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Disagio e adolescenza: un connubio probabile?

Nel documento UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO (pagine 126-136)

Il disagio giovanile:

IV. Il disagio giovanile

4.2. Disagio e adolescenza: un connubio probabile?

molteplici mutamenti che, soprattutto in tal periodo, sopraggiungono) il termine disagio può denotare l’atto stesso del cercare: o meglio, lo connota emotivamente, quale vissuto esistenziale o tonalità emotiva prevalente e, nel contempo, dalle molteplici sfumature. Si tratta, crediamo, di quello che Frankl denomina sentimento intenzionale, suscitato nella relazione della coscienza col mondo-della-vita – ossia, da quel movimento intenzionale di intuizione dei significati espressione dell’inconscio spirituale - il quale sentimento svela il senso del reale, differenziandosi sostanzialmente dagli stati sentimentali. Questi ultimi, infatti, hanno “ben poco da fare con l’essere umano propriamente detto, spirituale ed esistenziale, così come capita per qualsiasi altro stato istintivo”.47 Così, nella situazione di disagio, il senso disvelato dal sentimento intenzionale coincide, propriamente, col cambiamento: col cammino da una condizione di «agio» ad una situazione «altra» (che non possiamo pre-definire né in senso migliorativo, né peggiorativo).

Dunque, procedendo nella nostra riflessione, e nell’intento di superare l’idea che esista un connubio certo e deterministicamente inteso tra adolescenza e disagio (da intendersi unicamente come malessere e, pertanto, già segnato dalla negatività), crediamo che il vissuto di disagio che permea il processo di cambiamento individuale possa assumere tonalità, intensità e valenze del tutto differenti, a seconda delle sue singolari, uniche ed irripetibili modalità di essere-presenza-nel-mondo: di abitare quei cambiamenti. Il termine stesso di disagio, allora, può designare quell’ampia gamma di vissuti, sentimenti ed esperienze emotive (Erlebnisse) che si sperimentano nel mentre si attua il personale percorso esistenziale di ricerca, di attraversamento e scoperta di nuovi equilibri ed originali modi-di-essere nel mondo.48

Il riferimento, allora, non è a qualcosa di statico bensì, e paradossalmente, ad uno stato-in-divenire49: alla dinamica migratoria tra una certa situazione, tutto sommato, di agio (concernente la definizione identitaria, le dinamiche relazionali, l’inserimento nel proprio contesto socio-culturale: in una parola, una modalità di essere-presenza-nel-mondo) ad un’altra condizione: una ri-definizione identitaria, relazionale, comunitaria.

47 V.E. Frankl, Dio nell’inconscio, cit., pp. 44-45

48 Concordiamo, pertanto, nel dire che certamente il disagio “non è occasionale, un «incidente», ma una dimensione imprescindibile per comprendere il processo di crescita di ogni alunno” (C. Girelli, “In classe:

prevenire e convivere con il disagio promuovendo il benessere”, in P. Triani (a cura di), Leggere il disagio scolastico, cit., p. 120)

49 Concetto centrale in G.W. Allport, Divenire. Fondamenti di una psicologia della personalità, Giunti-Barbèera, Firenze, 1963

Tale migrazione comporta, quali elementi intrinsecamente connotanti il suo dinamismo, la fatica dell’adattamento50 continuo, della duttilità sottesa all’assunzione di nuove figure o fisionomie esistenziali, della maturazione di linguaggi e consapevolezze diverse: di sguardi nuovi, capaci di cogliere (magari nelle stesse cose del mondo-della-vita) sfumature e significati inediti. Questa concezione di disagio (che porta con sé l’idea del movimento, del cambiamento e dell’innovazione) veicola l’apertura al possibile: all’assunzione dinamica e flessibile, ancorché mai definitiva e/o scolpita per sempre, di originali combinazioni esistenziali. Si tratta, essenzialmente, di un vissuto

