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La determinazione dei fini: lo spoudaios

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 130-138)

III. L’acquisizione della virtù morale

5. La determinazione dei fini: lo spoudaios

A sostegno della fondamentale collaborazione di saggezza e virtù morale si possono notare diversi elementi, che consentono inoltre di approfondire la nozione stessa di azione virtuosa.

Per prima cosa va notato che l’azione virtuosa, per essere tale, deve essere frutto di una scelta, la correttezza del cui fine è data dalla

disposizione virtuosa, mentre la conoscenza dei mezzi più adatti per metterla in pratica è data da un’altra facoltà, la phronesis appunto.

Così, a quanto pare, è possibile compiere ciascuna di quelle azioni con una certa disposizione, in modo tale da essere buoni: voglio dire, ad esempio, sulla base di una scelta, e avendo come fine le azioni stesse che vengono compiute. Ora, la virtù rende corretta la scelta, ma ciò che per natura deve essere compiuto in vista di quella non spetta alla virtù, ma a un’altra facoltà. (1144a18-22)

Il compito che la phronesis ha all’interno della scelta, in quanto eccellenza della parte calcolatrice dell’anima razionale, non sta dunque nell’identificazione dei fini dell’azione ma nella ricerca dei modi e dei mezzi per raggiungerli. Per comprendere tale aspetto è il caso di riguardare la descrizione della deliberazione che viene fatta nel III libro, in cui si evidenzia proprio tale configurazione. La funzione di ricerca (zetesis) della deliberazione si svolge, infatti, su ciò che all’agente è possibile fare per raggiungere il fine prefissato.

Sembrerebbe, quindi, come si è detto, che l’uomo sia principio delle azioni: la deliberazione riguarda le cose che lui può realizzare e le azioni tendono a un fine altro da sé. Infatti non sarà oggetto di deliberazione il fine, ma ciò che porta al fine. (III 5, 1112b31-34)

considerando sia la situazione, sia le possibilità dell’agente. In sede di scelta (proairesis) poi, dopo che è stato individuato, tramite la deliberazione, il modo più efficace possibile per procedere all’azione, questo dovrà essere anche oggetto del desiderio; ed è in questo senso che in questo senso il desiderio obbedisce alla ragione.

Ognuno smette di cercare come agire quando ha ricondotto a se stesso il principio, e di sé, alla parte direttiva, che infatti è ciò che opera la scelta. […] Poiché l’oggetto della scelta è, tra quanto dipende da noi, quello che è deliberato e desiderato, anche la scelta viene ad essere un desiderio deliberato di ciò che dipende da noi: infatti giudicando a partire dalla deliberazione, proviamo desiderio secondo la deliberazione. (III 5, 1113a5-12)

Alla luce di tali osservazioni è possibile, ritornando al capitolo 2 del VI libro, comprendere anche meglio la ragione per cui la scelta (proairesis) è definita prima come un «desiderio deliberato» (VI 2, 1139a24), e poi come «pensiero desiderante o desiderio pensante» (VI 2, 1139b4-5)69.

Nel momento in cui ha luogo la ricerca dei mezzi più efficaci per l’azione la phronesis, attraverso la sua attività di corretta deliberazione, presiede sul desiderio, il quale la segue e a lei si adatta. Ora, detto questo per quanto riguarda la ricerca dei mezzi, osserviamo meglio quanto accade nell’individuazione dei fini dell’azione. Abbiamo visto

che dei fini sono posti dalla virtù etica, e non dalla saggezza, per cui il fine è oggetto del desiderio e non del ragionamento.

Aristotele, del resto, afferma che «il fine è voluto (bouletou)» (III 7, 1113b3), perciò non essendo i fini scelti ma desiderati, sarà in base al carattere dell’agente che vengono individuati. È chiaro perciò il motivo per cui solo l’uomo virtuoso è in grado di perseguire il fine corretto che vede nel vero bene.

Allora non bisogna forse dire che, in assoluto e secondo verità, oggetto del volere è il bene, ma che per ciascuno è il bene apparente; che per l’uomo eccellente (spoudaio) è il bene secondo verità, mentre per l’uomo dappoco è ciò che capita. (III 6, 1113a23-25)

Tramite dunque il processo formativo virtuoso, e grazie all’educazione abitudinaria, le opinioni e le nozioni depositate nell’ambiente familiare e sociale vengono assunte come principi pratici, ovvero vengono elette a fini da perseguire70.

Attraverso, infatti, un meccanismo di lodi e biasimi si sviluppa nel carattere una predisposizione che consiste nel provare piacere per ciò che è lodevole e dolore per ciò che è turpe; e tale è la disposizione che consente di individuare i fini corretti.

