. La lettura che gli operatori dettero di queste azioni era diversa. «Si sta 'selenizzando'», commentò Jane, dopo l'ennesima occasione in cui Sylvia aveva chiesto un trattamento simile a quello di Magda. E quest'ultima era spesso in ufficio a lamentare la percepita emulazione, a sottolineare che i suoi 'privilegi' non erano assolutamente tali ma dettati da una situazione specifica, che richiedeva interventi specifici.

Marguerite non era mai stata molto convinta dell'immagine che di Magda le veniva restituita, né dagli utenti né dagli operatori. Mentre Magda occupava progressivamente sempre più spazi, si adattava alla vita (soprattutto lavorativa) della comunità, Marguerite insisteva che «qui dentro se non è la più grave è una delle più gravi». Lo diceva spesso anche a me, in occasione delle nostre brevi conversazioni dopo i suoi gruppi. All'inizio non ero particolarmente sicuro di quali fossero gli indizi della gravità della sua condizione, ma con il tempo riuscii a intravederli, finché non divennero praticamente ovvi agli occhi di tutti. «Il problema», mi disse un venerdì Marguerite, cercando di generalizzare la situazione di Magda, «è che la comunità ha dei punti ciechi. Per come è organizzata, per come sono i programmi qui dentro, ci sono degli aspetti che sono fortemente privilegiati e degli aspetti che invece passano in secondo piano, ma che secondo me sono altrettanto importanti per la riabilitazione delle persone. La cosa più importante qui dentro è il lavoro. Che siano attività lavorative o lavoro in gruppo non importa, ma è evidente quando uno svolge questo lavoro, e invece quando non lo svolge. Ma ciò non significa che stia effettivamente lavorando su di sé, lavorando per cambiarsi. Magda è un esempio perfetto di una persona che si nasconde dietro il lavoro per ricrearsi un suo spazio confortevole, in cui può rimanere sostanzialmente la stessa». Si nasconde dietro il lavoro. In diverse occasioni, Marguerite propose di togliere Magda dalla cucina, di forzarla in una posizione in cui non avrebbe potuto gestirsi le cose che per lei veramente contavano (in primo luogo, il cibo) senza interfacciarsi con gli operatori. Questa proposta era anche motivata dal fatto che Marguerite si era convinta che Magda non avesse nessun disturbo alimentare, o almeno che l'atteggiamento che aveva nei confronti del cibo fosse dovuto più a un tentativo di monopolizzare il controllo su quanti più aspetti della sua vita possibili. Per lo stesso motivo, ogni volta che sbagliava qualcosa, ogni volta che un operatore o, ancora peggio, un altro utente le faceva notare la possibilità che fosse nel torto, ogni volta che riceveva un provvedimento disciplinare, quell'atteggiamento di collaborazione e di accettazione dell'ordine della comunità si trasformava immediatamente in risentimento, rabbia, recriminazione. Per questi motivi, Marguerite cercò di mettere alla prova Magda, di provocarla anche dove si sentiva più sicura. Ma nessun altro lo fece in maniera altrettanto aperta. Dacia si disse preoccupata dalle potenziali conseguenze di un tale intervento. «Io ho paura che mi esploda e se ne vada. Quando si mette in testa una cosa, non la blocca più nessuno, e quello che la attende fuori, il suo compagno, la figlia, certo non l'aiuta a rimanere qui». Ma questo timore, benché sicuramente giustificato e accentuato dalla presenza di una figlia di tre anni della quale, in caso di abbandono, Magda avrebbe sicuramente perso l'affidamento, rendeva gli operatori quasi impotenti di fronte al dilagare delle libertà che ella si prendeva. E, verso la fine di settembre, questi timori si sarebbero manifestati in tutta

~ 192 ~

la loro fondatezza, a partire da un episodio di ordinaria sorveglianza che rivelò quanto Magda era in grado di muoversi all'interno delle maglie delle regole della struttura.

