In un recente intervento del presidente della Corte costituzionale, Valery Zorokin, circa uno dei temi maggiormente dibattuti a livello europeo – soprattutto in seguito alle mobilitazioni sociali degli scorsi mesi – ovvero la rappresentanza politica, egli ha dichiarato che le recenti modifiche della legge politico/elettorale sono state effettuate perché la Russia ha determinate peculiarità. In Russia sono presenti situazioni di estremismo religioso legate a particolari etnie per cui è legittimo vietare i partiti etnici, nazionalisti o regionali, bisogna agire con cautela nei confronti delle manifestazioni di massa perché potrebbero degenerare in attentati. Vi sono, inoltre, zone del Paese a perenne rischio di estremismo oltre al fatto che la società russa non è ancora matura per declinazioni occidentali della democrazia76.
Risale infatti al 2006 il concetto di “democrazia sovrana” (Suverennaja
demokracija) coniato dal Cremlino per merito di Vladislav Surkov77. Il Cremlino rivendica attraverso tale concetto un proprio modello autoctono di democrazia. Secondo tale pensiero esistono molteplici varianti di democrazia e ogni paese ha il diritto di scegliere quella che si adatta meglio alla sua tradizione storica. Inoltre, secondo l’ideatore della “democrazia sovrana”, le elezioni elettorali sarebbero concepite come strumento per legittimare il potere di fronte al popolo, non come meccanismo di rappresentanza della volontà popolare. Mentre gli ideologi russi della “democrazia sovrana” sono fortemente orientati contro un unico modello di democrazia – entro cui i diritti umani e le libertà individuali sono alla base della democrazia e prevalgono sugli interessi della società – secondo alcuni studiosi e critici occidentali la “democrazia sovrana” non sarebbe altro che una strategia da parte del Cremlino di proteggere il regime russo dalle accuse che provengono “dall’Occidente”. Quindi tale concetto sarebbe una sorta di arma difensiva che permetterebbe di continuare a governare il Paese come è stato fatto finora, nonostante le pressioni internazionali circa determinate questioni di primaria importanza che la Russia sembra non volere rispettare.
76 Di Gregorio Angela, Le stagioni del potere in Russia tra evoluzioni costituzionali e permanenza di elementi
ambientali "caratterizzanti, Challenges and perspectives of contemporary Russia, 09/11/2012, Padova
II Parte
2.1 La situazione economica e la struttura imprenditoriale dell’Unione Sovietica
Durante gli oltre sessant’anni di vita dell’Unione Sovietica il sistema economico si è basato sui principi del socialismo come si può apprendere da alcuni articoli del I capitolo – Ordinamento sociale – della Costituzione russa del 1936 che enunciavano: Art.4:“La base economica dell’Urss è costituita dal sistema socialista dell’economia e
dalla proprietà socialista degli strumenti e dei mezzi di produzione, affermatasi come risultato della liquidazione del sistema capitalistico dell’economia, dell’abolizione della proprietà privata degli strumenti e dei mezzi di produzione e dell’eliminazione dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo”.
Art.5:“La proprietà socialista nell’Urss assume forma di proprietà statale oppure
forma di proprietà cooperativo - kolchoziana”.
Art.6:“La terra, il sottosuolo, le acque, le foreste, le officine, le fabbriche, le miniere, le
cave, i trasporti per ferrovia, per via d’acqua e per via aerea, le banche, i mezzi di comunicazione, le grandi imprese agricole organizzate dallo Stato, nonché le imprese comunali e il complesso fondamentale delle abitazioni nelle città e nei centri industriali, sono proprietà dello stato, cioè patrimonio di tutto il popolo”.
Art.9:“Accanto al sistema socialista dell’economia, che è la forma dominante
dell’economia dell’Urss, è ammessa dalla legge la piccola economia privata di contadini non associati e degli artigiani, fondata sul lavoro personale ed escludente lo sfruttamento di lavoro altrui”.
