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La concezione di V.E. Frankl

III. Il significato di «senso»

3.2. La concezione di V.E. Frankl

Senso come «Senso Ultimo», ossia come significato cosmico, disegno previo, esterno e superiore all’individuo, che ordina l’universo. Potrebbe essere di tipo spirituale o di tipo magico.44

un’unica soluzione valida, che occorre scoprire e non inventare. Così Frankl, riferendosi a Wertheimer, parla di “carattere di esigenza insito in ogni situazione”,47 accentuandone l’aspetto oggettivo e connotando il discorso non in una accezione logico-analitica (come assegnazione estrinseca, seppur convenzionale, di significato a qualcosa), bensì ontologica e deontologica. Egli si attesta, pertanto, su una posizione realista, intendendo il senso come “un contenuto ed un valore proprio e reale, inerente all’oggetto stesso, precedente e vincolante rispetto a qualsivoglia determinazione concettuale o linguistica”.48 Il costrutto di senso, in questa prospettiva, lungi dal coincidere - secondo un riduzionismo psicologistico - ad una proiezione soggettiva o ad un mero concetto cognitivo, rappresenta invece “il senso intrinseco, oggettivo e concreto dell’esistenza (ovvero l’elemento valoriale ed eticamente rilevante insito in essa)”,49 potenzialmente presente in ogni situazione, e in attesa di essere intuito e realizzato dal soggetto.

Nondimeno quest’ultimo, in relazione alla totalità del senso, risulta strutturalmente in grado di coglierne solamente un aspetto particolare, legato allo specifico punto di vista con cui guarda il reale. Ne consegue, dunque, il carattere di relatività del significato che, però, non si risolve affatto in relativismo. La relatività del punto di vista soggettivo, infatti, rimanda – essendo «relativa» – a qualcosa di oggettivo, che sopravanza l’individuo e la sua visuale forzatamente parziale. Lo sguardo dell’uomo riesce a carpirne un frammento, una porzione della totalità della realtà oggettiva, cosi che

“l’unica soggettività consiste nella prospettiva attraverso cui accostiamo la realtà, e tale prospettiva non sottrae nulla all’oggettività della cosa stessa”.50

47 Ibid., p. 269. Egli esemplifica questo concetto con un episodio, tratto dalla sua esperienza di conferenziere quando, tra i diversi quesiti presentati dagli ascoltatori, e in forma scritta, ne fu scartato uno perché «senza senso». Chiedeva, infatti, come Frankl definisse “600” nella sua teoria. Egli racconta:

“volli esaminare personalmente il foglio e mi accorsi che (…) il quesito, scritto a stampatello, era ben altro: bisognava fare solo un piccolo sforzo per distinguere tra la scrittura inglese di Dio (GOD) e il numero 600”.(Ibid., p. 81) Come si può evincere, non tutte le interpretazioni hanno lo stesso valore: solo una è quella giusta per una determinata situazione, e “non posso dire: la mia risposta è «esatta» o

«sbagliata»” (…) Devo cercare di trarre il vero significato della domanda che mi viene rivolta” (V.E.

Frankl, Senso e valori per l’esistenza, cit., p. 75).

48 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 303

49 Ibidem

50 V.E. Frankl, Senso e valori per l’esistenza, cit., p. 73. Su filo di questo ragionamento, possiamo distinguere i significati (parziali e soggettivi) dal senso nella sua interezza ed oggettività, ricorrendo anche a quanto afferma G. Mollo. Così, il significato “consiste in un’operazione di aggettivazione: si tratta di assegnare valore a situazioni ed eventi” (G. Mollo, La via del senso, cit., p. 59): dipende, dunque, dal modo in cui l’esperienza viene vissuta e provata dal soggetto. Tuttavia, questo non esaurisce il senso nella sua universalità. Infatti, se sostiamo sul piano dei significati, il rischio di relativismo e soggettivismo si palesa in tutta la sua evidenza: occorre, allora, riscoprire e recuperare il senso, “che trascende un tempo e una temperie culturale (…) attraverso la comprensione della dimensione dell’universalità” (ibid., p. 60).

Il senso, dunque, postula e precede i molteplici significati che da esso possono scaturire, ed al quale si riferiscono: è ad essi a-priori, e non si esaurisce in questo o quello, giacché ciò che si sviluppa prima psicogeneticamente (il significato, nelle sue determinazioni simbolico-culturali e personali) non coincide con ciò che precede ontologicamente. All’origine, infatti, vi è il senso: come orientamento di ogni procedere esistenziale, capace di alimentare la continua ulteriorità della scoperta dei significati, rimandando sempre a qualcosa di incommensurabile.

