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La tensione verso i valori

II. L’esigenza di un senso nell’esistenza

2.1. La tensione verso i valori

L’ambiguità semantica che crediamo connoti il costrutto «esigenza di senso»coinvolge entrambi gli aspetti di quella espressione: quello attinente al primo lemma – il termine

«esigenza» - (che rimanda ai concetti di bisogno/motivazione), e quello riguardante la nozione di «senso» – connessa, anticipiamo fin da ora, non solo col trovare un

«perché» nell’esistenza (attraverso la capacità di riflettere consapevolmente sull’esperienza vissuta) ma anche, e forse soprattutto, con l’intuire un «per-che o un per-chi»vivere, nell’ottica della progettualità esistenziale.4

In cosa si sostanzia questa esigenza di senso?5 Cosa può significare, per un adolescente, avvertire la necessità di dare un significato alla propria vita?

Emergono, a tal proposito, alcuni nuclei euristici, attraverso i quali può essere sinteticamente declinata l’esigenza di:

Dare un «dare un ordine valoriale» alla propria esistenza

Intuire ciò che ha importanza da ciò che non lo ha; avvertire quanto si inserisce coerentemente nel personale progetto di vita;individuare un orientamento in ciò che si fa e si vive;percepire la propria esistenza in un quadro unitario, in riferimento ad una precisa prospettiva;

E qui entra in gioco la coscienza e la sua natura essenzialmente intenzionale. Si veda, sul tema delle tonalità emotive e “di un sentire che rende capaci di «vedere» davvero” (D. Bruzzone, “Dare forma alla sensibilità: la via fenomenologica” in V. Iori (a cura di), Il sapere dei sentimenti. Fenomenologia e senso dell’esperienza, Franco Angeli, Milano, 2009, p. 48). Cfr. anche O. F. Bollnow, Le tonalità emotive (a cura di D. Bruzzone), Vita e Pensiero, Milano, 2009

4 Se la prima questione circa la dinamica bisogno-motivazione verrà affrontata fra breve, quella sul senso richiede che venga almeno anticipata l’accezione che diamo a questo termine (per l’approfondimento del quale si rinvia, comunque, al capitolo che segue), secondo l’orientamento della Logoterapia e Analisi Esistenziale di V.E. Frankl: ossia, quella di compito, scopo, significato oggettivo, legato alla concretezza e prospetticità delle singole situazioni esistenziali.

5 Gli studi recenti sull’argomento della ricerca di senso in adolescenza hanno individuato tre fattori nei quali si declinerebbe tale costrutto: il benessere, la progettualità e l’autodeterminazione. Il riferimento è, in particolare, a E. Fizzotti (a cura di), Adolescenti in ricerca, cit. Gli elementi che vengono qui delineati costituiscono un breve quadro riassuntivo degli aspetti che sovente emergono dalla letteratura sull’argomento.

Percepire un «appagamento esistenziale»

Individuare ciò che soddisfa, che alimenta e rigenera, che fa star bene ed entusiasma;

assaporare il gusto per quanto si vive e si esperisce;avvertire di ‘essere in movimento’:

non in una situazione di stasi e/o immobilismo esistenziale;cogliere di essere la persona giusta al posto e momento opportuni;

Sentirsi l’«artefice»delle proprie scelte e condotte di vita

Percepire di essere l’autore ed il regista principale dei propri cambiamenti;avvertire di guidare la propria esistenza verso una direzione;sentirsi in grado di ri-definire aspetti importanti della propria esistenza attraverso nuove categorie e chiavi di lettura, in autonomia rispetto a quelle conferite dai genitori.