Art.11:“La vita economica dell’Urss è determinata e indirizzata da un piano statale
dell’economia nazionale, in vista dell’accrescimento della ricchezza sociale, dell’elevamento incessante del livello materiale e culturale dei lavoratori, del consolidamento dell’indipendenza dell’Urss e del rafforzamento della sua capacità difensiva”.
In quel periodo fu assoluta l’importanza del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, perché oltre ad esercitare il controllo politico, prendeva anche tutte le decisioni economiche rilevanti tramite i ministri che erano gli stessi politici e burocrati dello Stato. Erano loro che controllavano anche le imprese statali, affermatesi poi di seguito. La carriera interna al Partito Comunista dell’Unione Sovietica era molto ambita dai russi in quanto permetteva una condizione di controllo su tutte le principali
attività del paese. I dirigenti delle imprese rivestivano un ruolo secondario nell’Unione Sovietica e non erano lontanamente paragonabili ai dirigenti che si andavano affermando già da alcuni anni in occidente. Tali dirigenti dovevano sottostare alle volontà dei ministri, oltre che rispettare gli ordini del Partito; non vi era quell’indipendenza tra imprese private e apparato statale che caratterizzava le società capitaliste. I lavoratori non avevano diritti sostanziali concreti e il loro unico strumento per manifestare disappunto - lo sciopero - era generalmente represso talvolta anche con la forza. Importante sottolineare che la legge ammetteva la piccola economia privata di contadini o artigiani fondata sul lavoro personale, oltre che prevedere il diritto di proprietà personale e di ereditarietà di oggetti di uso domestico e quotidiano (Articoli 9 e 10). Inoltre la Costituzione del 1936 esercitava una chiara distinzione tra coloro che lavoravano e coloro che non lavoravano, infatti, l’articolo 12 recita: Il lavoro nell’Urss
è obbligo ed impegno d’onore di ogni cittadino idoneo al lavoro, secondo il principio: “chi non lavora non mangia”.
Venivano premiati lavoratori quali Stachanov, minatore che nel 1935 riuscì ad aumentare la produttività della sua squadra di quattordici volte rispetto agli standard. Questa dunque la condizione sociale in cui si trovava l’Unione Sovietica durante gli anni del comunismo sovietico.
Inoltre era compito delle grandi imprese russe occuparsi del sistema pubblico del
welfare ovvero dell’assistenza sociale, degli alloggi, della salute e dello svago dei
lavoratori. I governi locali non possedevano neppure le strutture basilari per provvedere all’organizzazione dei servizi destinati al popolo, oltre a non disporre delle finanze necessarie per realizzarli.
A partire dal 1985 fino al 1991, con l’avvento di Gorbačëv, la situazione cambiò. Gorbačëv fu promotore di due importanti processi denominati perestrojka e
glasnost’ (rispettivamente: ricostruzione e trasparenza) ed attuò nel Paese un complesso
sistema di riforme economiche e di trasparenza soprattutto nella sfera burocratica, allo scopo di ristrutturare l’economia nazionale. Le riforme però non furono immediate, in quanto Gorbačëv preferì agire moderatamente sia per quanto riguarda la resistenza alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, sia nella gestione del passaggio da un’economia centralizzata ad una di mercato.
Il Partito Comunista perse in questo periodo il controllo sul sistema economico e venne essenzialmente diviso tra i governi locali e le numerose organizzazioni che agivano a livello indipendente. Il “collasso” del Partito Comunista causò una grave
perdita soprattutto per quanto riguardava l’efficienza, perché se prima il Partito coordinava le attività delle varie imprese, ora tali organizzazioni cercavano semplicemente di espandere il loro controllo sulle industrie e estenderle il più possibile. Inoltre in questi anni vi fu un maggiore dilagare della corruzione, percepita come strumento per ottenere privilegi da quei burocrati che non dovendo più rendere conto al Partito si appropriarono così dei soldi provenienti dalla corruzione, arricchendosi. La corruzione divenne così estesa che molte persone pensavano sarebbe stato impossibile aprire attività in Russia.