Il senso, dunque, è imprescindibile: non è possibile non «credere» ad un senso, “de profundis qualcosa erompe, qualcosa si fa strada, emerge un’assoluta fiducia che non conosce né colui verso cui si dirige, né ciò in cui si confida”.51 Anche il suicida, secondo Frankl, crede in un significato: altrimenti non potrebbe nemmeno fare il gesto di togliersi la vita52. Parimenti, il laico e l’agnostico credono in un senso: la loro volontà di significato, infatti, “profetizza inconsciamente (come una sorta di «fede implicita») una ulteriorità inesauribile”.53 Possiamo, dunque, dire che nel fondo del proprio essere l’uomo sperimenta l’ineluttabilità del senso: egli avverte, cioè, una tale esigenza che può riferirsi solo al fatto che, comunque, vi sia un senso nell’esistenza, al di là del riuscire, l’uomo, a consapevolizzarlo o meno.

In linea con ciò il senso - quale dimensione sovrastante alla luce della quale i singoli eventi possono situarsi in un ampio orizzonte di significato - non risulta del tutto comprensibile. Frankl esprime tale principio attraverso l’efficace metafora del formicaio, evidenziando che “l’essere umano è prima di tutto un essere storico: è posto in uno spazio storico, dal cui sistema di coordinate non si può staccare. Questo sistema di riferimenti in cui si muove ha un senso: anche se non ammesso dal singolo, anche - forse – se inesprimibile. Il va-e-vieni di un formicaio può essere inteso come avente uno scopo, non però come avente un senso: e se si esclude la categoria del senso, si esclude in pari tempo che possa essere definito come storico: lo «stato» delle formiche non ha

Si tratta, pertanto, di una dimensione che non risulta sospesa alla costruzione del singolo, ma sempre la eccede: il senso c’è, è dato, e spetta alla persona comprenderlo e scoprirlo in termini di significativo riscontro personale. Affiora la dimensione della trans-soggettività che, come vedremo, richiama simultaneamente all’oggettività dei valori ed alla prospettiva dei significati.

51 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., p. 94

52 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., pp. 251-252. Sulla stessa lunghezza d’onda dice Larocca: “anche il suicida persegue un valore trascendente: benché distorto e annullato nel tentativo di affermarlo o, se si vuole, di affermarlo mentre lo nega” (F. Larocca, Oltre la creatività, cit., 1983, p. 157)

53 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 294

infatti «storia»”.54 Questo senso che esiste, pur essendo inesprimibile, e benché mai afferrabile interamente, rientra nella dimensione della fede e, dunque, nella credenza che

“tutto ciò che è vero, che è e che sarà, ha il suo proprio senso, «ha senso»; e non si tratta solo delle opere durature, dei «valori eterni», delle creazioni che hanno significato per la società, per l’umanità e per il futuro, ma anche di ogni esperienza veramente reale, della consapevolezza di collegamenti infiniti, come una scintilla che si accende e si

«spegne»”.55 E, allora, forse l’interrogativo dell’uomo sul senso della vita (prima di tradursi in domanda consapevole e capace di dinamizzare il processo di ricerca personale) si basa su un originario atto di fiducia nell’esistenza di valori e significati oggettivi: in qualcosa o qualcuno che abbia valore per sé e in sé. Emerge, pertanto, come la significatività dell’esistenza richieda un’apertura trascendente ad una dimensione esterna all’Io, che si sostanzia “come assenso implicito e non riflesso (…) Si tratta di quell’orientamento spontaneo e fondamentalmente inconscio che l’uomo intrattiene nei confronti di un «senso ultimo», come oggetto infinito di intenzione che solo può giustificare la sua inesauribile ricerca di significato”.56

