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Il ruolo dell’empeiria nello svolgimento della phronesis

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 138-145)

IV. Phronesis ed esperienza

1. Il ruolo dell’empeiria nello svolgimento della phronesis

Il primo passo che lega la phronesis, in quanto virtù intellettuale, all’empeiria (esperienza) è quello posto in apertura del II libro, dove Aristotele prende in esame il modo in cui le virtù si acquisiscono. In questa sede Aristotele si limita ad affermare che «la virtù intellettuale in genere nasce (genesin) e si sviluppa (auxesin) a partire dall’insegnamento (didaskalias), ragione per cui ha bisogno di esperienza (empeirias) e di tempo» (EN II 1, 1103a15-17).

Giacché tale affermazione non viene poi ripresa nel II libro, che come abbiamo visto è invece dedicato alle virtù morali, per capire cosa intenda Aristotele occorre esaminare alcuni passi del VI libro, in particolare i capitoli 8, 9.

Abbiamo visto che nel capitolo 8 Aristotele descrive alcune caratteristiche della phronesis, in parte riproponendo ciò che era già stato detto nel capitolo 572, in parte adducendo nuovi elementi che in tale sede non sono presenti.

Per prima cosa si ripete che la saggezza si occupa delle cose umane, che sono oggetto della deliberazione (la quale come abbiamo

visto è relativa a ciò che può essere diversamente), tant’è vero che dell’uomo saggio (paronimos) si dice che sa ben deliberare. Viene però precisato qui che la deliberazione è in vista di un bene pratico, per raggiungere il quale si attiva la parte razionale calcolatrice dell’anima. Perciò la saggezza, che eccellenza di questa parte del’anima, deve conoscere non solo gli universali ma soprattutto i casi particolari perché deve poter calcolare i modi di agire correttamente nelle circostanze specifiche (VI 8, 1141b6-17).

Ne consegue che in questo, come «in altri campi vi sono alcuni, gli esperti (praktikoteroi), che, pur senza conoscere l’universale, sono più capaci di agire di quelli che lo conoscono» (1141b17-18). Di nuovo incontriamo un’analogia con l’ambito delle technai, in cui incontriamo la figura dell’esperto, il quale non conoscendo gli universali non può essere definito propriamente tecnico, eppure grazie alla propria esperienza dei casi particolari risulta in più occasioni più capaci degli altri.

Infatti se uno sa che le carni leggere sono ben digeribili e sane, ma ignora quali sono le carni leggere, non produrrà la salute; la produrrà piuttosto chi sa che le carni di pollo sono leggere e salutari. La saggezza è pratica, quindi deve conoscere entrambi gli aspetti, o, principalmente, il secondo. ( EN VI 8, 1141b19-22)

Conoscere i particolari è dunque di fondamentale importanza, dal momento che la sola conoscenza teorica è insufficiente all’azione, come abbiamo già visto sopra nel discutere il problema dell’utilità della phronesis73.

È utile accostare al passo appena letto a un famoso luogo del I libro della Metafisica (I 1, 981a5 e ss): qui Aristotele esaminando il rapporto fra techne ed empeiria, prende ad esempio proprio il modo di procedere del buon medico a testimonianza del fatto che la conoscenza del particolare può essere sufficiente per individuare una terapia specifica, in un caso specifico.

Si genera l’arte (techne) quando da molte nozioni empiriche nasce un unico concetto universale intorno a cose simili; infatti, il ritenere che una certa medicina ha giovato a Callia ammalato di una certa malattia come anche Socrate e a molti altri presi individualmente, è proprio dell’esperienza; sapere, invece, che una certa medicina ha giovato a tutti costoro che sono ammalati di una certa malattia, distinti in un’unica specie, […] è proprio dell’arte. Certamente, in relazione all’agire l’esperienza non sembra differire dall’arte, anzi gli esperti riescono anche meglio di coloro che possiedono la ragione delle cose senza averne esperienza, né è causa il fatto che l’esperienza è conoscenza dei particolari mentre l’arte è conoscenza degli universali. (Metaph. I 1, 981a5-17).

Successivamente in VI 8, Aristotele sottolinea che dalle considerazioni fatte non consegue che la phronesis si occupi solo del bene particolare del soggetto. La saggezza possiede, infatti un’altra forma che riguarda la città, ovvero la politica. La politica, come era stato già anticipato nel I libro74, si occupa del bene umano di tutti i cittadini, dal momento che governa, organizza e gestisce la città.

Ma anche in questo ambito vi sarà una forma architettonica. La politica e la saggezza sono lo stesso stato abituale, ma la loro essenza non è la stessa. Di quello stato abituale che riguarda la città, una parte è legislatrice (phronesis nomothetike), poiché è architettonica, l’altra parte ha il nome comune ’politica’ (politike), poiché è rivolta ai particolari; essa è pratica e deliberativa, infatti il decreto è pratico, poiché è il termine estremo. Per questo si dice che solo quelli che emettono decreti fanno politica, infatti sono i soli ad agire alla stregua dei lavoratori manuali.

