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Virtù etiche e virtù dianoetiche

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 97-102)

III. L’acquisizione della virtù morale

1. Virtù etiche e virtù dianoetiche

Dopo aver preso in esame le linee generali della distinzione fra le virtù morali e le virtù intellettuali, si tratta ora di osservare più nel dettaglio il processo con cui tali virtù si acquisiscono, cominciando con le prime. È il caso di riprendere e approfondire a questo fine, il tema della divisione dell’anima che abbiamo menzionato precedentemente.45 È opportuno, infatti, osservare qui che il modello di divisione dell’anima tratteggiato in EN I 13 è specificamente funzionale all’indagine etica, e si presenta significativamente diverso da quello ‘biologico’ che attraversa il De anima. Vediamo allora lo schema delle tre facoltà principali, delineate nel capitolo 3 del II libro del De anima.

La prima facoltà, e quindi quella inferiore, è la facoltà nutritiva (threptikon), comune a tutti gli esseri viventi comprese le piante (414a29-414b2). Su un livello di complessità superiore si colloca la facoltà definita percettiva: essa è presente in tutti gli animali, e non quindi alle piante, ed è riferita soprattutto al senso del tatto, che Aristotele definisce il senso dell’alimentazione (414b2-7); tale facoltà è inoltre principio sia della facoltà appetitiva (o desiderativa), sia, in

alcuni animali, di quella motoria (414b8-18). La terza e più alta facoltà, infine, è la ‘razionale’, presente solo negli esseri umani (414b19-20).

Ora, come Vegetti spiega, in ambito etico Aristotele non fa riferimento direttamente a tale modello poiché esso «è troppo povero di capacità interpretative per quanto riguarda i problemi psicologici e morali del comportamento umano – è, dunque, insufficiente alla peculiare conoscenza di cui abbisogna il “politico”»46. Vegetti osserva inoltre che del resto una tripartizione dell’anima era già presente nel modello platonico, modello da cui Aristotele intende discostarsi per evitare «la conflittualità rischiosa intrinseca nel platonismo»47.

Nel capitolo 13 del I libro dell’Etica Nicomachea, perciò, incontriamo una divisione dell’anima più appropriata a spiegare una divisione della virtù. Come abbiamo già potuto vedere48, infatti, vengono individuate due componenti dell’anima, una irrazionale (alogon) e una dotata di logos, ognuna delle quali viene a sua volta ulteriormente suddivisa (1102a28-34). L’anima irrazionale si divide in due parti, una delle quali è la parte nutritiva, qui chiamata vegetativa (phytikon), del tutto estranea alla ragione e connessa alle funzioni vitali dell’organismo. Tale parte non è legata al sapere pratico, ed è la parte che l’uomo ha in comune con le piante e gli animali.

46 M. Vegetti, L’etica degli antichi, cit. p. 177. 47 M. Vegetti, ibidem.

Nell’anima irrazionale, una parte sembra essere comune anche ai vegetali, e con ciò voglio dire la causa della nutrizione e della crescita; infatti si può porre una facoltà dell’anima di questo genere in tutti gli esseri viventi che hanno la funzione della nutrizione, e anche negli embrioni; la stessa parte dell’anima si trova anche negli esseri viventi completi: è più ragionevole pensare che sia la stessa, e non qualche altra. È evidente che la virtù di questa parte è qualcosa di comune e non specifico dell’uomo, infatti pare che questa parte e questa capacità agiscano soprattutto nel sonno. […] ma basta su questo, ed è meglio lasciar stare la parte nutritiva, dato che per natura non ha nulla a che fare con la virtù umana. (EN I 13, 1102a33-1102b13)

Non condizionando in nulla l’azione virtuosa, tale parte, non è utile alla ricerca che si intende sviluppare in questa sede, come lo è invece l’altra parte dell’anima irrazionale, ovvero la parte desiderante (come Natali traduce orektikon), o impetuosa (epithymetikon). Essa è caratterizzata dal fatto che, pur essendo irrazionale, partecipa in un certo senso della ragione. Da un lato, infatti, è in grado di obbedirle, e dall’altro di opporsi ad essa.