Da queste considerazioni, la questione del senso generale della vita (spesso sottesa alle particolari domande esistenziali connesse ai contesti di vista concreti) affiora in tutta la sua complessità, e risulta affrontabile “soltanto attraverso un atto di suprema decisione esistenziale”,57 non potendo essere dipanata – come accennato - razionalmente58. Ciò equivale ad ammettere, ed accettare, che qualcosa di misterioso debba permanere nel piano dell’intuito, del vissuto e dell’inesprimibile secondo il linguaggio razionale-simbolico (risultando, forse, esplicitabile attraverso altri mediatori, pre-simbolici59). Il linguaggio ha pertanto dei limiti, poiché “dove tutte le parole sarebbero ben poca cosa, là ogni parola è di troppo”.60 Tuttavia, non è affatto lecito pensare che quanto non risulti definibile sia, per ciò stesso, non-credibile. Infatti, il senso non è qualcosa di inafferrabile al vissuto, ma solo alla razionalità ed ai suoi strumenti: lo si può sentire ed

54 V. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 64

55 V.E. Frankl, Le radici della logoterapia, cit., p. 54

56 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 292

57 Ibid., p. 288

58 Come sostiene Frankl, “non si può dare una risposta intellettuale a tale domanda, resta pur sempre possibile una decisione esistenziale”, V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., p. 134

59 Lo stesso Frankl amava ricorrere all’uso di metafore, quali immagini fortemente evocative. Ma si può fare riferimento, anche, a linguaggi (o mediatori) attivi, iconici ed analogici (cfr. D.P. Ausubel, Educazione e processi cognitivi, Milano, Angeli 1978 e E. Damiano, L’azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Roma, Armando 1993)

60 V.E. Frankl, Homo patiens, cit., p. 129

intuire bene, è qualcosa di «reale», sia come presenza che come assenza. È difficile tradurre tale sentire in parole, predicarne alcunché.61 Forse, allora, “l’unica chance consiste non nel «dimostrare» (…) logicamente ma nel «mostrare» (…) fenomenologicamente”62, potendo così arrivare al senso attraverso il vissuto soggettivo esperito dall’uomo: ovvero, mediante quella che Frankl denomina l’autocomprensione ontologica preriflessiva. Concetto, quest’ultimo, che rimanda indubbiamente all’esistenza oggettiva del senso stesso.

Autocomprensione ontologica preriflessiva

Con questa espressione Frankl intende il modo di vedersi, spontaneo e naturale, ancorché implicito, che il cosiddetto ‘uomo della strada’ possiede in merito a se stesso ed alla sua esistenza, quale realizzazione di significati, e che “solo un’analisi fenomenologica condotta in maniera metodologicamente accurata (…) ci consentirà di comprendere”.63 Egli precisa in questi termini la questione: “autocomprensione è ciò che io mi ritengo in quanto uomo, ciò che io credo significhi fondamentalmente essere-uomo. Ontologico significa che si riferisce all’essere-uomo.

E pre-riflessivo vuol dire questo: ancor prima di avere un’idea di che cosa siano la filosofia, la psicologia, la psichiatria, io so già che cosa accade veramente nella vita. Di minuto in minuto mi trovo ad affrontare situazioni che mi lanciano un richiamo: devi fare questo, puoi fare questo”64 In effetti, l’uomo comune avverte intimamente che il suo profondo benessere non è sospeso al piacere o al raggiungimento di uno stato di equilibrio, quanto all’apertura verso qualcosa o qualcuno che vada al di la di se: “egli sa in un certo senso che realizza se stesso nella misura in cui dimentica se stesso; ed egli dimentica se stesso proprio nella misura in cui si dona: a una causa (che serve) o a una persona (che ama)”.65 Pertanto egli non si vede, continua Frankl,

“come un campo di battaglia tra le contrastanti esigenze dell’Es, dell’Io e del Super Io.

Piuttosto, egli interpreta la sua vita come una catena di situazioni diverse, nelle quali viene a trovarsi e che in un modo o nell’altro deve imparare a dominare. Situazioni che racchiudono un ben determinato significato che interessa solo lui e che lo chiama direttamente in causa. E proprio l’autocomprensione originaria gli chiede di fare il possibile per rintracciare e individuare un tale significato”.66 Così, la fede incondizionata in un senso incondizionato nell’esistenza, fulcro della logoterapia, altro non è che “è il risultato di un’analisi fenomenologica dell’«autocomprensione ontologica preriflessiva»”.67

61 Cfr. W. Patrick, Noi non ne parliamo, Cisu, Roma, 1997, sul tema del silenzio quale forma elevata di rispettosa comunicazione.