2.1.1. Al di là dei bisogni

I suddetti elementi ci portano, primariamente, a definire l’esigenza di significato non come bisogno, bensì quale “principio motivazionale”6: non si tratta, infatti, di assecondare una ‘spinta’, né di riferirsi a qualcosa che induca il soggetto a fare alcunché per tacitare un ‘pungolo’ che preme da tergo, quanto di andare verso una direzione poiché è stato avvertito - più o meno consapevolmente dal soggetto - il desiderio, la voglia, la tensione verso un valore che richiama e mobilità, così, la volontà dell’individuo stesso. Si parla, infatti, di «avvertire, cogliere, percepire, intuire»: tutte azioni che presuppongono, alla base, una scelta - anche se non del tutto riflessa - per un valore; l’apertura e propensione del soggetto ad un orizzonte di significati intimamente percepiti come degni di essere perseguiti. La dinamica sottesa all’esigenza di senso risulta, pertanto, essere di pro-tensione verso qualcosa o qualcuno che costituiscono un valore per la persona: ed è quello che viene espresso da V.E. Frankl col costrutto di volontà di significato, centrale nella nostra analisi sul disagio dei giovani.

6 D. Bruzzone, “Consulenza «filosoficamente» orientata. La logoterapia di Viktor E. Frankl come prototipo”, Ricerca di Senso, vol. 7, n. 3, 2009, p. 343

Volontà di significato

Nella prospettiva della logoterapia ed analisi esistenziale questo principio motivazionale, che viene analizzato in contrapposizione alla volontà di piacere freudiana ed alla volontà di potenza adleriana, risulta essere un’esigenza originaria della coscienza: un richiamo primordiale al mondo dei significato e dei valori, che differenzia l’uomo dagli animali poiché egli, a differenza di questi ultimi, non è mosso solamente da bisogni fisiologici e psicologici, ma dalla ricerca del senso dell’esistenza. La volontà di significato non è, pertanto, “un’esigenza fra tante altre sulla scala gerarchica dell’insaziabilità umana, bensì la caratteristica umana per definizione, quella che per così dire legittima l’uomo come tale”7.

Frankl la definisce, a più riprese, come “la tensione radicale dell’uomo a trovare e realizzare un senso e uno scopo”8; “l’intenzione (primaria) rivolta al significato (…) L’uomo innanzitutto cerca il significato e nient’altro che questo”9; come l’ “interesse primario dell’uomo”10, che non rientra nella sua sfera impulsiva. Infine, ne dà una spiegazione operazionale: “chiamiamo

‘volontà di significato’ semplicemente quella che nell’uomo viene frustrata quando egli cade preda del sentimento di insignificanza e di vuoto”11

Nondimeno, egli specifica come tale tensione verso i valori e significati non debba esser fraintesa in senso volontaristico: si tratta, infatti, di un’esigenza connaturata agli esseri umani, ma che “non dipende da noi: infatti non possiamo far altro che “volere il significato”, e questo perché la volontà di significato è trascendentale, quindi un a priori (nel senso di Kant) o un esistenziale (secondo la prospettiva di Heidegger)”.12 Come si evince da queste brevi annotazioni, il concetto di volontà di significato appare chiaramente connesso con un altro principio fondamentale della teorizzazione frankliana: quello di autotrascendenza “come ‘fatto antropologico primordiale’”13 (al quale si rimanda nei box successivi).

Il bisogno, invece, quale stato di tensione dovuto alla mancanza di qualcosa, e che porta il soggetto alla ri-appropriazione dell’equilibrio perduto, risulta propriamente connesso al «principio dell’omeostasi»,14 giacché “è soggettivamente avvertito come uno stimolo che spinge l’individuo verso una meta in cui si annulla la tensione provocata dal senso

7 E. Lukas, “Giovani e ricerca di senso. Elementi per una lettura logoterapeutica”, in E. Fizzotti e A.

Gismondi (a cura di), Giovani, vuoto esistenziale e ricerca di senso, cit., p. 63

