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Presupposti teorici

Nel documento UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO (pagine 179-188)

Il disagio giovanile:

V. Approcci teorici e di intervento

5.3. Presupposti teorici

I nodi critici appena evidenziati coinvolgono trasversalmente ed interdisciplinarmente sia sul versante del riduzionismo che su quello del determinismo, le varie prospettive epistemologiche considerate, anche se in forme più o meno accentuate. Nondimeno, tali criticità attraversano anche le molteplici correnti teoriche, alcune delle quali abbiamo già nominato: il comportamentismo, il cognitivismo, la corrente psicoanalitica, l’approccio sistemico125, quello umanistico-esistenziale126 ed anche il paradigma bio-psico-sociale127 (pur nel riconoscimento dell’ottica sistemica/complessiva con cui

123 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 98

124 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 135

125 In ambito educativo tale orientamento (così come si può rilevare in alcuni contributi quali: D.H. Ford, R.M. Lerner, Teoria dei sistemi evolutivi, Cortina, Milano, 1995; A.J. Sameroff, Sviluppo e psicopatologia, in A.J. Sameroff, R.N. Emde (a cura di), I disturbi delle relazioni nella prima infanzia, Bollati Boringhieri, Torino, 1991; R.C. Pianta, La relazione bambino-insegnante. Aspetti evolutivi e clinici, Cortina, Milano, 2001) ci fornisce uno strumento interpretativo fondamentale per meglio comprendere il problema dello star male a scuola. Per una chiara argomentazione si rimanda R. Sala, “Il disagio scolastico nella relazione alunno-insegnante: la prospettiva psicologica”, in P. Triani (a cura di), Leggere il disagio scolastico, cit., pp. 95-98)

126 Basato sulla teorizzazione di autori quali A. Maslow, C. Rogers e T. Gordon, tale approccio “ha contribuito sensibilmente alla diffusione di una cultura scolastica centrata sulla promozione del benessere della persona nella sua globalità è, quindi, sulla necessità di favorire, accanto al più tradizionale sviluppo delle funzioni intellettive, anche la realizzazione delle componenti affettivo-relazionali” (ibid., p. 99)

127 Il riferimento è al modello medico di salute (cfr G.L. Engel, The need for a new medical model: a challenge for biomedicine, in Science 1977 n. 196) elaborato sulla base della teoria generale dei sistemi.

Così, il modello bio-psico-sociale, approccio organico alle dimensioni della persona, “fornisce ai

guarda alla realtà). L’attenzione, dunque, si concentra ora sull’evidenziare i presupposti concernenti sia i dinamismi sottesi al comportamento dell’uomo, che i suoi processi motivazionali: assunzioni non immuni, dal nostro punto di vista, dai rischi del riduzionismo e determinismo.

5.3.1. I dinamismi sottesi al comportamento

Proviamo a sintetizzare la varietà di concezioni circa i dinamismi sottesi al comportamento umano in tre declinazioni generali:

- dinamica stimolo/risposta: in questa prospettiva il comportamento umano, al pari di quello animale, è dettato da impulsi ed è spinto da stimoli: l’uomo, dunque, risponde a qualcosa che lo incita, ossia reagisce per il soddisfacimento di bisogni di natura endogena e/o esogena. Su questa linea troviamo teorie che assumono come principio esplicativo basilare quello dell’associazione stimolo-risposta, a cominciare dal condizionamento classico di Pavlov. In tale prospettiva, il cambiamento coincide con la modificazione adattiva del comportamento in risposta a stimoli ambientali, che innescano un processo tendenzialmente prevedibile e controllabile entro le leggi che regolano l’apprendimento.

Alla luce di questo dinamismo, il comportamento dell’essere umano scaturisce da una spinta da tergo: l’uomo fa alcunché perché “spinto” da bisogni o necessità, che egli deve colmare per ripristinare uno stato di equilibrio.