Si ritiene anche che sia saggezza soprattutto quella che riguarda se stessi come singoli, ed essa ha il nome in generale, ‘saggezza’; delle altre, una è l’amministrazione domestica (oikonomia), un’altra la legislazione, un’altra la politica, e di questa, parte è deliberativa (bouleutike) e parte giudiziaria (dikastike). (1141b22-32)

Attraverso una distinzione di generi e specie Aristotele considera qui la saggezza come un genere di cui sono specie la politica e la

74 «Sembrerebbe essere oggetto della più autorevole e architettonica, e questa è

evidentemente la politica. […] Siccome la politica si serve delle altre scienze pratiche, e in più legifera su cosa si deve fare e da cosa ci si deve astenere, il suo fine comprenderà in sé quello delle altre scienze, in modo che verrà a essere il bene umano» EN I 1, 1094b4-7.

saggezza relativa al singolo. A sua volta però, anche la politica è un genere, che si può suddividere in specie, di cui l’una ha il nome, anch’essa, ‘politica’ e si occupa dei casi e dei decreti particolari, mentre l’altra, che è la legislazione, ha carattere più generale, ed è perciò definita architettonica.

Segue nel capitolo 9, una riflessione sul rapporto intrinseco tra bene individuale e bene collettivo. Affermando che è chiaro che vi è un modo corretto e scorretto di cercare il proprio bene (VI 9, 1142a1-6), e a ulteriore conferma del fatto che la saggezza non è caratterizzata da una componente egoistica Aristotele aggiunge che «chi cerca il proprio bene particolare è saggio, eppure certo non si può conseguire il proprio bene senza vivere nella famiglia e nella comunità politica» (1142a8- 10). E poiché la phronesis si occupa dei casi particolari Aristotele ribadisce l’importanza che ai fini della saggezza ha l’esperienza, facendo l’esempio dei giovani, che essendo privi di esperienza non possono essere saggi mentre possono diventare sapienti, per esempio nelle scienze matematiche.

È indizio di quanto abbiamo detto anche il fatto che i giovani diventano geometri, matematici, e sapienti in quelle discipline, ma non si ritiene che divengano saggi. Causa ne è anche il fatto che la saggezza ha per oggetto anche i casi particolari, i quali ci divengono familiari per esperienza, mentre il giovane non ha esperienza (dato che “di tempo un grande lasso produce esperienza). Per questo uno potrebbe chiedersi perché, allora, un ragazzo può diventare un matematico, ma non un sapiente o un fisico; non è forse perché

alcune discipline derivano dall’astrazione mentre i principi di altre vengono dall’esperienza, e perché alcune cose i giovani le dicono a parole, senza esserne convinti, mentre non sfugge loro l’essenza di altre? (EN VI 9, 1142a11-16)

Da questo passo si evince che i giovani sono più capaci di apprendere, quelle discipline i cui oggetti ‘derivano dall’astrazione’, mentre per le altre occorre esperienza. Per l’appunto è attraverso l’esperienza di situazioni particolari e il tempo, che si può sviluppare una forma di sapere come la saggezza, che è data dalla conoscenza.

Ricordiamo che analogamente nel I libro, i giovani sono considerati inadatti ad apprendere la politica perché privi di esperienza e si aggiunge la considerazione significativa che ciò vale anche per tutti coloro che, come i giovani, non sono in grado di dominare le proprie passioni. Ciò vuol dire che per diventare saggi è necessaria non solo l’esperienza, ma anche un’educazione delle passioni alla virtù: un punto che vedremo meglio fra poco, esaminando l’ultimo capitolo del X libro.

Il giovane non è adatto ad ascoltare l’insegnamento della politica, dato che è inesperto delle azioni di cui si compone la nostra vita, mentre i nostri discorsi partono da premesse di questo tipo e vertono su argomenti simili. Di più , siccome la caratteristica di farsi guidare dalle passioni, il giovane ascolterà invano, e inutilmente; infatti il nostro fine non è la conoscenza ma l’agire. E non fa nessuna differenza se uno è giovane d’età o immaturo di carattere; il difetto non dipende dal tempo, ma dal fatto di vivere, e di perseguire ogni specie di cose, sotto il dominio della passione. Per gente

simile la conoscenza è inutile, proprio come per chi non si domina; invece conoscere è cosa utilissima per chi forma i propri desideri, e agisce, secondo ragione. (EN I 1, 1095a2-10)

Ma tornando al capitolo 9 del VI libro, Aristotele prosegue affrontando una questione che non era stata ancora introdotta nella descrizione della phronesis, ovvero il ruolo della sensazione (aisthesis) nell’esercizio della saggezza. Aristotele, infatti, mette in luce il forte nesso tra saggezza e caso particolare, osservando che questo è colto dalla sensazione.

È chiaro che la saggezza non è scienza, infatti riguarda, come si è d etto, l’estremo, poiché l’oggetto della prassi è tale. Si oppone, poi, all’intelletto, infatti l’uno ha per oggetto la definizione, di cui non si da dimostrazione, l’altra ha per oggetto quell’estremo di cui non si da scienza, ma sensazione (aisthesis): non però la sensazione che riguarda i sensibili propri, piuttosto quella con la quale percepiamo che, in matematica, l’estremo è un triangolo, dato che a quel punto lì ci si ferma. Solo che quest’ultima è sensazione più di quanto non lo sia la saggezza, mentre il genere di quella detta prima è diversa (VI 9, 1142a24-30)

Il riferimento alla sensazione rinvia al carattere stocastico della saggezza, che per valutare i modi migliori per arrivare al fine preposto si affida a una familiarità data dall’esperienza dei casi particolari. Esso rammenta infatti il passo del II libro in cui, come abbiamo visto, si riconosce agli esperti la capacità di giudicare e congetturare nei casi

singoli in base alla sensazione, dal momento che il ragionamento nell’ambito della prassi non è utile (II 9, 1109a14-23).

2. L’insegnamento e l’esperienza nell’acquisizione della phronesis

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 138-145)