8 V.E. Frankl, La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, Erickson, Trento, 2005, p.

59

9 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 101

10 V.E. Frankl, Un significato per l’esistenza,. Psicoterapia e umanismo, Città Nuova, Roma, 1983, p. 31

11 V.E. Frankl, F. Kreuzer, In principio era il senso. Dalla psicoanalisi alla logoterapia, Queriniana, Brescia, 1995, p. 109

12 V. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 252

13 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 78

14 Si tratta di un “costrutto eminentemente fisiologico il quale vede nel bisogno un principio di attivazione che, tramite la soddisfazione, tende al mantenimento dell’equilibrio” (U. Galimberti, Enciclopedia di psicologia, Garzanti, Milano, 2003, p. 152). Frankl criticò aspramente tale “criterio economico dell’omeostasi (come venne chiamato a partire da B. W. Cannon), mutuato dalle scienze fisiche e da una biologia tutto sommato ancora poco sviluppata” (D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 89)

di insoddisfazione che accompagna lo stimolo stesso”.15 Emerge, dunque, una differenza squisitamente qualitativa tra l’esigenza di senso e gli altri bisogni umani, poiché si tratta di una motivazione afferente ad una dimensione della persona specifica, quale è quella che V.E. Frankl denomina dimensione noetica (o spirituale).

Dimensione noetica (o spirituale)

L’essenza dell’uomo non sta nell’unità psicofisica, bensì in una specifica dimensione: quella spirituale (o noetica: dal greco nous16, spirito), grazie alla quale egli si pone in modo radicalmente diverso dagli altri esseri viventi, potendo agire secondo modalità non strettamente programmate, bensì permeate da una sostanziale libertà. Si tratta, dunque, di una sfera che va al di là del piano bio-psichico, essendo superiore e più ampia, come chiarisce Frankl: “abbiamo a che fare con una dimensione maggiormente comprensiva, nel cui ambito viene anche inserita la dimensione inferiore”17, cosicché “ciò che è dello spirito è irriducibile alla categoria dello psicologico”.18 E. Lukas spiega bene la specificità della dimensione spirituale, dove “le emozioni e le cognizioni si trasformano (…), solo lì si fanno umane. I sentimenti puri nella sfera psichica rappresentano sempre l’eco emotiva di qualcosa di esteriore o interiore, di un influsso dall’esterno come una ricompensa o una punizione ricevuta, oppure un fenomeno interiore, come una pressione istintuale e una sollecitazione pulsionale. A livello spirituale-personale i sentimenti puri diventano un’oscillazione emozionale anticipatoria di qualcosa, una ricerca e una nostalgia di significato nel mondo, un amoroso tendere la mano oltre noi stessi, un immaginare e intuire l’ethos che si manifesta. E i puri atti di pensiero, d’altro canto, che nella sfera psichica si svolgono sempre uniti all’intelligenza innata, alla ragione addestrata e al sapere appreso, e che seguono e leggi della logica, diventano a livello spirituale-personale un riconoscere e un comprendere addirittura alogico o ancora meglio “prelogico”; questo è radicato in una sorta di saggezza, di intuizione o di ispirazione, dunque in una sorta di visione anticipatoria delle cose e delle loro connessioni”.19

Affermare questo non significa, tuttavia, degradare il corpo e la psiche, bensì evidenziare l’essenziale autonomia, e la capacità di dominare la fatticità psico-fisica, di questa dimensione, che Frankl definisce fenomenologicamente come personalità ed ontologicamente come esistenzialità. Su di essa si impernia, pertanto, la inalienabile dignità della persona e la sua originaria tensione tra l’essere e il dover-essere, denominata noodinamica (in contrapposizione al principio dell’omeostasi).