«in»movimento e «di»movimento che, lungi dal poter essere congelato o ipostatizzato in rigide definizioni, permea invece un atteggiamento: un modo-di-essere-in-movimento. In tal senso la crisi, la situazione di attraversamento che connota l’adolescente – costitutivamente alla ricerca di un nuovo-modo-di-essere-presenza – va vista, anche, come “opportunità dello specifico «poter essere uomo»”.51

Naturalmente non si tratta di un’avventura esistenziale semplice, e le sofferenze spesso manifestate dai giovani ne sono la più autentica testimonianza. Tuttavia, tale situazione scomoda, dolorosa e transitoria risulta essere, in realtà, un periodo fondamentale per la strutturazione della personalità, nel quale si capitalizzano le risorse per il futuro e si investe sulla propria capacità di stare nell’incertezza52: di stare sospesi tra essere e poter-essere, di permanere in transizione tra l’essere e il non-ancora, in una miscela emotiva di fatica ed entusiasmo, nella convinzione che proprio la condizione segnata dall’incertezza possa costituire il sub-strato più fertile per coltivare lo “sviluppo di una molteplicità di forme non deterministiche di razionalità”53, creative, flessibili e divergenti. Vale a dire: per maturare modi del tutto personali ed autentici di rispondere agli appelli della vita, nell’espletamento della piena responsabilità del singolo.

50 Tale termine viene inteso, in questo contesto, non tanto in senso omeostatico (giacché veicolerebbe un’idea di stasi e fissità antitetiche a quella di disagio che stiamo argomentando) quanto come disponibilità ad assumere nuovi contorni: ricorda, piuttosto, il concetto di “accomodamento” avanzato da J. Piaget nell’ambito dell’epistemologia genetica, ossia lo sforzo della modificazione di modalità di organizzazione cognitiva della realtà, conseguentemente alle esigenze della realtà stessa (cfr. J. Piaget, La nascita dell’intelligenza nel bambino, NIS, Firenze, 1968).

51 E. Lukas, Prevenire le crisi, cit., p. 55

52 Capacità, come abbiamo visto, particolarmente importante nella nostra società in cui la crisi è diventata una “condizione permanente” (M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, cit., p. 14). In tale situazione paradigmatica risulta essere la metafora della persona che soffre come una barca in mezzo alla tempesta, il cui obiettivo esistenziale, oggi, non può più essere quello di riguadagnare le acque calme e tranquillizzanti del porto, bensì di stabilizzarsi nelle acque agitate della crisi.

53 Ibid., p. 22

Responsabilità

Questo concetto, centrale nel pensiero di Frankl, connota una caratteristica essenziale della persona: quella di essere potenzialmente «abile a rispondere» alle esigenze e significati della vita, che attendono solo lei per essere riconosciuti e realizzati. Infatti, “responsabilità significa sempre: responsabilità di fronte a un significato”54, che ciascuno deve cogliere autonomamente.

In questa prospettiva, la responsabilità viene a configurarsi come un “concetto eticamente formale, che non implica alcuna indicazione di contenuto. È un concetto eticamente neutro, un concetto limite, dal momento che non viene dichiarato di fronte a chi e per che cosa si è responsabili”55: la decisione circa il «per-chi o a per-che cosa» sentirsi responsabili può scaturire solo dalla coscienza del soggetto stesso. Così l’uomo, pur essendone attratto, cerca talvolta di sfuggirvi: di abdicare al suo «essere-responsabile» originario, cadendo nelle maglie del conformismo e del fatalismo. Questo perché la responsabilità “è contemporaneamente qualche cosa di terribile e di meraviglioso. Terribile: il sapere che, in ogni istante, ho la responsabilità del momento futuro, che ogni decisione, sia la piccola che la grande, è una decisione “per tutta l’eternità”, che in ogni istante realizzo una possibilità e non un’altra. Meraviglioso: il sapere che il futuro, il mio proprio futuro e con esso quello delle cose e delle persone che mi circondano, è in un certo senso dipendente, per quanto in misura minima, dalla mia decisione di ogni momento”.56 Ciò implica il richiamo al concetto di libertà, e al fatto che persista sempre, per l’essere umano, l’opportunità incondizionata di prendere posizione nei confronti dei condizionamenti.

