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Il concetto di bene

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 35-40)

I. I caratteri del sapere pratico

4. Il concetto di bene

È opportuno considerare a questo punto l’importanza che riveste, all’interno della struttura del sapere pratico, il concetto di bene. È proprio in riferimento al bene che, infatti, si apre l’Etica Nicomachea con l’assunzione che vi è un fine in ogni arte, indagine, azione e scelta umane, da cui segue la definizione di bene come il fine di ogni cosa, «Ogni arte e ogni indagine, come pure ogni azione e scelta, a quanto si

crede, persegue un qualche bene, e per questo il bene è stato definito, in modo appropriato, come ciò cui tutto tende» (EN I 1, 1094a1-3).

Già in questo incipit è possibile individuare una prima e generale definizione del concetto di bene: esso è “ciò cui tutto tende”, il fine di ogni attività umana, ed essendo il fine ultimo di tutte le azioni è fondamentale, all’interno della riflessione sull’etica, comprenderne la natura.

Ora, tale concetto di bene rappresenta un punto di forte di distacco dal pensiero platonico, che è opportuno osservare più nello specifico. L’idea platonica del Bene, viene criticata da Aristotele, con l’argomento che il bene, è qualcosa che si predica secondo le categorie. L'idea platonica di Bene, infatti, è, l’idea suprema che sta al vertice dell’intero mondo delle idee e dalla quale le altre dipendono. Essa è perciò un’unità che comprende e unifica ogni tipo di bene, costituendo il fulcro dell’unità di teoria, etica e politica. Come osserva Vegetti, essa è «il massimo oggetto di teoria, il fondamento ultimo di valore e il principio di orientamento della prassi»19.

A causa, dunque, di questa sua natura unitaria e trascendente, essa è oggetto di un particolare genere di sapere che è la dialettica, in una connessione che trova maggior approfondimento nel VII libro della Repubblica, successivamente alla narrazione del mito della caverna (506A).

Per Platone la dialettica mostra la deducibilità di tutte le idee dall’idea di bene, il che comporta l’esistenza di una sorta di connessione tra le idee e ne rivela, nei rapporti di inclusione ed esclusione, l’essere e la verità.

Aristotele, in linea con la sua inedita suddivisione dei saperi, non condivide questa posizione della dialettica come genere unico di scienza, e ritiene parallelamente necessaria un'analisi differenziale del concetto di bene, del quale va riconosciuta una pluralità, in quanto si parla di beni in relazione a molte e diverse cose.

Come afferma nel capitolo 4 del I libro, in cui prende in esame tale questione, ci si occupa di bene in diversi ambiti e con diversi approcci epistemologici, a seconda di quale sia l’ambito di realtà che viene preso in esame. Addirittura si trovano esempi di situazioni in cui si parla di bene con diverse sfaccettature in relazione anche a una singola categoria.

Siccome il bene si dice negli stessi modi in cui si dice l’essere, infatti si dice nella categoria della sostanza, come il dio e l’intelletto, e nella qualità, come le virtù, e nella quantità, come la giusta misura, e nella relazione, come l’utile, e nel tempo come il momento opportuno, e nel luogo, come l’habitat naturale, e via dicendo, allora è chiaro che il bene non potrà essere qualcosa di comune, universale e uno. Altrimenti non lo si direbbe in tutte le categorie ma in una soltanto. […] Per esempio del momento opportuno si occupa, in caso di guerra, l’arte militare, e in caso di malattia la medicina; della giusta

misura si occupano sia la medicina, riguardo alla dieta, sia la ginnastica, riguardo agli esercizi. (EN I 4, 1096a22-34)

La posizione espressa qui da Aristotele comporta innanzitutto l’osservazione di tipo linguistico, che di bene si parla in molti modi. È poi da osservare che la distinzione categoriale di bene non lascia spazio ad alcuna definizione esclusivamente unitaria, quale quella presupposta nell’ambito della gerarchia del mondo delle idee. Tale nozione è presente, del resto, anche in un passo dell’Etica Eudemia.

E come appunto nemmeno l’essere è qualcosa di uno nelle cose enumerate, così neanche il bene; né c’è una scienza unica né dell’essere, né del bene . Ma neppure i beni espressi nella stessa categoria spetta di considerarli a una sola scienza, […] sicché ben difficilmente proprio lo studio del bene-in-sé apparterrà a una sola scienza. (EE I 8, 1217b33-1218a1).

La differenzazione del bene, dunque, comporta anche una corrispettiva distinzione dei saperi, elemento fondamentale, come abbiamo visto, per il pensiero aristotelico. Aristotele descrive il proprio concetto non unitario di bene a partire dall’esame dei fini. Esiste infatti una molteplicità di fini, alla quale, come sottolinea a più riprese all'interno della trattazione, corrisponde una molteplicità di beni. Oltre, infatti, a quanto viene detto nell'incipit, cioè che ogni azione viene compiuta in vista di «qualche bene», egli afferma anche che «il bene è diverso in ogni diverso tipo di azione e di arte» (EN I 5, 1097a16): tale

molteplicità fa sì che sia possibile parlare di bene in senso unitario solo per analogia (EN I 4, 1096b17). Non si può più parlare, dunque, di un bene unico, ma occorre parlarne nella sua plurivocità, osservando la molteplicità di beni attraverso una gerarchia di desiderabilità, al vertice della quale si colloca il bene pratico: «in ogni azione e scelta è il fine, infatti tutti compiono tutto per esso. Di modo che, se vi è un qualche fine di tutte le azioni che si compiono, questo verrà a essere il bene pratico» (EN I 5, 1097a21-23).

È utile osservare che tale bene pratico, inteso come ciò in vista di cui si sceglie di compiere una determinata azione, è strettamente connesso alle intenzioni del soggetto morale, e quindi con la volontarietà. Ora, sulla questione della volontarietà delle azioni, su cui Aristotele si sofferma soprattutto nel III libro dell’Etica Nicomachea (1109b30-1111b3), ci occuperemo più approfonditamente nel prossimo capitolo, ciò che, però, ci interessa osservare qui è che a partire dalla critica alla teoria intellettualistica socratica che viene fatta in tale sede è possibile osservare ulteriori elementi che caratterizzano il concetto aristotelico di bene, come vedremo20.

20 Cfr. Le pagine dedicate alla questione della volontarietà in relazione alla

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 35-40)