15 U. Galimberti, Enciclopedia di psicologia, cit., p. 151 (i corsivi sono miei)

16 “Il nous non sarebbe altro che il nucleo più interno dell’uomo, il suo sé; quello che per Cartesio è il sum, per San Tommaso l’anima, per gli esistenzialisti l’io nella relazione io-tu” (E. Fizzotti, “Fondamenti antropologici della ricerca di senso”, in Id. (a cura di), Adolescenti in ricerca. Itinerari di sviluppo tra dubbi e certezze, LAS, Roma, 2007, pag. 26)

17 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 58

18 Ibid., p. 46

19 E. Lukas, Prevenire le crisi. Un contributo della logoterapia, Cittadella Editrice, Assisi, 1991, pp. 208-209

In tale prospettiva l’uomo, nel tendere verso i significati ed i valori che possono soddisfare la sua volontà di significato, trascende se stesso: va al di là dei propri bisogni e desideri, in vista di obiettivi capaci di conferire senso alla sua esistenza concreta.

Rivolgendosi a qualcosa o qualcuno che si pone al di fuori di sé, egli si dimentica, si dona completamente e gratuitamente ad una causa da servire o ad una persona da amare:

insomma, ad un valore da realizzare. La ricerca di senso, dunque, si esplica non attraverso un atteggiamento autocentrato (ed autoreferenzialmente chiuso nelle maglie di riflessi fisiologici o reazioni psicologiche) quanto assecondando la naturale autotrascendenza.

Autotrascendenza

V.E. Frankl ha offerto una nuova griglia di lettura del mondo interiore dell’uomo, attraverso l’introduzione della categoria dell’autotrascendenza. Con questa espressione egli intende un fondamentale dato antropologico: il fatto che “l’essere umano rimanda sempre a qualcosa che è al di fuori di sé e non a se stesso – qualcosa o qualcuno, un significato da realizzare o una persona da incontrare”.20 Si tratta del dinamismo costitutivo dell’essere umano:

dell’orientamento spontaneo ed originario – che comunque permane a livello facoltativo - verso un mondo di significati e valori oggettivi. Ciò delinea il naturale carattere di apertura della persona, giacché “per essenza l’uomo è aperto, è “aperto al mondo”21 ed “è propriamente tale solo quando si apre ad una cosa, quando si dona ad una persona. Diviene se stesso solo quando si dimentica. Come è bello un bambino che, senza accorgersene, viene fotografato mentre si abbandona totalmente al gioco”.22

Di converso, quando l’uomo non si proietta oltre se stesso, ne risente la sua sanità: e Frankl esemplifica tale turbamento patologico attraverso un’efficace metafora: “un paradosso, per chiarire meglio. L’occhio ha la radicale capacità di percepire il mondo al di fuori di sé: se invece percepisce se stesso o qualcosa al suo interno, ad esempio uno sfarfallio, vuol dire che è disturbato. Anche la nostra capacità visiva è autotrascendente”23. Tuttavia, è bene chiarire che parlare di trascendenza dell’uomo non rimanda ad alcunché di mistico o soprannaturale, bensì a

“quel mondo di oggetti e contenuti, significati concreti e valori universali, verso i quali è normalmente orientata l’apertura spirituale dell’essere umano”24: in ultima analisi, è il tema della libertà-per, della libertà interiore o spirituale della persona ad emergere.

Nondimeno, il dinamismo profondo della volontà di significato non è riconducibile ad una pulsione inconscia dell’Es, vale a dire all’«esser-spinto»de-responsabilizzante di un

20 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 187

21 Ibid., p. 57. Frankl si richiama, qui, a M. Scheler, A. Gehlen e A. Portmann.

22 V.E. Frankl, Teoria e terapia delle nevrosi, Morcelliana, Brescia, 2001, p. 201

23 V.E. Frankl, “Determinismo e Umanesimo”, Ricerca di senso, cit., vol. 7, n° 3, 2009, pp. 287-298

24 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 265

inconscio istintuale ed impulsivo, quanto ad una tensione costituiva ed irriflessa dell’Io verso il mondo dei significati e dei valori oggettivi: ossia, all’andamento dell’inconscio che Frankl chiama spirituale.25