Indicano ciò anche le punizioni che vengono inflitte a causa delle azioni, infatti le punizioni sono come le terapie, e le terapie, per loro natura, si fanno attraverso i contrari. Inoltre, come abbiamo detto anche prima, ogni stato abituale dell’anima mostra la sua vera natura in relazione a quelle cos, in dipendenza dalle quali naturalmente migliora o peggiora; ed è a causa del piacere e del dolore che gli uomini diventano ignobili, perché perseguono, o sfuggono, quei piaceri che non si deve perseguire o fuggire. (EN II 2, 1104b16-22)

Ora, per capire quali siano i comportamenti corretti per i quali provare piacere, occorre guardare ai modelli: esempi di uomini che nell’ambiente familiare e sociale vengono considerati uomini virtuosi, eccellenti (spoudaioi). Non a caso tali esempi sono frequenti soprattutto nelle definizioni delle singole virtù etiche, in cui, per illustrare quale sia il giusto mezzo cui esse devono tendere, Aristotele fa riferimento a come tipicamente agiscono gli uomini considerati virtuosi e degni di lode, come si può vedere, ad esempio, nel caso della definizione di ‘coraggio’.

Quindi chi affronta, pur temendole, le cose che deve affrontare e per il fine corretto, come si deve e quando si deve, e allo stesso modo mostra ardimento, è coraggioso […] Il coraggio è cosa bella, quindi lo è anche il suo fine, dato che ogni cosa si definisce in riferimento al fine; quindi il coraggioso sopporta, e compie le azioni che derivano dal coraggio, per il bello. (III 9, 1115b18-23)

Tale esempio indica bene l’importanza del modello dell’uomo virtuoso nell’individuazione di un fine bello, e degno di essere perseguito. Avere come fine lo stesso che ha l’uomo coraggioso, e sopportare in ragione di quello ciò che si può temere, renderà coraggiosi e degni di lode. Ora, oltre al coraggio, ci sembra opportuno far riferimento anche all’esempio fornito a proposito della generosità, situato nel IV libro, che presenta un ulteriore elemento degno di interesse. Qui ciò che viene sottolineato è che il modello di uomo generoso prova piacere per le azioni che compie, evidenziando proprio la fondamentale importanza del provare piacere nella stessa azione virtuosa.

Quindi anche il generoso darà per il bello, e in modo corretto, cioè a chi si deve, quanto si deve e quando, e tutte le altre specificazioni che si connettono al dare in modo corretto. Il generoso farà ciò con piacere, o almeno senza dolore, infatti l’agire secondo virtù è piacevole o non doloroso, ma doloroso non lo è affatto. Chi dà a chi non deve, o non dà per il bello ma per qualche altra causa, non lo chiameremo ‘generoso’ ma in qualche altro modo, né chiameremo così chi lo fa con dolore, perché egli potrebbe preferire le ricchezze alla bella azione, il che non è degno di una persona generosa. (IV 2, 1120a24-31)

Da questo passo risulta anche evidente, però, che il modello di uomo eccellente riunisce l’esempio della virtù morale e quello della la virtù responsabile della ricerca del modo corretto dell’azione, ovvero la

phronesis. È significativo che nel presentare modelli di uomini eccellenti, ai quali guardare per determinare un fine corretto, non si possa prescindere dal descriverli anche come dotati di saggezza. Viene così confermato che come appena visto, per usando le parole di Natali, «la virtù senza phronesis è cieca»71.

Ora, le azioni compiute si dicono giuste e temperanti quando sono tali, quali le compirebbe il giusto e il temperante. Uomo giusto e temperante non è semplicemente colui che compie azioni simili ma colui che, in più, le compie al modo dei giusti e dei temperanti. (II 3, 1105b6-9)

L’uomo eccellente (spoudaios), il modello al quale ispirarsi, possiede, dunque, sia la virtù morale che la phronesis, dal momento che l’una individua i beni da perseguire come fini, e l’altra trova i modi migliori per realizzarli.

Infatti l’uomo eccellente (spoudaios) giudica ogni cosa in modo corretto, e a lui appare evidente la verità in ogni singolo caso. Per ogni stato abituale si danno cose belle e piacevoli sue proprie, e certo l’uomo eccellente si distingue soprattutto per il fatto di vedere il vero nei singoli casi, ed essere come un canone e un’unità di misura. (III 6, 1113a29-33)

È chiaro ora il motivo per cui lo spoudaios nel IX libro è descritto dunque come «misura di ogni cosa» insieme alla virtù, poiché

nell’anima di un tale uomo le parti desiderativa e razionale sono in equilibrio fra loro; ovvero egli «desidera per se stesso i beni, o ciò che gli si mostra come tale, e agisce di conseguenza, dato che è tipico di chi è buono darsi da fare per il bene» (IX 4, 1166a11-17).

Le considerazioni fin qui svolte dovrebbero conferma quanto Aristotele afferma alla fine del capitolo 13 del VI libro, in cui ribadisce l’importanza della funzione essenziale della saggezza nell’esercizio della virtù etica.

È chiaro che si avrebbe bisogno della saggezza anche se non fosse pratica, per il fatto che è virtù di una parte dell’intelletto, e che non vi sarà la scelta corretta senza saggezza e senza virtù, infatti l’una pone praticamente il fine, l’altra ciò che porta al fine. (1145a3-6)

Il problema che resta da affrontare è quello del modo in cui la phronesis stessa si può acquisire, argomento che affronteremo nel prossimo capitolo.

Nel documento Virtù e saggezza nell'Etica Nicomachea (pagine 130-138)