62 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 289

63 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., p. 111

64 V.E. Frankl, F. Kreuzer, In principio era il senso, cit., pp. 50-51

65 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, p. 122

66 Ibid., p. 113-114

67 V.E. Frankl, Logoterapia medicina dell’anima, cit., p. 234

Torna, dunque, l’aspetto focale dell’autotrascendenza umana che, nei suoi connotati di libertà e responsabilità verso dei valori oggettivi, qualifica la persona e la differenzia dall’animale. Ovvero: erompe la centralità della volontà di significato nel suo richiamo ai valori oggettivi, giacché “il senso semplicemente esiste, in un’oggettività sorprendente, sovraumana, addirittura trascendente; esso esiste per ogni persona in ogni situazione, che venga «colto con devozione» (…) oppure no, che la persona obbedisca a ciò che riconosce come significativo oppure no”.68

3.2.2. Il sapere del sentire

Così, l’affermare l’oggettività del senso richiama al superamento della realtà immanente del soggetto, nella prospettiva della sua elevazione verso qualcosa o qualcuno che ha assunto come valore e che, in quanto tale, costituisce un polo attrattivo per il dinamismo della sua volontà. Tale movimento non si risolve né in una deriva soggettivistica né, tantomeno, oggettivistica, bensì nella tensione – nel rapporto intenzionale - fra la soggettività dell’individuo e l’oggettività dei significati e valori, dal quale rapporto69 scaturisce il significato che questi riesce ad afferrare, nella concretezza della sua situazione esistenziale. Infatti, se parliamo di «oggettività» del senso e della «scoperta»

come dinamica esistenziale sottesa al coglimento dei significati, ciò suppone che il senso stesso scaturisca dalla relazione tra il soggetto e il mondo oggettivo, venendo così ad essere “determinato dalla sintassi delle regole costitutive della realtà e della persona”.70 Èl’elemento della trans-soggettività ad emergere: il fatto, cioè, che il senso sia tale in quanto colto dal soggetto nel suo rapporto, unico e singolare, col reale.

Tale dinamica trans-soggettiva non è qualcosa che soggiace al mondo puramente razionale, dato che il senso “può essere intuito fenomenologicamente dalla coscienza personale, piuttosto che razionalmente inferito o intellettualmente dedotto”.71 La soluzione o risposta «giusta» all’interrogativo di senso, infatti, appare inaspettatamente:

68 E. Lukas, Prevenire le crisi, cit., p. 214

69 Infatti, “rilevando la derivazione etimologica di Sinn (senso, significato) dal gotico Sinps (percorso) (…) il «senso» è fondamentalmente un rapporto (…) tra il soggetto e il mondo oggettivo” (D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 304 (nota 9)

70 Ibid., pp. 309-310

71 Ibid., p. 303

basti pensare che “il processo di scoperta del significato (…) si può localizzare a metà strada tra un’«esperienza aha» (…) e una «percezione delle forma»: improvvisamente balugina un senso, improvvisamente ci salta agli occhi”.72

Dice ancora Frankl, a proposito della dinamica di scoperta del senso: “a mio parere, ciò che distingue la percezione del senso da una percezione gestaltica è questo: non solo viene colta semplicemente una «figura» che, partendo da uno «sfondo», balza ai nostri occhi, ma viene scoperta una possibilità che si trova dinanzi allo sfondo della realtà. Si tratta cioè della possibilità di cambiare la realtà”.73 Lungi dal coincidere, pertanto, con una percezione statica, ingessata e fissamente limitata in un unico significato deciso per sempre, siamo in presenza di una intuizione dinamica, capace di cogliere varie configurazioni di significato che possono cambiare nel tempo, ma sempre in riferimento a valori oggettivi.

Ed è proprio il concetto di «autocomprensione ontologica pre-riflessiva» appena visto – a mettere in luce la centralità dell’«esperire il senso» e del comprendere i vissuti della coscienza (piuttosto che darne una spiegazione logico-razionale). Frankl, infatti, riconosce che “noi siamo fondamentalmente ancorati alla nostra esperienza immediata e molto meno, per non dire affatto, a quanto teoricamente ammettiamo. Per esempio, la gioia che proviamo assistendo a un bel tramonto è per noi molto «più reale» di qualsiasi calcolo astronomico sulla data in cui la terra dovrà annullarsi precipitando sul sole”.