In questa prospettiva, allora, il termine disagio non può essere ristretto unicamente al mal-essere: esso indica, infatti, il processo della ricerca di una «nuova forma-di-essere»; del transito del soggetto verso una modalità altra di essere. Il mal-essere è dato, semmai, quale esito possibile (ma di non certo non univoco e determinato), che scaturisce dal grado di consapevolezza del giovane circa la sua responsabilità nella conduzione di questo percorso esistenziale57 e, dunque, dai suoi vissuti emotivi.

Percorrere nuovi territori, andare alla ricerca di un rinnovato agio, di un inedito equilibrio e di un originale modo-di-essere-presenza si sostanzia, così, con l’intraprendere una nuova nascita.58 Di talché, la dinamica della ricerca di un «nuovo agio» si configura come un percorso di trasformazione (trans-formare come «dar

54 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p. 62

55 Ibid., p. 258

56 Ibid., p. 72

57 Ciò rimanda al concetto di libertà, strettamente connesso a quello di responsabilità: centrali, come vedremo, nel nostro discorso sul disagio esistenziale.

58 Questo tema trova le sue radici in uno dei maggiori pensatori sull’educazione: J.J. Rousseau, il quale denominò l’adolescenza una seconda nascita, poiché “è ora che l’uomo nasce veramente alla vita e che nulla di umano gli è estraneo” ( J.J. Rousseau, Emilio e dell’educazione, La Scuola, Brescia, 1993, pp.

129-130)

forma»): il giovane cerca la propria fisionomia, con tutte le difficoltà, ostacoli, indecisioni e frustrazioni che questo comporta. Come detto, non dobbiamo incorrere nel rischio di connotare esclusivamente in negativo la coloritura emotiva della ricerca di un rinnovato agio, finendo così per ridurre univocamente il termine disagio al sentire sofferente. La ricerca, la ri-nascita,59 infatti, è costellata da dolori ma anche da inedite gioie: da entusiasmo, da agitazione e freschezza, da leggerezza e speranza, da appassionata tensione verso sconosciuti orizzonti. Elementi, questi, che connotano il cambiamento e che, d’altro canto, non permeano il suo contrario: la stasi, la mancanza di movimento. Là siamo in presenza di dinamismi arrischianti; qui di situazioni stagnanti.

Parimenti, le note crisi adolescenziali non possono assumere unicamente i toni oscuri che, spesso, vi si associano, giacché l’attraversare nuovi percorsi, nuove direzioni e nuovi sentieri di vita - se può indurre spaesamento e senso di disorientamento - non è affatto scontato che si risolva in vissuti negativi, da rimuovere e combattere. Così, la tonalità della crisi e del cammino intrapreso è sospesa, più che all’evento in sé, al modo in cui viene affrontato e messo in atto: all’atteggiamento interiore assunto, poiché “la crisi non ha quasi nessun riferimento col «fatto» che una cosa si sia verificata, ma piuttosto col «modo»in cui essa si verifica: col modo in cui tale evento viene compreso, superato, sentito e vissuto”.60 In questo senso, la vita pone ogni individuo a confronto, suo malgrado, con situazioni particolarmente segnate dal mutamento, dal transito e dal cammino verso nuove forme di essere-presenza nel mondo: ma “in realtà né il pensionamento, né il disgravio della maternità o il climaterio in sé provocano uno shock: sono tutte tappe naturali della vita, che hanno senz’altro il loro lato positivo”.61 Così, è del tutto comprensibile e, per certi versi, presumibile, che un vissuto di sofferenza, difficoltà e disorientamento possa permeare i soggetti che attraversano la fase adolescenziale: tuttavia, è il modo i cui il giovane vi risponde, la consapevolezza della propria responsabilità con cui vi fa fronte, l’atteggiamento con cui «prende posizione» nei confronti di tali avvenimenti esistenziali a costituire l’elemento