- dinamica azione/rinforzo (positivo o negativo): l’individuo compie un’azione o esplicita un comportamento di sua iniziativa (non perché reagisce ad uno stimolo):

agisce in vista del raggiungimento di uno scopo. Tuttavia, egli mantiene il suo sforzo e persevera nel suo intento se quella azione iniziale viene rinforzata positivamente: se raggiunge un piacere o un qualche successo. In caso contrario, invece, qualora all’azione conseguisse qualcosa di negativo, allora il soggetto non avrebbe più motivo per reiterarla: non ne vedrebbe più l’utilità e la funzione. Si tratta, dunque, di un

professionisti della salute un’occasione per comprendere la relazione fra i diversi elementi andando oltre la ricerca di una relazione causa-effetto fra il singolo aspetto e la manifestazione patologica” (R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, cit., pp. 124-125)

dinamismo che sottostà alle logiche utilitaristiche e funzionalistiche, dove la motivazione di un’azione è sospesa a rinforzi positivi, ed è sostenuta dal raggiungimento di obiettivi legati al principio di piacere o alla volontà di potenza. I questa prospettiva si pongono il rinforzo operante di Skinner (dove il legame associativo non è di natura puramente meccanica, ma si compone con l’operazione che l’organismo compie sull’ambiente in vista di uno scopo) e la legge dell’effetto di Thorndike (che asserisce come gli esseri viventi selezionino e mantengano quei comportamenti che procurano soddisfazione, eliminando invece quelli che comportano conseguenze sgradevoli), nonché la teoria di Bandura e Eysenck128 (secondo il quale, per correggere comportamenti che comportano disagio all’individuo, occorre intervenire sul legame associativo che connette la condotta indesiderata a esperienze negative che ne favoriscono il decondizionamento e la desensibilizzazione).

- dinamica azione/ideazione: l’uomo agisce non sulla spinta reattiva a stimoli, ed il suo comportamento non è nemmeno determinato dai rinforzi che riceve, bensì la sua condotta è originata dai concetti che egli elabora nell’interpretazione e comprensione della realtà: dalle sue valutazioni ed aspettative129, nonché dal rapporto che egli intesse col reale. In questa prospettiva la sua azione non è volta a soddisfare o calmierare qualche bisogno, e nemmeno al raggiungimento del piacere/successo (e all’evitamento del dispiacere e dell’insuccesso), bensì al controllo del reale, al fine di poterlo sempre meglio decodificare, dominare e prevedere in vista dello sviluppo delle personali potenzialità e, in sostanza, del proprio benessere. Questa concezione del dinamismo umano attraversa varie concezioni teoriche, a cominciare dal cognitivismo, originatosi in reazione al comportamentismo, rifiuta decisamente la relazione stimolo-risposta, per sostituirla con l’ipotesi che l’organismo, lungi dall’essere un passivo recettore, funziona in modo attivo e selettivo nei confronti delle stimolazioni ambientali, seguendo un

128 Emblematica risulta questa affermazione di Eysench: “da tempo si ritiene che il pensiero precede e controlla l’azione. La terapia comportamentale lascia intendere che spesso può essere vero il contrario, che la modificazione del comportamento di una persona attraverso il processo di condizionamento può realmente modificare il suo pensiero o il suo quadro cognitivo” (H.J. Eysench, “Nuove vie della psicoterapia”, in Psicologia contemporanea, 10, 1975)

129 Rimandiamo al concetto di locus of control, rientrante nella teoria dell’apprendimento sociale della personalità di Rotter, secondo la quale il comportamento delle persone è influenzato dalle credenze elaborate circa il controllo sugli eventi della propria esistenza. A questo proposito di rimanda a J.B.

Rotter, “Generalized expectancies for internal versus external control of reinforcement”, Psychological Monographs, General and Applied, 80, 1, n. 609 (numero monografico) e Id., The Development and Application of Social Learning Theory, Praeger, New York, 1982.

preciso progetto. Ma su questa linea possiamo comprendere anche alcuni autori appartenenti alla tradizione psicodinamica (come Rogers e Fromm) i quali considerano l’uomo capace di mobilitare il suo senso di responsabilità personale e il suo impegno all’azione, al di là dei fattori costituzionali. Anche il modello psicosociale sottolinea la consapevolezza e l’intenzionalità sottesi al comportamento umano: in particolare, la psicologia della forma studia il cambiamento in relazione alle mutazioni di credenze e di atteggiamenti.130 È con Jaspers, Binswanger, Jung, tuttavia, che si fa strada la chiara convinzione che sia impossibile trattare la psiche alla stregua dei fenomeni naturali per la semplice ragione che, a differenza di questi, la psiche esprime un’intenzionalità e realizza un senso che è irriducibile alle leggi meccanicistiche della causa e dell’effetto.