Nessuna teoria (…) è così convincente come la sicurezza che la nostra vita abbia un senso nel momento in cui godiamo l’altissima gioia di un’opera d’arte o proviamo un sentimento di autentico amore.”74 Dunque, forse, l’esigenza di comprendere e definire il costrutto del «senso» si pone “ad un livello qualitativamente diverso rispetto all’atto intenzionale della conoscenza, e indubbiamente si avvicina di più all’atto intenzionale dell’amore come gesto preriflessivo della persona totale, libera e responsabile (…) avviene dunque in modo emozionale”.75 Infatti, come accade per l’amore, la persona avverte un senso (o un sentimento) ma difficilmente riesce a trasporne la complessità e la ricchezza attraverso le parole. Si tratta di una sensazione che scaturisce da un’intuizione: dall’acceso al mondo dei valori e significati oggettivi; dal fatto che il

72 V.E. Frankl, “Argomenti per un ottimismo tragico”, in AA.VV., Ottimismo per vivere ok, Paoline, Milano, 1991, p. 26

73 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 269, nota 5 (i corsivi sono miei)

74 Ibid., pp. 75-76

75 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 290. (Il corsivo è mio)

soggetto abbia visto tralucere (se anche per un istante) un valore autentico, capace di dinamizzarlo nella sua personale ricerca di significati. Avviene, allora, una dinamica propriamente esistenziale: un movimento in una direzione «verticale», che si sostanzia nella trascendenza del soggetto di sé, verso ideali che oltrepassano i significati concreti dell’esistenza; dell’accesso (per quanto inconsapevole, ovvero irriflessivo, ma comunque originario ed autentico) ad un «universale di significato» ad opera della coscienza.

Coscienza

Costituisce, insieme all’amore, l’espressione del carattere autotrascendente dell’esistenza: un fenomeno, dunque, tipicamente umano, fulcro della dignità dell’individuo. Non coincide col Super-Io freudiano: infatti, “fino a quando un uomo è ancora motivato o dal timore di un castigo o dalla speranza di una ricompensa o anche, entro certi limiti, dal desiderio di ammansire il super-io, la coscienza non ha fatto ancora la sua comparsa”.76 Si tratta, piuttosto, di una facoltà intuitiva e creativa: intuitiva perché anticipa ciò che deve ancora essere realizzato (in questo senso, appare irrazionale e solo in un secondo momento razionalizzabile); creativa in quanto può rispondere alle esigenze intuite in modi del tutto nuovi ed originali, che possono talvolta contrastare i significati culturalmente condivisi. Ciò che viene anticipato da questa facoltà tipicamente umana è un significato concreto ed unico, legato al carattere esigenziale di una specifica situazione e, pertanto, all’esistenza di una particolare persona: di talché, “il compito specifico della coscienza sta proprio nello schiudere all’uomo l’unum necessarium. Quest’unum è però sempre un unicum. Si tratta di quell’unica e sola possibilità che una concreta persona ha in una concreta situazione (…) Si tratta, infatti, di qualcosa di assolutamente individuale, che non può in alcun modo essere compreso da una legge generale, da una ‘legge morale’ (nel senso dell’imperativo categorico di Kant), formulata in maniera generale. Piuttosto, tale dover-essere viene prescritto da una ‘legge individuale’ (Georg Simmel)”.77 Ecco perché Frankl la denomina, anche, istinto etico soggettivo, raccomandando che “dobbiamo seguire la nostra coscienza e soprattutto ascoltarla, poiché essa, oserei dire, in ultima analisi è un “organo di senso” (da non confondere con gli organi di senso!), che richiama la nostra attenzione sulla concreta possibilità di significato hic et nunc, qui e ora”.78 In questa prospettiva, dunque, la coscienza si pone come

“voce della trascendenza”: come fenomeno immanente che rimanda al trascendente, ed alla quale l’uomo non può sottrarsi di aderire, pur nella consapevolezza che anch’essa, in quanto fenomeno umano, possa sviarlo dal compito che la vita gli pone. “Non solo: fino all’ultimo momento della sua vita, fino all’istante di esalare l’ultimo respiro, l’uomo non potrà sapere se effettivamente ha realizzato il senso della sua vita, oppure se si è continuamente ingannato:

ignoramus ignorabimus.”79 Sebbene l’uomo, allora, resti nell’incertezza fino all’ultimo dei suoi respiri, egli deve comunque correre il rischio di vivere secondo la sua coscienza.