Tale “tensione tra ciò che è (Sein) e ciò che dovrebbe essere (Sein-sollen) (…) non può essere eliminata (…) perché è inerente all’esistenza umana. Non è concepibile una condizione umana nella quale l’uomo viene esonerato dalla tensione tra ciò che ha fatto e ciò che avrebbe dovuto, o deve ancora, fare”.26 Si tratta, in ultima istanza, di una dinamica inconscia, non riflessa poiché “la realizzazione di atti spirituali, e quindi l’essenza della persona come centro spirituale di atti, è una pura «realtà di realizzazione»; la persona si risolve nella realizzazione dei suoi atti spirituali”27: nella tensione al dover-essere, ad opera della volontà di significato, “in maniera tale che essa nel suo vero essere non è affatto suscettibile di riflessione, non potrebbe quindi divenire atto di riflessione. In questo senso, l’esistenza spirituale, l’Io vero e proprio- per così dire l’Io «in sé» – non è suscettibile di riflessione e conseguentemente è realizzabile solo in quanto «esistente», nelle sue realizzazioni, in quanto realtà di realizzazione”28. La dinamica irriflessa e costitutiva della tensione al senso, dunque, non rimane compressa nelle maglie della fatticità psicofisica ( e dei suoi meccanismi di condizionamento e riflessività), bensì si radica in una dimensione inconscia diversa da quella pulsionale (poiché “l’esistenza umana non mira affatto costantemente all’equilibrio e all’abreazione”29), e si esprime nella protensione verso il dover-essere:

in una libertà che non è solo da qualcosa, ma anche per qualcosa o qualcuno. Èquesto movimento dialettico che Frankl denomina, come visto, noodinamica,30 e che si radica sull’originaria intenzionalità degli atti spirituali, afferenti all’inconscio noetico.

25 Cfr. V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit.

26 V.E. Frankl, La sfida del significato, cit., p. 53

27 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., pp. 32-33

28 Ibid., p. 33

29 E. Lukas, Dare un senso alla sofferenza. Logoterapia e dolore umano, Cittadella Editrice, Assisi, 1983, p. 88

30 “Con questo termine voglio proprio indicare il campo polare di tensione che si apre tra l’uomo da una parte ed il significato che attende di essere da lui realizzato nell’altra” (V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit, pp. 26-27)

Inconscio spirituale (o noetico)

Non esiste solo l’inconscio impulsivo: Frankl, infatti, integra la lettura riduttiva operata da Freud dell’inconscio (come serbatoio di istinti repressi) con l’idea che esistano anche contenuti inconsci spirituali, afferenti alla profondità inconscia dell’Io: così “mentre nella psicoanalisi è l’impulsività ad essere portata alla coscienza, nell’analisi esistenziale si diviene consapevoli di una realtà del tutto diversa: la spiritualità (…) L’analisi esistenziale non porta alla coscienza l’impulsività, ma il proprio Io; non affiora alla coscienza l’Es impersonale e impulsivo, ma è piuttosto l’Io che viene alla coscienza di se stesso”31 L’inconscio spirituale rappresenta la dimensione profonda, pre-logica e non riflessa della persona. In questa prospettiva il principio di consapevolezza viene relativizzato: l’essere-conscio, infatti, non costituisce più un criterio discriminante l’essere umano quanto, invece, il confine tra lo spirituale e l’impulsivo. Ciò traspare chiaramente dalle parole dello stesso Frankl: “per il fatto che (…) l’essere umano rappresenta propriamente un essere spirituale, è evidente che nella differenza tra conscio e inconscio troviamo un criterio non soltanto relativo, ma in genere per nulla specifico a riguardo dell’essere umano (…). Un criterio di specificità possiamo averlo piuttosto solo se decidiamo che qualcosa nell’uomo appartiene alla sua spiritualità oppure alla sua impulsività. In tal caso è del tutto irrilevante il fatto che sia conscio o inconscio. (…) Nella prospettiva propria dell’analisi esistenziale l’essere umano è un essere-responsabile, e quindi un essere esistenziale.