Amélie sta raccontando della perquisizione generale che hanno fatto stamani. A quanto pare, è stato un disastro assoluto. Quasi tutti avevano, negli armadi, nei comodini, sotto i letti, qualcosa che non avrebbero dovuto avere. In particolare, lamette, che erano state bandite dopo l'incidente di Hunter. Quasi tutti lasciavano spazzatura a giro per le camere, o cercando di nasconderla da qualche parte di non immediatamente visibile. Bret me lo aspettavo – lui accumula letteralmente qualsiasi cosa, anche se non la usa o se non ha alcuna utilità in generale. Ma Magda mi ha sconvolto. Non soltanto ha due buste intere di cosmetici in ufficio, ma ne ha altri nascosti in camera, insieme ai prodotti per l'igiene personale che vengono distributi qui, e dei quali fa scorte impressionanti. «Il suo armadio è peggio di quello di Bret», è stato il commento di Amélie. «Dentro ci abbiamo trovato anche un intero rotolo di carta, staccato pezzo per pezzo». E la cosa peggiore non è nemmeno quella. Insieme a tutti questi prodotti, hanno trovato dei biscotti. Una busta intera di biscotti, nascosta sotto una pila di vestiti. Mi chiedo come sia possibile che lei sia riuscita a contrabbandare una busta di biscotti, quando le provviste di qualsiasi tipo sono sempre sotto il controllo degli operatori. Evidentemente la libertà che ha di accedere non solo alla cucina ma anche alla dispensa è stata a questo scopo molto utile.70

A questa cosa, gli operatori non seppero come reagire. Mi fu evidente quanto diversamente Magda veniva trattata rispetto agli altri utenti da questa titubanza. Quando a Agatha trovarono un pacchetto sconosciuto di sigarette in camera, fu confrontata pubblicamente e da questo episodio fu tratta una lezione per l'intero gruppo; nel caso di Magda, altrettanto grave sul piano della violazione delle regole, fu invece manifestata la necessità di muoversi con cautela. Una cautela che si dimostrò giustificata, poiché quando Magda fu confrontata su questo suo accumulare, e soprattutto sulle abbuffate che faceva di nascosto con i biscotti che aveva sottratto alla dispensa, crollò completamente. «Ormai è caduta l'immagine della donna perfettamente adattata alla comunità. E si sono resi evidenti tutti i privilegi che è riuscita a ottenere nascondendosi dietro a questa immagine». Per qualche giorno, Magda rifiutò di partecipare a qualsivoglia attività di gruppo; rimase chiusa in camera, uscendo solo per mangiare e per svolgere le sue responsabilità, nella maniera più sbrigativa possibile. Jane e Dacia discussero a lungo sul da farsi, su come cercare di risolvere la situazione. La prima era convinta che Magda avesse ormai «preso troppo piede, dobbiamo in qualche modo bloccarla». Dacia rispose che «possiamo bloccarla, ma consapevoli che poi se ne va». Per qualche giorno, il rumore di sottofondo della comunità e dell'ufficio fu il dubbio sulla possibilità o meno di reintegrarla, o come minimo di farla venire 'allo scoperto' nelle sue abbuffate. Fu quest'ultima la soluzione concordata, alla fine. In parte per cercare di raggiungere con Magda un compromesso, in parte per costringerla ad abbandonare l'immagine che aveva costruito nei mesi precedenti, di capacità di controllo e di moderazione.