59 Il riferimento al concetto di nuova nascita lo troviamo anche nel termine, etimologicamente strettamente connesso a quello di crisi, crisalide: emblema della trasformazione. Sul tema della ri-nascita si rimanda, anche, a E. Musi, Concepire la nascita: l’esperienza generativa in prospettiva pedagogica, Franco Angeli, Milano, 2007

60 E. Lukas, Prevenire le crisi, cit., p. 53.

61 Ibid., p. 64

differenziante, ed anche a far sì che la crisi evolva, in alcuni casi, in un evento dai contorni patologici.

La nostra attenzione, pertanto, si posa sul percorso di cambiamento e di ricerca messo in atto dal giovane: non tanto sui risultati, nella convinzione che sia proprio dalla qualità del processo intrapreso che discendano gli esiti, e che il viaggio costituisca la cornice nella quale emergono le nuove fila di un rinnovato tracciato esistenziale, o nel quale si trovano inconsueti intrecci.

Adolescenza, dunque, come avventura esistenziale62 più o meno consapevolmente vissuta, dove la percezione soggettiva di ben-essere o mal-essere scaturisce dall’intimo esperire se stessi come protagonisti del proprio viaggio (e non ‘trasportati-traghettati’ da altri); nel cogliersi artefici della propria esistenza e, dunque, pro-gettati verso un obiettivo (piuttosto che nell’avvertire – in modi più o meno confusi e sommersi – la sensazione di vivere il viaggio che qualcun altro ha già predisposto per sé o nel seguire, senza accorgersene, la scia di chi precede).

4.2.2. Il disagio come opportunità esistenziale

Tornando al connubio iniziale tra adolescenza e disagio63 si tratta, allora, di un legame

«scontato»se consideriamo i compiti evolutivi e le difficoltà riscontrate come fonte di malessere per il soggetto: come eventi che lo conducono ‘al di fuori’ dei canoni prestabiliti; che lo fanno deviare dai confini tracciati, nella convinzione che l’adolescente stesso, stante la molteplicità dei cambiamenti che (suo malgrado) si trova ad affrontare, sia indotto a sperimentare nuove situazioni, a mettersi alla prova, a tacitare in qualche modo le proprie inquietudini, a ridefinire l’identità, il ruolo nel gruppo dei pari e nel contesto familiare, nonché l’immagine di Sé.

Ma si tratta di un connubio solo «probabile»se pensiamo come queste crisi possano essere foriere non solo di malessere, ma anche di un autentico potenziale di crescita: una

62 Cfr. A. Augelli, Erranze. Attraversare l’adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2011 (in stampa)

63 Ribadiamo che è ormai “opinione consolidata che l’adolescenza si configuri come un periodo inevitabilmente difficile e ricco di conflitti, non solo relazionali ma anche interiori, dovuti molto spesso ai profondi mutamenti sia biologici che ormonali, che impongono un importante riadattamento psicologico personale e relazionale” (G. Guerrieri, R. Paola, “Ricerca di senso e disagio psicopatologico in adolescenza”, in Adolescenti in ricerca, cit., p. 129)

vicenda portatrice di nuove risorse e nuove modalità di essere-nel-mondo; un momento cruciale per il dispiegamento della propria forma migliore; un tempo fondamentale per il dis-velarsi del proprio modo, unico ed originale, di essere-presenza, a se stessi e agli altri. Dunque, parliamo di disagio come opportunità esistenziale: possibilità necessaria per uscire, abbandonare, superare gli agi rassicuranti dell’infanzia e procedere verso la costruzione di rinnovati equilibri ed inedite forme.