L’uomo, quindi, può benissimo essere ‘specificatamente’ se stesso, anche laddove è inconscio.

D’altra parte lo è solamente là dove non è spinto, ma è responsabile”32. Così, esiste anche una responsabilità inconscia, connessa ad una decisionalità irriflessa, ma non per questo meno autentica, dell’Io: decisionalità e responsabilità che costituiscono il fondamento della persona non in quanto impulsività, ma spiritualità, radicata in una “inconscia profondità nella quale avvengono le grandi, esistenziali, autentiche decisioni”33, sede di un vissuto emozionale profondo, e di una sapienza prelogica legata, nondimeno, ad una religiosità e moralità inconsce.

2.1.2. Oltre le dimensioni bio-psico-sociali

Così, se il concetto di bisogno rimanda ad “una prospettiva reattiva, per indicare un vuoto o una lacuna che si vuole colmare a tutti i costi altrimenti si sta male, si soffre, si prova un senso di inutilità e di smarrimento interiore”,34 la nozione di «motivazione al senso» pone l’accento “sui progetti trascendenti da realizzare, piuttosto che sulle sollecitazioni pulsionali da soddisfare”.35

31 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., p. 24.

32 Ibid., p. 27-28

33 Ibid., p. 72

34 E. Fizzotti., “Rispondere agli appelli della vita”, in Id. (a cura di), Adolescenti in ricerca, cit. p. 204

35 Ibidem

Richiamandoci, allora, a questa dinamica trascendente, risulta opportuno posare particolare attenzione sull’“anelito primordiale (…) verso il significato”36: sulla motivazione dell’adolescente “a una vita ricca di senso”.37

Spesso, infatti, nella considerazione dei giovani - e dell’uomo in generale – si pecca di

“immanentismo psicologico”38: si assume uno sguardo tecnico che seziona, frammenta e separa, perdendo di vista la totalità39 della persona e la possibilità di ancorare la sua salute mentale - e il suo sviluppo integrale – anche al soddisfacimento dell’esigenza di dare un signiifcato alla propria esistenza, nella tensione ad un “universo davvero

«oggettivo»di significati e di valori”.40

Nell’intento, dunque, di andare oltre le categorie interpretative consuete (centrate su aspetti attinenti, per lo più, alle dimensioni fisico-mentale-relazionale41) ed in un’ottica integrativa delle stesse, evidenziamo la natura anche esistenziale dei compiti evolutivi che l’adolescente incontra sul proprio cammino evolutivo: compiti riguardanti una dimensione della personalità che trascende il mero dinamismo bio-psico-sociale e le dinamiche ivi sottese.

La proposta, che qui avanziamo, di integrare il paradigma bio-psico-sociale con la dimensione noetica poggia sulla scelta di una specifica teoria antropologica elaborata da V.E. Frankl, denominata «ontologia dimensionale», la quale costituisce, pertanto, il fondamento antropologico del presente lavoro pedagogico sul disagio giovanile.

36 E. Lukas, Prevenire le crisi, cit., p. 211

37 Ibid., p. 214

38 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 98. L’opportunità di guardare all’adolescenza anche dal punto di vista esistenziale, considerando l’esigenza di dare un senso alla vita come dinamica cruciale nel processo di maturazione dell’adolescente, ripercorre l’intento frankliano di scongiurare un possibile riduzionismo del soggetto adolescente. Pericolo di riduzionismo che, tra l’altro, attiene alle scienze psicologiche e psicoterapeutiche (quando, nella terapia, non includono la dimensione spirituale);

riguarda il modo di intendere ed interpretare le molteplici forme del disagio (adolescenziale e non), nonché le modalità educative che si mettono in atto. Frankl ha sviluppato il suo approccio proprio muovendo dalla critica a tale riduzionismo (ibid. p. 71)