76 V.E. Frankl, Un significato per l’esistenza, cit., p. 56

77 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, pp. 39-40

78 V.E. Frankl, “Il senso come categoria antropologica” (1996), in Id., La sfida del significato, cit., p. 182

79 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 80

Non la comprensione dell’esistenza come fenomeno intellettuale, dunque, ci avvicina alla realtà del senso, ma solo l’autocomprensione dell’esistenza come attrazione verso un valore.80 In altre parole, l’atto esistenziale del senso è un atto intenzionale d’amore:

scorge, intuisce, anticipa creativamente delle possibilità di significato non ancora esistenti; delle opportunità di cambiare la realtà sullo sfondo delle condizioni dell’esistenza: dei significati originali sotto forma di compiti da realizzare.

Questo rimanda, altresì, alla categoria della preriflessività, che concerne essenzialmente l’esperienza vissuta (erlebnis) precedente ad ogni razionalizzazione, e tale per cui la persona sente (avverte in modo immediato e quasi ‘fisico’81) qualcosa o qualcuno che la entusiasma. L’entusiasmo, dal greco enthūsiasmós, significa “stato di ispirazione”,82 che conduce il soggetto al di là di sé, dimenticandosi, nel mentre sperimenta un’autentica soddisfazione e godimento per ciò che vive. In questo quadro emerge come Frankl concepisca il senso in modo squisitamente emotivo ed affettivo: infatti egli afferma chiaramente che “nella sua ricerca di significato (…) l’uomo è fondamentalmente dipendente da risorse emozionali più che semplicemente intellettuali”,83 da un vissuto emotivo piuttosto che dalle facoltà appartenenti all’ambito logico-razionale. Insomma: il senso emerge da un sentire prima che da un sapere, da un’immediata intuizione emozionale, secondo l’insegnamento di M. Scheler,84 poiché i sentimenti e le emozioni

“sono sempre intenzionali, di quell’intenzionalità che non crea il mondo ma ne svela comunque il senso”.85 Ed in questa prospettiva il sentimento intenzionale, da attribuire all’inconscio spirituale ed alla coscienza, “non è affatto erroneo; infatti può essere molto più perspicace il sentimento di quanto non sia sagace e penetrante la ragione”.86 Attraverso la via dell’emotività e dell’affettività, dunque, si dischiude al soggetto la dimensione del senso e dei valori: il piano squisitamente assiologico, giacché non si

80 Il coglimento del senso, infatti, passa attraverso l’autoconsapevolezza di ciò che si percepisce nell’incontro con la realtà: del proprio vissuto emotivo e di quella sensazione fisica di «urto» che, qualche volta, si fa vivo nelle situazioni di maggior impatto esistenziale (cfr. E. Stein, Il problema dell’empatia, Studium, Roma, 1998 e Id., Sui sentieri della verità, San Paolo, Milano, 1991)

81 Come dice Galimberti, “si sente prima nella pancia che nella testa” (U. Galimberti, L’ospite inquietante, cit., p. 46)

82 Si legge nel dizionario della lingua italiana: “vistoso e incontenibile predominio di una reazione spirituale favorevole” (G. Devoto, G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, cit. Il corsivo è mio)

83 V.E. Frankl, Senso e valori per l’esistenza, cit., p. 104

84 Frankl si riferisce, in particolare, all’opera che ha contribuito molto alla sua formazione: M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996

85 D. Bruzzone, “Fenomenologia dell’affettività e significato della formazione”, in V. Iori (a cura di), Quando i sentimenti interrogano l’esistenza, cit., p. 112

86 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., p. 45

tratta di meri stati interni, ma di dimensioni nelle quali “si costituiscono i valori, oggettualità di nuova specie, che non giungerebbero a manifestazione se noi fossimo soggetti puramente cognitivi”.87

Siamo nell’ambito – come detto - dell’inconscio spirituale, giacché “il senso di cui parliamo e che cerchiamo non è tuttavia lontano da noi. È in un certo qual modo da sempre già conosciuto. Aveva ragione Blaise Pascal88 quando, riferendosi a Dio, diceva:

“Consolati! Tu non mi cercheresti, se non mi avessi trovato”.89 Il tema è quello della pre-conoscenza e del pre-sentimento del senso, che permette di avvertire immediatamente il significato di una situazione: “la metodologia del discernimento del significato è dunque di tipo intuitivo”.90

