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Il confronto con le arti stocastiche

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 86-97)

II. Virtù morale e scelta

4. Il confronto con le arti stocastiche

Abbiamo già potuto notare come, nel discorso aristotelico, il confronto con le technai sia piuttosto frequente, e come esso risulti essere un valido materiale argomentativo ai fini di delineare i caratteri del sapere etico. Volendo concentrarci proprio sull’esame di alcune di queste similitudini, vedremo alcuni passi in cui l’utilizzo del paragone con le technai risulta particolarmente funzionale.

Nell’esame delle attività per la ricerca dell’ergon dell’uomo, ad esempio, il riferimento alla techne è fondamentale, in quanto essa non solo è presa ad esempio come forma di conoscenza esclusiva dell'uomo, ma è poi utilizzata come modello nella descrizione della virtù come svolgimento ottimale della propria opera. Nel momento in cui, infatti, è delineato tale carattere dell’arete, il riferimento è proprio alla differenza tra un citarista e uno eccellente

Infatti è proprio del citarista suonare la cetra, e del citarista eccellente suonarla bene; se è così poniamo che l’operare proprio dell’uomo sia un certo tipo di vita, la quale consiste in un’attività dell’anima (psyches energian) e in un agire razionale (praxeis meta logou), ciò vale anche per un uomo eccellente, ma in modo buono e nobile, e che ogni singola cosa raggiunge il bene in modo completo secondo la virtù sua propria. (EN I 6, 1098a12-15)

La techne, come mostra Giuseppe Cambiano39, diventa un modello di conoscenza sia per Platone sia per Aristotele per una serie di ragioni, all’origine delle quali c’è lo sviluppo delle tecniche nel VI-V secolo.

Questo sviluppo aveva dato luogo a un’ampia produzione di trattati mirati a una fondazione e giustificazione dell’esistenza e dell’autonomia del sapere tecnico in oggetto, mediante il riconoscimento della struttura di un complesso di regole e istruzioni, stabili e autonome. In particolare tali peculiari trattati costituirono un modello di sapere, che prevedeva un fine utile, lo studio di un oggetto specifico, accompagnati da un insieme di regole adeguate. Tale riconoscimento, inoltre, comportava anche una rivalutazione della posizione sociale (ed economica) degli esperti di tali technai, i quali percepivano la necessità di essere distinti da coloro che semplicemente operavano, senza nessuna conoscenza di regole generali.

L'utilizzo di esempi attinenti al mondo delle technai è del resto anche nei testi platonici, soprattutto in quelli cosiddetti giovanili: con la maturità, infatti, Platone svilupperà un atteggiamento più critico riguardo alle tecniche, legato alla struttura dei vari livelli di realtà. Non volendo ora soffermarci su tale questione, ci limitiamo solo a ricordare che secondo la divisione del mondo sensibile (cui appartiene il sapere

tecnico) dal mondo delle idee risulta complesso definirne il rapporto, e quindi anche un eventuale grado di somiglianza.

Per Aristotele, al contrario, è tale incertezza a fornire un elemento di confronto utile, con il carattere di imprevedibilità dell’azione pratica. Le arti, e in particolare quelle definite stocastiche, vengono perciò utilizzate spesso a questo fine. Occorre osservare inoltre che esse non servono ad Aristotele da modello unicamente nella sua riflessione più generale di carattere metodologico ed epistemologico, ma ne fa uso anche in contesti più specifici come la descrizione del giusto mezzo, che vedremo in questa sede, e dello stato abituale virtuoso, del quale invece verrà compiuto un esame più specifico nel prossimo capitolo.

Ora le technai stochastike si distinguono per il fatto di vertere in un ambito d’incertezza, esse però non sono determinate da casualità, e richiedere perciò un costante esercizio pratico di approssimazione guidato da uno specifico orientamento. Tale è in primis l’arte dell’arciere, che, infatti, funge evidentemente da modello essa stessa per determinare questo genere di tecniche, se si pensa al fatto che stochazestai significa anzitutto “mirare” a un bersaglio.

Già nel I libro dell’Etica Nicomachea si trova un’analogia con l’arte di tirare con l’arco, atta a descrivere l’atteggiamento che è opportuno che tenga colui che intende studiare il sapere pratico. Come

abbiamo già potuto vedere, infatti, il fine della riflessione etica non è conoscere il bene ma imparare ad agire in vista di esso.

Se quindi vi è un fine di ciò che facciamo […] è chiaro che quello viene a essere il bene e la cosa migliore. Allora la sua conoscenza (gnosis) non avrà forse un grande peso per le nostre scelte di vita, e, come arcieri cui è dato un bersaglio (skopon), non verremo a cogliere meglio ciò che ci spetta fare?» (EN I 1, 1094a18-24).

Da ciò si evince, dunque, che chi intende compiere tale indagine sul bene non deve cercare cosa esso sia ma indagare quali sono le azioni che portano ad esso: proprio come un arciere che mira al bersaglio, bisogna procedere in vista del bene, come fine delle nostre azioni. A proposito di questo esempio Silvia Gastaldi40 osserva come in nel testo il termine telos (fine) viene sostituito da skopos (bersaglio) proprio in ragione del fatto che il fine prefissato per l'azione deve essere «il segno da trafiggere per il tiratore d’arco»41.