39 Risulta pertanto essenziale, per superare visioni parziali e riduttive, una “visione della persona come unità corporeo-psichico-spirituale” (V.E. Frankl, Le radici della logoterapia. Scritti giovanili 1923-1942, LAS, Roma, 2000, p. 141. Il corsivo è mio)

40 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit. p. 98

41 Nel lavoro di R. Gnocchi notiamo una apertura alla dimensione esistenziale, soprattutto in una nota a margine della seguente citazione: “le situazioni, gli avvenimenti e tutto quanto tocca la vita d’ognuno possono incidere più o meno superficialmente su diversi piani; secondo la teoria bio-psico-sociale, non ci sarebbe un solo piano interessato dall’evento, ma una costante osmosi fra le tre dimensioni” (R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto. Dialogo interdisciplinare e accompagnamento educativo, Unicopli, Milano, 2008, p. 133). L’autore infatti annota: “estendendo questo concetto, si dovrebbero contemplare ulteriori dimensioni come quella spirituale e quella educativa (ibidem, nota 20)

Ontologia dimensionale

L’analisi esistenziale di V. Frankl ha elaborato ed esplicitato una chiara concezione dell’uomo, a partire riferimento alle teorie antropologiche sottese alla psicoanalisi di S. Freud ed alla psicologia individuale di A. Adler: “entrambe le dottrine cadono nell’errore connesso alla limitatezza del loro rispettivo punto di vista: considerare l’una soltanto l’Io-coscienza, l’altra soltanto l’Io-responsabilità. Ma se guardiamo senza preconcetti l’essere umano, concluderemo che su entrambi i principi, e no solo su questo o quello, si fonda la nostra esistenza. Volendo esprimere ciò con una formula antropologica, si potrebbe dire che essere uomo significa in pari tempo essere cosciente ed essere responsabile”42. Egli integra, pertanto, i due principi, ma non solo. Richiamandosi, infatti, all’ontologia di N. Hartmann ed all’antropologia di M. Scheler, Frankl afferma convintamene la tridimensionalità dell’essere umano, data dall’integrazione fra sfera somatica, psichica e spirituale (cfr dimensione noetica), poiché “solo quando lo consideriamo nella tridimensionalità di corpo, anima e spirito l’homo humanus ci appare nella sua pienezza”.43

E per esprimere la natura dell’integrazione fra queste tre dimensioni, Frankl ricorrere a due leggi (esemplificate dal ricorso a figure geometriche): “la prima legge è così formulata: un solo e identico fenomeno, proiettato al di fuori delle sue dimensioni in altre dimensioni inferiori alle sue, dà origine a figure diverse in netto contrasto fra loro”44. La seconda legge afferma che

“diversi fenomeni proiettati al di fuori della propria dimensione (non in dimensioni diverse, ma) in una stessa dimensione inferiore alla propria, danno origine a figure che (non sono in contrasto tra loro, ma) appaiono ambigue”45. Così, con l’introduzione della dimensione spirituale fenomeni propriamente umani (che apparentemente e riduttivisticamente, dal solo punto di vista biologico o psicologico, sembrano essere ambigui) assumono, invece un loro significato.

Tuttavia, Frankl non si stanca di ripetere che definire la molteplicità dell’uomo non deve far perdere di vista la sua sostanziale unità, definendo così il principio dell’unitas multiplex: “si può definire l’uomo come molteplicità nell’unità. Nonostante ogni unità e ogni totalità dell’essenza dell’uomo, esiste una molteplicità di dimensioni in cui l’uomo si espande e nelle quali la psicoterapia deve penetrare (…) L’uomo condivide con l’animale la dimensione biologica e quella psicologica. Anche se il suo “essere animale” viene superato dimensionalmente dal suo