In tale prospettiva, allora, risulta centrale il concetto di intenzionalità sotteso all’agire umano, poiché è nella relazione della coscienza con il reale (nell’ “andare verso” della coscienza alle cose del mondo-della-vita) che risiede il momento originario e, dunque, sorgivo di quelle cognizioni ed aspettative di cui si parlava prima. Su questa linea si pone anche la pedagogia fenomenologica, nella centralità da essa conferita ai processi interpretativi del soggetto nel rapporto col reale e nell’insorgenza del disagio.

5.3.2. I principi motivazionali della persona

A tali dinamiche comportamentali possiamo aggiungere i principi motivazionali che, a nostro avviso, sono loro strettamente connessi, e che a dir il vero sono già emersi in filigrana. Ora li enunciamo esplicitamente:

- la compensazione dei bisogni : l’uomo agisce per colmare dei bisogni, per compensare delle carenze e dei vuoti che potrebbe anche trascinarsi dall’infanzia, e al fine di raggiungere (o ripristinare) uno stato di equilibrato adattamento al suo ambiente. Questo della privazione da compensare è un principio che accomuna, come sottofondo, le interpretazioni biologica (che identifica la motivazione con il bisogno fisiologico che attiva uno stato di eccitamento nell’organismo in vista della sua estinzione); pulsionale

130 Cfr la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger, intesa come stato di contraddizioone che spinge a cambiare il proprio comportamento e/o opinioni (cfr. L. Festinger, Teoria della dissonanza cognitiva, Franco Angeli, Milano, 1994)

(dove, nell’accezione psicoanalitica, la motivazione del comportamento è da cercare nell’ambito dell’inconscio; sociologica (che pone l’accento sul bisogno dell’individuo di sentirsi in sintonia con il gruppo). Ma in tale paradigma motivazionale possiamo veder anche incluse: la teoria funzionalista (che vede l’adattamento come principio esplicativo della genesi e del senso di tutte le attività psichiche); la teoria comportamentista (in seno alla quale la motivazione è interpretata in base alla sequenza

“bisogno-pulsione-incentivo”, che consente di cogliere in ogni motivazione dell’adulto null’altro che un derivato, attraverso il processo di apprendimento, di un limitato numero di motivi presenti nell’infanzia); la psicologia individuale di Adler (che vede il motivo universale e primario della condotta umana nella compensazione del sentimento di inferiorità determinato da deficienze morfologiche, funzionali o da vissuti psichici di insufficienza);

- il raggiungimento di uno scopo: l’uomo agisce in vista di uno scopo immanente, che può essere connesso al piacere o al successo. La teoria cognitivista, in questo senso, chiama motivazione ciò che attiva un comportamento in vista di uno scopo, il cui raggiungimento implica un piano per la sua realizzazione ed un livello di aspirazione, che non deve essere troppo basso (perché altrimenti non c’è una partecipazione dell’Io) né troppo alto da rendere probabile l’insuccesso con conseguente frustrazione. Si tratta, dunque, di una interpretazione intellettualistica, per la quale la motivazione è la tendenza determinante della personalità cosciente, che si può intendere come libera volontà, e studiare con il metodo dell’introspezione provocata. Il modello cognitivista, pertanto, non intende la motivazione come riduzione della tensione secondo il modello della compensazione dei bisogni poiché, come scrive Piaget, “ogni condotta consiste non soltanto nel ristabilire l’equilibrio, ma anche nel tendere verso un equilibrio più stabile di quello dello stato anteriore a questa perturbazione”.131 Sempre nell’ambito dell’orientamento cognitivista Bruner, in polemica con il behaviorismo, ha contestato l’idea che la relazione stimolo-risposta possa rendere conto della complessità dei processi cognitivi nell’uomo. Il comportamento intelligente infatti si esplica in una

131 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Einaudi, Torino, 1967 p. 15. Le perturbazioni possono concernere la dissonanza cognitiva (teorizzata, come già detto, da Festinger) in individui le cui credenze, nozioni, opinioni contrastano fra loro o con le tendenze del comportamento, con conseguente attivazione di strategie per giungere ad una consonanza

sequenza di risposte (strategie) aventi lo scopo adattivo di controllare l’ambiente e che, a differenza dei gestaltisti, egli ritiene non aventi una fissità innata, bensì una forma scaturente dal processo adattivo.