~ 193 ~

Pensai a lungo alle parole di Marguerite, a come aveva descritto il comportamento di Magda come un tentativo di nascondersi dietro al lavoro, nei «punti ciechi della comunità». Ella era senza dubbio una delle persone più ‘adeguate’, sia nel prendere sul serio il percorso riabilitativo come opportunit{ di lavorare su di sé che nella sua capacità di adattamento alle necessità della vita quotidiana di Lucerna. O quello che sembrava adattamento – e che progressivamente emerse invece come uno sforzo costante di piegare quante più regole e abitudini potesse alle proprie esigenze o i propri desideri. Era cominciato tutto in cucina. Quando era Bret ad avere assegnato quel settore, l’operatore di turno sorvegliava spesso che i pasti venissero cucinati secondo le ricette che avevano stabilito, in parte sicuramente perché Bret non aveva mai cucinato prima di entrare in comunità, e si era trovato da un giorno all’altro nella situazione di dover preparare pranzo e cena per quindici persone ogni giorno. Ma in parte questo maggiore interventismo si spiega anche con una maggiore richiesta di feedback da parte dello stesso Bret. Al contrario, Magda, che già aveva lavorato come aiuto cuoco e non aveva bisogno di essere costantemente seguita, smise rapidamente di cercare conferme da parte dell’operatore in turno. E, lentamente, iniziò a modificare le ricette, sia negli ingredienti che nella preparazione. Soltanto Jane le opponeva resistenza, e anche lei smise progressivamente di farlo, di mettere in dubbio ogni richiesta che Magda faceva per la cucina, e semplicemente accettò che fosse quest’ultima a decidere almeno parte del menu e della preparazione.

Gradualmente, attraverso l’impegno della cucina, Magda iniziò a ritagliarsi altri spazi. Raramente arrivava in orario ai gruppi, soprattutto a quelli della mattina, perché c’era sempre qualcosa da fare in cucina, qualcosa da controllare. Per questo stesso motivo, usciva frequentemente durante i gruppi stessi, molto più frequentemente di quanto non sarebbe stato consentito – e molto più frequentemente delle altre persone che erano con lei in cucina. Proprio attraverso questo paragone diventava evidente lo spazio di cui Magda si era appropriata.

Ma non era soltanto questo che Marguerite intendeva con «si nasconde dietro al lavoro». Il tentativo di occupare tutti gli spazi possibili, e di spingere al massimo i confini degli spazi occupati, è caratteristica comune. Per un certo periodo, Chuck lasciò che fossero Stephen e soprattutto Piergiorgio a fare le sue responsabilità (le pulizie, primariamente) quando nessuno controllava. In cambio, Piergiorgio, che facendo un programma diurno non aveva uno spazio ‘privato’ all’interno della comunità, utilizzava frequentemente la camera di Chuck, soprattutto per dormire dopo pranzo. Agatha e Goliarda facevano di tutto per farsi assegnare le pulizie della stanza fumo, dove avrebbero comunque passato molto del loro tempo.

Un’abitudine di molti era quella di ‘studiare’ l’ufficio e gli operatori, cercare di esercitare una «sorveglianza di ritorno». Essa si poteva manifestare nella forma più semplice del controllo dei movimenti quotidiani degli operatori e dell’ascolto furtivo fuori dalla porta dell’ufficio – o, in alcuni casi, di domande poste direttamente a me, contando sulla mia libertà di movimento. Ma si poteva manifestare anche in un’attenta osservazione dell’organizzazione dell’ufficio stesso e degli altri micro- spazi di pertinenza degli operatori, nei momenti in cui erano accessibile. Mi accorsi quasi per caso di

~ 194 ~

quest’ultima forma di controllo, da piccoli dettagli del comportamento degli utenti che entravano in ufficio.

Albert è entrato in ufficio per prendere un cerotto, e ho avuto la netta impressione che sapesse dove sono, ma che non volesse rivelare che lo sapeva. Dopo aver ricevuto una risposta positiva, ha subito aperto l'armadio dove stanno le scorte di medicazioni, ha allungato la mano, e poi si è fermato. «Non so dove sono». Quando Virginia gli ha indicato la scatola, è andato un po' troppo a colpo sicuro. Forse sono cose che non significano niente, che sovrainterpreto. Ma in questi momenti ho l'impressione di vedere non soltanto un tentativo di controllare la propria facciata, ma soprattutto di esercitare una sorta di contro-sorveglianza, fingendo di sapere meno di quanto realmente non si sappia.71