Con lo stesso uso, inoltre, il termine skopos è presente nell’Etica Eudemia in un contesto simile, di descrizione del bene come tendenza delle azioni umane. In questo passo però l'analogia è relativa solamente al bersaglio e non è presente un esplicito riferimento all’arciere.

40 S. Gastaldi, Le immagini della virtù, Edizioni dell'Orso, Alessandria 1994, pp.53-

55.

Tenendo dunque presente questo, che chiunque abbia la possibilità di vivere secondo la propria scelta stabilisce un qualche scopo (skopon) della vita felice, sia esso l’onore o la fama o la ricchezza o la cultura, guardando al quale compirà tutte le sue azioni. (EE I 2, 1214b6-10).

La tecnica maggiormente utilizzata, per esprimere al meglio il particolare metodo di ricerca sulla prassi, è però la medicina. L’arte medica, infatti, può illustrare validamente un procedimento soggetto a variabilità e contingenza, poiché il campo d’azione del medico, così come quello dell’etica, si presenta come incerto, variabile e frammentato in casi individuali.

Così nel II libro dell’Etica Nicomachea, per illustrare il carattere approssimativo dell’indagine etica, è proprio alla medicina che si fa riferimento.

Tutto il discorso sulla prassi deve essere sviluppato a grandi linee e senza precisione, come abbiamo detto anche all’inizio, ciò che rientra nel campo della prassi e dell’utile non ha nulla di stabile, come non lo ha nemmeno ciò che rientra nel campo della medicina» (EN I 2, 1104a1-4).

Le caratteristiche del procedere della ricerca etica vengono particolarmente evidenziate, dunque, dalle analogie con l’ambito di tali technai, grazie soprattutto al fatto che sebbene siano caratterizzate da indeterminatezza, esse connotano una praticità indirizzata secondo un preciso orientamento.

Un altro elemento del sapere pratico che tali arti mettono in evidenza, e forse anche il punto sul quale esse sono maggiormente simili, è la dottrina del giusto mezzo. Nella trattazione del meson infatti, come abbiamo visto42, la semantica del ‘bersaglio’ occupa un ruolo centrale in cui la tendenza al giusto mezzo (tou mesou stochastike EN II 5, 1106b7) viene associata al 'prendere la mira' per colpire il centro del bersaglio.

E anche in tale ambito si aggiunge all'immagine dell’arciere l’analogia con la medicina, grazie al suo carattere prescrittivo, infatti, essa funge da utile modello per descrivere la dottrina della medietà. In particolare il tema del regime di vita (diaite)43, fornisce una valida analogia, sia per quanto riguarda le modalità di acquisizione della disposizione virtuosa e del suo mantenimento (di cui parleremo meglio in seguito), sia all'interno della descrizione di giusto mezzo come punto medio tra eccesso e difetto.

Come si vede anche nel caso del vigore fisico e in quello della salute, infatti gli esercizi eccessivi e quelli troppo scarsi distruggono il vigore, allo stesso modo anche l’avere troppi cibi e bevande, o troppo pochi distrugge la

42 Cfr. pp. 71-73.

43 Il principio della dieta ricopre un ruolo centrale anche nei trattati ippocratici,

citiamo almeno un passo del trattato L’antica medicina. «In principio né sarebbe stata scoperta l’arte medica né sarebbe stata ricercata – perché non ce ne sarebbe stato bisogno – se, per gli uomini, avesse giovato ai pazienti lo stesso regime e l’ingerimento delle stesse sostanze che mangiano e bevono i sani ed il loro restante regime, e se non ve ne fossero state altre migliori di queste. Ma ora fu proprio la necessità a far sì che fosse ricercata e scoperta da parte degli uomini la medicina, perché ai pazienti non giovava l’ingerimento delle stesse sostanza dei sani, come non giova neppur ora» (L’antica medicina, 3).

salute, mentre la giusta misura la produce, la aumenta e la difende. (EN II 2, 1104a14-18)

Sempre in riferimento alla dieta si delinea, in un passo dell’Etica Eudemia, la caratteristica di maggiore contrarietà fra il giusto mezzo e uno degli estremi che abbiamo esaminato precedentemente all'interno dell'Etica Nicomachea.

Essi non sono sempre allo stesso punto di disuguaglianza o di somiglianza con il medio, ma a volte si passa più rapidamente all’abito medio partendo dall’eccesso, a volte partendo dal difetto […] per esempio, anche quanto al corpo negli esercizi fisici l’eccesso è più salutare e più prossimo al medio del difetto, nell’alimentazione il difetto più che l’eccesso. (EE II 5, 1222a24-31).