- l’autorealizzazione: la motivazione primaria del comportamento dell’uomo è intra-orientata, in quanto consiste nel voler realizzare se stesso, per attualizzare le personali potenzialità. Il presupposto è che l’essere umano, a differenza dell’animale, “si propone” di fare qualcosa senza esserne semplicemente costretto o sollecitato, o invogliato dalla finalità di conquistare uno scopo al di fuori di sé. A questo livello l’interpretazione rientra sostanzialmente in un quadro umanistico-esistenziale, dove si fa una netta distinzione tra bisogni e motivazioni, le quali sono viste come relativamente indipendente dallo stato organico e dalla condizione di bisogno. Così, Allport elabora la teoria dell’ “autonomia funzionale dei motivi”: lo stato normale dell’individuo non è la passività, ma l’attività, che è automotivante e funzionalmente indipendente dagli antecedenti fisiologici e pulsionali; Maslow e Murray distinguono tra motivazioni dipendenti e indipendenti da uno stato di bisogno o di carenza da soddisfare; Goldstein (nella sua teoria organismica o olistica) afferma la necessità di postulare un unico impulso: quello verso l’autorealizzazione. Anche Jung asserisce come alla base dell’atteggiamento motivante ci sia il desiderio di autorealizzazione, che si traduce nel processo di individuazione in chi ha già raggiunto un buon livello di adattamento, e in un processo di adattamento alla realtà in chi non l’ha ancora raggiunto.

5.3.3. Necessità di un approccio multidimensionale

Circa quei principi motivazionali potremmo dire, utilizzando le parole di Galimberti, che il “ventaglio interpretativo può essere unificato dai concetti di omeostasi e di equilibrio, in riferimento ai quali la motivazione, che è alla base del comportamento di un organismo, può essere letta come tendente allo stabilimento o ristabilimento di un equilibrio (processo omeostatico), o come rivolta alla continua rottura degli equilibri preesistenti (processo antiomeostatico)”.132 Proprio quest’ultimo concetto appare

132 U. Galimberti, Enciclopedia di psicologia, cit., p. 667. Il corsivo è mio.

avvicinarsi e fungere da ‘elemento traghettatore’ verso la prospettiva motivazionale teorizzata dall’analisi esistenziale di Frankl (alla quale noi ci riferiamo), che denuncia come “le teorie attuali sulla motivazione vedono l’uomo come un uomo che o reagisce a degli stimoli,o ubbidisce ai propri impulsi. Queste teorie non prendono in considerazione il fatto che, in realtà, invece di reagire od ubbidire, l’uomo risponde, risponde, cioè, alle domande che la vita gli pone e per questa via realizza i significati che la vita gli offre”.133 In questa prospettiva, parlare di tendenza antiomeostatica permette di trascendere i livelli pulsionali della motivazione tendenti all’equilibrio, per approdare ai “processi superiori di intenzionalità, deliberazione, scelta e decisione, in cui il divenire ed il comportamento individuale vengono definitivamente legati ad un orizzonte di senso e ad un sistema di significati e di valori gerarchicamente ordinati”.134 Parlando di tendenza anti-omeostatica è, in particolare, al pensiero di Nuttin135 che ci riferiamo: alla sua “teoria relazionale dei bisogni” che pone in luce come esistano motivazioni che non rispondono, come quelle fisiologiche, a una riduzione del bisogno, ma mettono piuttosto in evidenza una tendenza alla rottura dell’equilibrio. Si tratta di una posizione fortemente critica nei confronti delle “teorie motivazionali che evidenziano quasi esclusivamente l’aspetto intraorganico del bisogno e considerano la personalità come un ‘sistema chiuso’ (…) Secondo Nuttin i comportamenti umani sono perlopiù, ad ogni livello, segnati dalla qualità intenzionale, presentandosi come compiti o progetti, piuttosto che come espressione di istinti e soddisfazione di pulsioni (…) Contro l’esasperazione dell’aspetto intrapsichico ed organico del bisogno, egli include oltre alla dimensione psicofisiologica e a quella psicosociale della vita personale, anche la dimensione spirituale, la cui apertura all’altro e al significato non è meno essenziale né meno primaria dei bisogni organici. Ne risulta una teoria relazionale della motivazione, non più reattiva ma proattiva e intenzionale, in cui la forza non proviene esclusivamente né prevalentemente da tergo, bensì dall’universo degli “oggetti-meta”, non quindi dal regno dei bisogni ma da quello dei fini e degli ideali, dei “compiti aperti”

che permangono anche oltre la riduzione della tensione o l’eventuale cessazione degli stimoli”.136 Si tratta, dunque, di una concezione motivazionale asserente che l’iniziativa