Anche un’altra parte dell’anima sembrerebbe essere irrazionale, ma essa partecipa della ragione. Infatti lodiamo la ragione, e la parte razionale dell’anima, sia in chi si domina, sia in chi non si domina, dato che la parte razionale li richiama correttamente alle azioni migliori; ma è evidente che vi è in loro, per natura, qualcosa di diverso dalla ragione, che lotta e si oppone alla ragione stessa. Esattamente quello che avviene nelle membra di un corpo affette da paralisi, che si muovono verso sinistra quando si vuole rivolgere verso destra, avviene anche nell’anima, e nello stesso modo: i desideri di chi

non si domina vanno in senso contrario; solo che nei corpi noi vediamo ciò che si muove al contrario, e nell’anima non lo vediamo. Certo bisogna ritenere che, anche nell’anima, allo stesso modo, vi sia qualche cosa che sta accanto alla ragione, le si contrappone e fa resistenza. Non ha nessuna importanza in che modo tale cosa si distingue dalla ragione. Ma è evidente che anche questa parte partecipa della ragione, come abbiamo detto: almeno nel caso di chi si domina, obbedisce alla ragione. (EN I 13, 1102b13-27)

Prova del fatto che tale parte partecipa in qualche misura del logos è che la parte razionale può entrare con essa in conflitto e dunque in una certa relazione che Aristotele paragona al rapporto tra padre e figlio.

La parte impetuosa e, in generale, desiderante, ha una qualche partecipazione alla ragione, in quanto la ascolta e le obbedisce. Così, allora, noi desideriamo anche tener conto del padre e degli amici, e non come diciamo ‘far di conto’ nella matematica. Del fatto che la parte irrazionale viene persuasa in qualche modo dalla parte razionale sono indizio il dare consigli e tutte le forme di rimprovero e di esortazione. Se poi si deve dire che anche quella parte è razionale, allora la parte razionale stessa sarà duplice, e l’una sarà razionale in senso forte e in sé, l’altra come chi obbedisce al padre. (EN I 13, 1102b32-1103a1)

Dal momento che la virtù è il risultato di un funzionamento eccellente dell’anima, a una tale divisione segue appunto la divisone delle virtù, che abbiamo già visto e che qui richiamiamo velocemente: le virtù del carattere, o morali, sono le eccellenze della parte

desiderante dell’anima irrazionale, e le virtù dianoetiche, o intellettuali, lo sono della parte razionale.

Le virtù morali, i cui tratti generali sono esaminati nei primi capitoli del II libro, sono elencate e singolarmente approfondite, in un’indagine che, come abbiamo visto, ha inizio dal II libro e arriva fino al V.

Sorvolando qui sui particolari di tale indagine, ci basti ricordare qui che dopo aver definito tale virtù nel capitolo 4 del II libro come uno «stato abituale (hexis) che produce scelte, consistente in una medietà rispetto a noi, […] medietà tra due mali, l’uno secondo l’eccesso e l’altro secondo il difetto». Segue poi, al capitolo 7, una presentazione «a grandi linee» delle singole virtù morali, in cui è presente, al fine di mettere in evidenza soprattutto la loro natura di medietà tra due estremi, un primo elenco di singole virtù: il primo esempio è dato dal coraggio che è la medietà tra le due forme di eccesso, paura e ardimento (II 7, 1107b1), si osserva poi che la temperanza lo è rispetto al piacere e il dolore (1107b5); cui fanno seguito la generosità (1107b9), la fierezza (1107b26), e infine anche le medietà che non hanno un nome specifico, come l’eccellenza che riguarda l’ira (1108a5-8).

Anche le virtù intellettuali vengono descritte come hexeis, esse però, in quanto relative alla parte razionale sono stati abituali rispetto alla verità: come la virtù del carattere è cogliere il giusto mezzo fra glie estremi delle passioni, quella del logos è trovarsi nella verità.

Tali stati abituali vengono individuati in numero di cinque nel capitolo 3 del VI libro: «essi sono arte, scienza, saggezza, sapienza, intelletto» (1139b16). Non volendo soffermarci ora sulle determinazioni di ognuno di essi, ci limitiamo a specificare che nel capitolo finale del VI libro, il capitolo 13, Aristotele afferma che «è stato detto cosa sono la saggezza e la sapienza, quali oggetti si trovi ad avere ognuna di esse, e che ciascuna è virtù di una parte diversa dell’anima» (1143b15-17).

Avendo fornito qui un quadro generale e introduttivo, relativo alle virtù, ci accingiamo ora a osservare le virtù con maggior attenzione, in riferimento soprattutto al loro carattere di stati abituali (hexeis).

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 97-102)