Anche nel caso della privatizzazione come precedentemente era accaduto con le riforme economiche apportate dal governo di Gaidar e definite come shock therapy, la priorità fu assegnata alla rapidità del processo di conversione dell’economia russa, piuttosto che alla sua reale efficienza. Era necessario assegnare il maggior numero possibile di imprese statali a proprietari (manager russi, ma anche stranieri) che fossero interessati al profitto, per permettere l’adattamento delle imprese al nuovo tipo di mercato, favorendo così la trasformazione economica russa. Il programma di privatizzazione sottendeva, quindi, sia obbiettivi di natura politica, che obbiettivi economici di vario tipo. Le principali idee di base di tale programma, come enunciate dagli autori del libro “Privatizing Russia”86 erano fondamentalmente tre. La prima può essere riassunta con il semplice pensiero “i russi sono uomini economici”, ovvero se si permette ai lavoratori, ai manager e alla società russa, di trarre vantaggi economici dall’opportunità di possedere una proprietà privata, essi dedicheranno il loro tempo e le
85Ǻslund A., How Russia Become a Market Economy, The Brookings Institution, Washington, D.C. 1995, p.378 86 Cfr., Privatizing Russia, 1995, p. 9 e ss.
loro energie nel cercare di arricchirsi. La seconda idea che stava alla base della privatizzazione era la necessità di “depoliticizzare” la vita economica, in quanto la massiccia influenza politica nella sfera economica era vista come principale causa di inefficienza economica. La liberalizzazione dei prezzi favorì la depoliticizzazione, perché privava i politici dell’opportunità di distribuire a loro piacimento le merci sul territorio. Con la privatizzazione si cercava dunque di eliminare i collegamenti tra i manager delle imprese e i politici/burocrati, inducendo le imprese ad allinearsi con le esigenze dei consumatori e non più con le volontà dei politici che rappresentavano gli interessi del proprio elettorato. La terza idea, infine, riguardava il fatto che il governo russo non possedesse realmente i beni che dovevano essere privatizzati, in quanto gli investitori ed i manager esercitavano già un sostanziale controllo sulle imprese statali che avrebbero costituito la base della privatizzazione russa. Gli investitori ed i manager delle imprese statali davano il loro consenso a privatizzare tali beni in cambio di un significativo ritorno economico, non proprio legale. Tale meccanismo di corruzione, sul diritto di proprietà delle imprese, contribuì alla formazione di una ricca ma elitaria classe di proprietari. Questo perché, anche se lo Stato possedeva legalmente le imprese, nella realtà non era l’unico ad averne il controllo effettivo. Un’impresa tipica del periodo sovietico aveva dunque i seguenti “proprietari”87: i politici tra cui burocrati e funzionari del Partito e i manager dell’impresa. Ai manager generalmente toccava un ruolo secondario in quanto gli interessi primari consistevano nel raggiungimento dei piani stabiliti dai ministri e nella crescita della loro attività dettata da burocrati e politici.
Il 3 luglio 1991 passò la legge: Sulla privatizzazione statale e locale delle
imprese della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa88, firmata da Boris Eltsin. Tale legge mirava essenzialmente alla trasformazione di un’economia controllata per circa il 90% dallo Stato, come era stata quella sovietica, ad un’economia di mercato. Nel primo articolo della legge sulla privatizzazione viene spiegato in concreto quali erano le proprietà incluse nel programma della privatizzazione.
87 Con “proprietari” si intende coloro che potevano controllare le imprese dal punto di vista economico.
88 Закон Российской Федерации "О приватизации государственных и муниципальных предприятий в
Российской Федерации" (Legge sulla privatizzazione statale e locale delle imprese della Repubblica Socialista
Federativa Sovietica Russa), 3 luglio 1991 N.1531-1, consultato il 12/10/2012 all’indirizzo: http://www.tehlit.ru/1lib_norma_doc/1/1303/index.htm Traduzione dall’originale russo.
Capo I: Condizione Generale. Art. 1 “Il concetto di privatizzazione delle
imprese statali e locali” – “La privatizzazione delle imprese statali e locali, l’acquisizione da parte dei cittadini, da parte delle società per azioni presso i governi statali e locali di proprietà private, negozi, industrie, terreni, e altre divisioni di queste aziende, assegnate a imprese indipendenti; attrezzature, edifici, impianti, licenze, brevetti ed altre attività materiali e immateriali delle società liquidate e dei loro reparti; azioni dello Stato e dei governi locali nel capitale azionario di società; appartenenti ad imprese privatizzate, nel capitale di altre società per azioni, delle società, dei sindacati e di altre associazioni d’imprese.
In seguito la legge sulla privatizzazione della proprietà statale e locale è da intendersi su tutti gli elementi di proprietà riportati qui sopra.”
Tale legge, specifica inoltre nel dettaglio i metodi di cui ci si poteva avvalere per privatizzare le imprese statali e, inoltre, annuncia la creazione di un organo con il compito di supervisionare tali processi di privatizzazione, denominato
Goskomimushestvo (GKI), ovvero “Comitato per le proprietà statali della Russia”.
Il programma di privatizzazione si basava a grandi linee sulla trasformazione delle imprese statali in società per azioni, di cui una parte delle azioni veniva assegnata ai lavoratori dell’impresa mentre un’altra parte sarebbe stata venduta tramite delle vere e proprie aste, in cui tutti i partecipanti all’asta potevano fare delle offerte tramite i buoni distribuiti precedentemente alla popolazione. La scelta di procedere alla privatizzazione tramite buoni come avevano fatto precedentemente Cecoslovacchia e Polonia, anche se con delle differenze, era principalmente dettata dalla volontà di assicurarsi il supporto della popolazione.
Le trasformazioni delle imprese statali in società per azioni, compito che spettava al GKI, non fu ovviamente facile in quanto nessuno era in grado di stimare il valore di una determinata impresa sul mercato, dato che un mercato non esisteva ancora e quindi il valore fu approssimato in base a delle statistiche.
Per quanto riguardava i buoni, ovvero, la quota del patrimonio di una determinata impresa statale sottoposta al processo di privatizzazione, venivano assegnati a tutti i cittadini russi nati prima del 1992, inclusi i bambini. I buoni avevano un valore nominale pari a 10.000 rubli e venivano assegnati in cambio di una somma di denaro pari a 25 rubli. Scopo dei buoni, oltre che coprire almeno in parte i costi amministrativi dell’emissione e della distribuzione degli stessi, era il loro utilizzo alle
aste organizzate dal GKI per ottenere in cambio quote delle imprese statali o locali che con l’asta si stavano privatizzando.
In soli due anni, dal 1992 al 1994, la Russia riuscì nell’impresa della privatizzazione portando il settore privato, prima inesistente, a ricoprire l’80% dell’economia. In realtà, però, tutto questo avvenne in un modo quasi mai chiaro e corretto. La scarsa informazione aveva reso le aste un affare per pochi, caratterizzate da frodi di vario tipo, che si tenevano in luoghi e ad orari spesso non pubblicizzati per impedire l’accesso della popolazione. Questo generò un diffuso malcontento popolare in quanto si sostituì la vecchia classe della cosiddetta nomenklatura89, non tanto con una nuova classe imprenditoriale che avrebbe guidato le nuove imprese nel mercato economico – come la propaganda del programma di privatizzazione aveva assicurato – ma con la formazione di un ristretto gruppo elitario ovvero gli oligarchi che andarono ad acquisire il controllo in svariati settori chiave dell’economia russa.