133 V.E. Frankl, Un significato per l’esistenza, cit., p. 31

134 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 241

135 J. Nuttin, Teoria della motivazione umana: dal bisogno alla progettazione, Armando, Roma, 1983

136 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., pp. 241-242

dell’essere umano a compiere alcunché trova il proprio momento autenticamente sorgivo non solo in uno scopo immanente ed intrinseco da raggiungere: in qualcosa da conquistare in vista del piacere o del successo, e scaturente da processi razionali di comprensione e previsione del reale, ma anche da relazioni emotive ed intuitive verso le dimensioni trascendenti quel reale, che si possono dinamizzare al di là e ‘nonostante’ i bisogni insoddisfatti e le carenze irrisolte. Alla luce di queste considerazioni appare il limite intrinseco al principio motivazionale dell’auto-attualizzazione, poiché

“l’ideologia umanistica dell’autorealizzazione è una conseguenza del fisicismo e dello psicologismo che inquina ancora il concetto di salute psichica e i modelli teorici della personalità”.137 Nondimeno, emerge anche la contrappostone di Frankl a certi modelli

“pseudo-educativi (purtroppo tanto diffusi), di tipo omeostatico e – direi anche –

“anestetico”, che invece di “appellarsi” all’idealità delle giovani generazioni,

“catalizzare” il loro innato desiderio di senso ed orientarlo verso compiti e modelli significativi, si accontentano di gratificare una serie di bisogni (inclusi quelli inautentici, magari indotti dalla malattia del consumo e dalle altre malattie del nostro tempo)”.138 È ormai chiaro, alfine, che quando parliamo di disagio giovanile, ci riferiamo ad un evento complesso e variegato, soprattutto “dal punto di vista dei fattori che ne favoriscono la comparsa e viceversa ne agevolano il superamento. La complessità e l’articolazione del fenomeno rendono quindi necessaria l’adozione di un approccio multidimensionale (…) e multidisciplinare, capace di evidenziarne i risvolti a livello sociale, interpersonale e intrapsichico”.139 Si invoca, quindi, uno sguardo e modalità di intervento non settoriali, che alla frammentazione delle iniziative sappiano sostituire, in un’ottica sistemica, azioni continuative ed integrate fra loro, realizzate in modo non sporadico ed estemporaneo. Proposte, dunque, che assumano la veste di «dispositivi educativi abituali», capaci di permeare l’attività formativa nella sua quotidianità, e nel superamento della logica dell’emergenza.140 In tale prospettiva, pertanto, “alla complessità della situazione è opportuno rispondere in modo non riduttivo, ma

137 Ibid., p. 258

138 D. Bruzzone, “Attivare la forza di resistenza dello spirito. Esplicitare l’implicito pedagogico della logoterapia”, Attualità in Logoterapia, 4/2002, n. 3, p. 17

139 D. Mesa, “Disagio scolastico e ambienti sociali: le risorse e i vincoli”, in P. Triani (a cura di), Leggere il disagio scolastico, cit., p. 76

140 È quanto emerge, anche, da una recente sui bisogni formativi espressi dagli insegnanti, che delineano la necessità di un modello di formazione integrato (cfr. R. Viganò, Scuola e disagio: oltre l’emergenza.

Indagine nella scuola lombarda, Vita e Pensiero, Milano, 2005)

integrato”,141 coinvolgendo le molteplici dimensioni del soggetto, nell’orientamento non solamente al benessere psicologico, bensì propriamente esistenziale.

Si tratta, dunque, di pensare ad un approccio che, nel tentativo di superare i rischi menzionati, intenda “rispondere a un bisogno di rivalutazione delle dimensioni spirituali proprie dell’umano trascurate in precedenza da impostazioni ancora troppo inficiate dalla miopia del determinismo”.142

141 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, cit., p. 127

142 D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione, cit., p. 71

Nel documento UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO (pagine 179-188)