Charles me lo disse esplicitamente. Egli, come tutte le persone che invece delle sigarette compravano tabacco sfuso, ogni sera, prima di cena, andava in ufficio a prepararsi le sigarette per il giorno dopo. «Quando sono lì, parlo, anche un po’ per distrarre le persone che ci sono, e nel frattempo mi guardo intorno. Se c’è qualcosa che mi interessa, mi fermo anche più del previsto, con la scusa di farmi qualche sigaretta in più, per portarmi avanti. E poi memorizzo tutto, piano piano». Ultimo ma non meno importante, frequentemente gli utenti cercavano di esercitare piccole e discrete pressioni sugli operatori, affinché questi ultimi cambiassero qualche cosa del programma previsto della giornata. Poteva essere l’argomento di un gruppo, il menu del pranzo, la frutta della merenda, il percorso da fare durante una passeggiata. Mi trovai spesso in mezzo a queste richieste, soprattutto per quanto riguardava la merenda, che iniziai dopo un po’ di tempo a distribuire direttamente; ma anche in qualità di mediatore, non soltanto per ottenere informazioni ma anche per fare richieste che gli utenti non volevano fare personalmente, convinti che in quel modo sarebbero state rifiutate e che io avessi maggiori possibilità. In queste occasioni fui costretto a utilizzare la mia discrezione nel decidere cosa comunicare e in che modo; ma generalmente cercavo di evitare di farmi portatore di richieste o proposte, anche se le condividevo. La consideravo, e tuttora la considero, un’illegittima irruzione nella dimensione terapeutica, più di quanto non lo fosse già la mia presenza. Le richieste non smisero mai di arrivare.

«Si nasconde dietro al lavoro», tuttavia, significava qualcosa di più specifico rispetto al comportamento di Magda. La comunità fonda la sua azione terapeutica sulla responsabilità e sul lavoro, ed entrambi questi termini hanno tanto una componente riflessiva quanto una componente che potremmo definire performativa. Se la prima è il «lavoro su di sé», il processo di ripensamento e trasformazione della propria soggettività, potrei definire la seconda come quella che ha a che fare con l’esteriorit{ e la relazionalit{ della riabilitazione: non soltanto il lavoro ‘materiale’, quello di manutenzione della casa e gestione delle necessità quotidiane, ma anche il lavoro relazionale, come i

~ 195 ~

colloqui e i gruppi.72 La dimensione performativa della riabilitazione è sicuramente quella centrale – è

il punto di partenza, la conditio sine qua non della riflessivit{. Ma l’obiettivo finale è chiaramente quest’ultima: la comunit{ cura attraverso la condivisione ma ciascuno deve farsi carico del proprio percorso e della propria trasformazione.

L’obiezione di Marguerite stava proprio nello scarto fra queste due dimensioni. Per quanto la riflessivit{ sia l’obiettivo, è difficile valutare quanto sia vicina o lontana, e anche quando è presente, abbiamo visto che può avere dei risvolti inattesi. Al contrario, la performatività è sempre di fronte ai nostri occhi. Fare la comunità, agire al suo interno, attraverso il lavoro e attraverso la relazione con i professionisti, è una cosa che può essere facilmente valutata, che può fornire indicazioni sullo stato e sui progressi di ciascuno; ma sono indicazioni che si fondano, almeno implicitamente, su di una corrispondenza fra le due dimensioni.

Questo lascia prevedibilmente delle zone d’ombra all’interno delle quali i soggetti si possono muovere con relativa autonomia. Non è molto diverso dal modo in cui si muovono all’interno degli interstizi dell’organizzazione della vita quotidiana, e in questo caso i risultati sono potenzialmente più disgreganti. Perché a tutti gli effetti Magda aveva risemantizzato lo stesso percorso riabilitativo, ne aveva alterato l’equilibrio (e la priorit{) fra la parte riflessiva e quella performativa. Nella prospettiva di Marguerite, così come in quella dell’équipe della comunit{, questo «nascondersi» ha chiaramente una connotazione negativa, perché implica il rifiuto dell’azione terapeutica della