Come abbiamo già notato, però, il raggiungimento del fine prefissato non può essere dato con certezza. Per colpire il bersaglio, infatti, non basta prendere la mira, anzi è molto più facile mancarlo che riuscire a coglierlo, proprio come accade nell’individuazione del giusto mezzo: «l’errare si dà in molti modi […] mentre l’essere corretti si dà in un solo modo: perciò vi è anche una cosa facile e una difficile, facile fallire il bersaglio, difficile il coglierlo» (EN II 5, 1106b28-32). Gastaldi, in merito a tali argomentazioni, osserva che, a differenza di altre metafore che servono per lo più a dare persuasività al discorso, «l’analogia con la dietetica nell’ambito della dottrina del meson aspira a

un’autentica rilevanza scientifica: non si tratta di asseverare, bensì di fondare una teoria»44.

Ora, il problema del’errore è sollecitato dalla natura stessa di tali arti, le quali, come abbiamo visto, non possono basarsi su regole fisse e stabili, esse devono perciò affidarsi a un metro meno rigoroso come quello dell’uomo virtuoso. Il metron, la misura che deve essere utilizzata, dunque, è determinata dalla percezione alla quale si fa riferimento per decidere quale comportamento avere per sbagliare il meno possibile.

Nel trattato L’antica medicina questa misura è descritta proprio come la «sensazione del corpo», alla quale affidarsi per sbagliare «poco qua e là».

Perciò la questione è molto più complessa e richiede maggior penetrazione. Occorre in qualche modo puntare a una misura. Ma non troverai misura alcuna, né numero né peso, la quale valga come punto di riferimento per un’esatta conoscenza, se non la sensazione del corpo. Perciò il compito è di acquisire una scienza così esatta che permetta di sbagliar poco qua e là; e io in molto loderei quel medico che poco sbagliasse; ma la certezza raramente è dato vedere. (L’antica medicina, 9)

Mentre per quanto riguarda l’azione ricordiamo il passo dell’Etica Nicomachea in cui si affronta il problema del biasimo per chi sbaglia.

Ma non è biasimato chi si allontana dal bene solo un poco, né se devia verso l'eccesso, né se devia verso il difetto; viene biasimato chi si allontana in misura maggiore, dato che costui non passa inosservato. Non è facile determinare il ragionamento fino a che punto e in qual misura è degno di biasimo, come non lo è nessun'altra delle cose sensibili: esse rientrano nei casi singoli, e il giudizio spetta alla sensazione. (EN II 9, 1109b18-22)

L’analogia tra l’instabilità e la variabilità del campo d’azione del medico e del soggetto morale, si rispecchia qui nel loro modo di procedere. Come si definisce un bravo medico colui che, non solo conosce i principi generali sulle terapie, ma è anche in grado, a fronte di molteplici condizioni patologiche, di valutare rimedi adeguati e prescrive cure calibrate sui singoli pazienti, allo stesso modo viene considerato degno di lode quell'uomo che sappia agire in modo virtuoso nei casi particolari. Tale modo di procedere non appartiene solo alla techne del medico, ma anche a quella del pilota della nave, il quale in condizioni di tempesta ad esempio, deve decidere come agire valutando le circostanze, per compiere la scelta più adatta nella situazione in cui si trova.

E se i discorsi in universale hanno queste caratteristiche, il discorso sui casi singoli mancherà anche più di precisione, infatti il discorso sul caso singolo non rientra in nessuna arte né in alcuna serie di precetti, ma è necessario, sempre, che chi agisce prenda in esame ciò che riguarda l’occasione presente, proprio come si da nel caso della medicina e dell’arte del pilota. (EN II 2, 1104a6-9)

Per sviluppare la capacità di valutare i singoli casi è necessario che il tecnico usi una continua attenzione nella propria arte. In assenza di un metro costante e uguale per tutti a cui far riferimento, infatti, per poter affidarsi alle proprie percezioni, bisogna imparare dall’esperienza. Colui che ha esperienza di tiro con l’arco non avrà difficoltà a cogliere il centro del bersaglio, così come un uomo che abbia acquisito lo stato abituale virtuoso non avrà difficoltà a trovare il giusto mezzo.

Per questo motivo è anche difficile (ergon esti) essere un uomo eccellente (spoudaion), infatti è difficile cogliere il punto centrale in ogni singolo caso, per esempio trovare il centro (meson) di un cerchio non è da tutti, ma è proprio dell’esperto. (EN II 5, 1109a20-26).

Sempre in riferimento alla capacità dell’arciere ottenuta tramite esperienza, nel VI libro quando viene presa in esame la phronesis, è presente una metafora che descrive come l’uomo virtuoso agisce mirando al bene calibrando il proprio comportamento, proprio come fa l’arciere quando per colpire il segno valuta il grado di tensione

guardando al quale l’individuo razionale si impegna o allenta la tensione» (EN VI 1, 1138b20-23).

Notiamo in conclusione come le arti stocastiche forniscono effettivamente numerosi spunti di riflessione, i quali si rivelano utili nella trattazione aristotelica per delineare gli aspetti peculiari del sapere etico, in particolare per quanto riguarda il ruolo dell’esperienza, di cui tratteremo nel prossimo capitolo.

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 86-97)