“essere uomo”, tuttavia non cessa di essere un animale”46. Ed egli, come spesso fa, ricorre ad una metafora esemplificativa: “anche a un aereo resta sempre la possibilità di circolare come un’automobile nell’aeroporto, in un luogo piano. Tuttavia, esso adempirà la sua reale funzione allorché s’innalzerà nell’aria, in uno spazio tridimensionale”47. Dunque, se è vero che non soltanto nella dimensione noetica si dispiega l’umanità dell’uomo (poiché l’integrazione fra le sfere fisico-psichico-spirituale costituisce la premessa del suo realizzarsi), è altrettanto vero che l’uomo può esprimere appieno la sua specificità ontologica solo nella sfera che propriamente lo distingue dagli animali e dalla fatticità psico-fisica: la sfera noetica. Così, “risulta che l’unità la troviamo unicamente in una dimensione che si situa al di là dei piani di intersezione biologico e psicologico, in una dimensione cioè prettamente umana, nell’ambito dell’umano, a livello di fenomeni specificatamente umani. Là troviamo l’unitas multiplex, secondo la definizione che l’Aquinate dà dell’uomo. Non si tratta allora di un’unità nella molteplicità, ma piuttosto di un’unità nonostante la molteplicità”48. In tale prospettiva, ciò che vale per l’unità è applicabile anche al carattere di apertura dell’uomo, potendo parlare così di una apertura nonostante la

42 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 33

43 V.E. Frankl, Teoria e terapia delle neurosi, cit., p. 231

44 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 55

45 Ibidem

46 Ibid., p. 23

47 Ibidem

48 V. E. Frankl, “Determinismo e Umanesimo”, in Ricerca di senso, vol. 7, n° 3, 2009, pp. 296-297

chiusura. In certe circostanze, infatti, l’uomo “si presenta come un sistema chiuso, in cui agiscono solamente cause ed effetti, sotto la forma di riflessi condizionati e incondizionati, di conditioning processes, di reazioni a stimoli. Ma noi sappiamo anche che l’essere-uomo è caratterizzato dall’apertura verso il mondo”49 (cfr autotrascendenza).

La prospettiva integrativa dell’ontologia dimensionale risulta essenziale non appena consideriamo il rischio, presente anche in certa lettura sull’adolescenza, “di un materialismo bio-fisiologico di stampo positivistico”50 che, misconoscendo di fatto le risorse ed esigenze attinenti anche alla dimensione dello spirito umano, riduce la complessità del fenomeno adolescenziale ai cambiamenti fisiologici e biologici, intendendoli quali cause - più o meno dirette - meccanicisticamente determinanti le manifestazioni comportamentali e, in generale, il modo di essere-nel-mondo dei giovani.

Pertanto, consideriamo come l’adolescente risulti sì condizionato dai suoi impulsi (in linea con quanto messo in rilievo, in particolare, dalla psicoanalisi), nonché da fattori cognitivi, emotivi, relazionali: ma anche dall’esigenza di trovare un senso nell’esistenza, al di là dei rischi connessi al biologismo e allo psicologismo. Emerge, così, la figura di un giovane impegnato - più o meno consapevolmente, più o meno attivamente – ad affrontare anche problematiche ed interrogativi squisitamente esistenziali, che attengono - per l’appunto - alla dimensione noetica della sua personalità.

Questo intendimento integrativo dovrebbe guidare anche le riflessioni in merito alle motivazioni sottostanti il comportamento dei giovani, se si afferma che al principio del dovere come necessità (müssen) e a quello del volere come perseguimento di un fine (wollen) messi in luce, rispettivamente, dalla psicanalisi e dalla psicologia individuale quali dinamismi fondanti l’agire umano (e, ancor spesso assunti, perlopiù implicitamente, quali criteri per interpretare o spiegare le condotte umane) occorre aggiungere – e non sostituire – quello della ricerca di senso (sollen): ossia il principio motivazionale del dovere come “aspirazione originaria, assolutamente autentica, verso il

49 Ibid., p. 297

50 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit. p. 71