Così, in una prospettiva fenomenologico-esistenziale, il senso sembra essere un fenomeno spirituale, originario, intuitivo e fondamentalmente irrazionale che, come enunciato a proposito dell’amore,91 appare difficilmente concettualizzabile. Si tratta, infatti, di nozioni che rientrano nella dimensione della trascendenza: in un’ottica che differisce profondamente da quella biologica e psichica (legate al soddisfacimento omeostatico di carenze volte al piacere, o al desiderio di compensazione sociale). E così come il soggetto, grazie alla costitutiva volontà di significato, non è «spinto», bensì

«sceglie» e «si decide» per qualcosa o qualcuno che dia senso alla sua esistenza, allo stesso modo “nell’amore l’Io non è spinto da un Es. Nell’amore un Io si decide per un Tu”.92 Al di là della pulsionalità, dunque, erompe l’intenzionalità autotrascendente dell’essere umano e, parimenti, il «carattere impositivo» del senso: in effetti, ogni situazione ci pone dinanzi ad una esigenza, ci rivolge una domanda alla quale rispondere intraprendendo una cosa o l’altra: in una parola quando viene da noi

87 V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, Einaudi, Torino 2002, p. 214. Come spiega anche De Monticelli, nel sentire pulsa “il modo di presenza delle qualità di valore delle cose, e delle eventuali esigenze che esse ci pongono (una cosa preziosa va protetta, una persona non va trattata come una cosa, e così via)” (R. De Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003, p. 42)

88 B. Pascal, Pensieri, Fabbri, Milano,1997, p. 166. Come fanno notare i curatori, Bruzzone e Fizzotti, “la frase è carica di motivi agostiniani: “se egli non la conoscesse in un modo qualsiasi non avrebbe il desiderio della felicità” (S. Agostino, Le Confessioni, Fabbri, Milano, 1997, Libro X, p. 290)”, V.E.

Frankl, La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, cit., p. 183 nota 1

89 V.E. Frankl, La sfida del significato, cit., pp. 182-183

90 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., 2001, p. 307

91 L’amore, insieme alla coscienza, costituisce un aspetto originario dell’essenza autotrascendente dell’essere umano. Si tratta, al pari della fede, di un fenomeno intenzionale, giacché “io non posso voler credere, così come non posso voler amare, costringermi cioè ad amare, oppure costringermi a sperare”

(V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., p. 96)

92 Ibid., p. 42

percepita come una provocazione”.93 In tale prospettiva, il senso non solo non può essere attribuito o creato, bensì nemmeno prescritto: è qualcosa di unico e irripetibile, ad personam e ad situationem, che differisce caso per caso e, momento per momento.

Così, “quando nello studio medico qualcuno chiede: «Qual è il senso della mia vita?», gli si deve far notare che sarebbe come aver chiesto al maestro di scacchi Kasparov o Karpov: «Dica un po’, qual è la mossa migliore del mondo?» (…) Non si può rispondere in modo generale”,94 poiché non esiste un senso generale e valido per tutti.

Così, “con il termine «senso» intendiamo, nella logoterapia, anzitutto il senso concreto che una persona è in grado di comprendere (grazie alla sua «volontà di senso») a partire da una situazione concreta”95, cosicché la risposta “corrisponde alla concretezza della persona e delle contingenze con cui deve perfettamente integrarsi per essere esatta e adeguata.”96

3.2.3. Il senso come compito

Da quanto emerso, il senso resta astratto ed inafferrabile finchè non viene concretizzato e contestualizzato – attraverso la «presa-di-posizione» dell’individuo - nella singolarità e soggettività dei significati, i quali scaturiscono dalla scoperta, decisione e realizzazione del senso intuito. Ciò evidenzia come accedere al senso coincida, in ultima analisi, con l’incarnare le esigenze intuite nell’esistere: col tradurre nella concretezza dell’agire quanto la specifica situazione richiede. Non è, dunque, alla pura speculazione teorica, bensì dall’azione concreta e contestualizzata che si esprime il senso: è mediante la decisione e l’agire personale, orientato ad un valore, che l’essere umano può esperire un significativo modo di essere-nel-mondo. Così, se è vero che è nell’interiorità che si svela il senso (e, dunque, la verità) è altrettanto innegabile che il senso è un compito da attualizzare: qualcosa che richiede una «presa in carico» dell’individuo, e non semplicemente un aspetto sul quale riflettere, o da attendere dalla vita.

93 V.E. Frankl, Logoterapia medicina dell’anima, cit., p. 250

94 V.E. Frankl, La sfida del significato, cit., p. 182

95 V.E. Frankl, Logoterapia medicina dell’anima, cit., p. 234

96 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 149