Sappiamo – è ormai noto - che l’avventura esistenziale dell’adolescente può essere costellata da peculiari criticità, incontrate nell’assolvimento dei compiti di sviluppo64 tipici di quest’età, e messe ampiamente in luce nell’ambito della psicologia del ciclo di vita (la prospettiva life-span).65 In tale ottica, “il disagio giovanile si può definire come la manifestazione presso le nuove generazioni della difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi che vengono loro richiesti dal contesto sociale per il conseguimento dell’identità personale e per la acquisizione delle abilità necessarie alla soddisfacente gestione delle relazioni quotidiane”.66

Infatti, se è opportuno riconoscere come l’intero arco vitale sia disseminato da prove che stimolano l’individuo alla ‘messa in moto’ di risorse essenziali (sostanziando, così, le premesse per l’instaurarsi di un sano percorso di crescita) è altrettanto importante considerare come sia proprio nel periodo adolescenziale che si concentrano e complessificano numerosi cambiamenti e compiti esistenziali. Infatti, “anche se nella nostra cultura stiamo rinunciando all’idea di stabilità e di equilibrio ed abbiamo assunto l’idea di mutamento continuo come condizione del vivere, percepiamo la qualità straordinaria di certi cambiamenti che si discostano dal ritmico fluire dell’esperienza per costituirsi come veri e propri salti di livello. Nel gioco dei cambiamenti ordinari e governabili, se pur problematici, si innestano lungo l’arco vitale cambiamenti di straordinaria intensità in cui la persona viene scossa alle fondamenta del suo essere, sperimenta uno smarrimento radicale ed una incapacità non solo a rispondere alle

64 Abbiamo già accennato a tali compiti, e rimandato a R. J. Havighurst, Human development and education, cit. Aggiungiamo che, in Italia, questo paradigma è stato rielaborato da A. Palmonari (Cfr. F.

Montuschi, A. Polmonari, Nuovi adolescenti: dalla conoscenza all’incontro, Centro Editoriale Devoniano, Bologna, 2006, p. 34)

65 Approccio, promosso da P.B. Baltes, H. Reese e L. Lipsitt, sullo sviluppo lungo tutto l’arco della vita, denominato, anche, “teoria degli eventi continui e discontinui” (Cfr. P.B. Baltes, H. Reese, “L’arco della vita come prospettiva in psicologia evolutiva”, Età evolutiva, 23, 1986, 66-96).

66 F. Neresini, C. Ranci, Disagio giovanile e politiche sociali, Nis, Roma, 1992, p. 31

proprie domande, ma anche a formulare quesiti e problemi, ad articolare una parola su di sé”.67

Ed il soggetto adolescente deve, in qualche modo, far fronte a questi eventi critici, che esulano dall’ordinario, chiamando a raccolta le energie e risorse disponibili, poiché “la crisi va attraversata e non può essere elusa. Va vissuta in tutta la sua drammaticità, con la consapevolezza che si tratta di un dramma necessario. In ciò si qualifica come evento normale, prototipo e parametro di ogni crisi che la vita obbliga a incontrare”.68 Tuttavia, se esistono particolari livelli complessità e profondità che rendono specifica ogni situazione individuale, ciò significa che “non si può (…) parlare di compiti uguali per tutti, ma tutti devono affrontarli per poter diventare adulti, secondo modi e tempi propri”.69 Infatti, è la modalità unica ed originale di ogni persona di fronteggiare le - e prendere più o meno posizione nei confronti delle - esigenze che la vita gli pone a rendere unica ogni avventura esistenziale. Da parte del giovane si tratta, dunque, di non rifuggire quei vissuti di incertezza, sofferenza e smarrimento intrinseci agli eventi critici che costellano ogni percorso di crescita poiché, lungi dall’essere sintomi di malattia, costituiscono la necessaria palestra esistenziale affinché si strutturi, nella sua personalità, la capacità di prendere posizione nei confronti delle situazioni. Semmai, è proprio dall’evitare e/o dal tacitare la voce di quei vissuti critici che può sorgere, in presenza di determinate condizioni esistenziali, qualche difficoltà conclamata. Così, incontriamo la patologia dove si innestano particolari resistenze a lasciar fluire il mutamento in atto, ed i sintomi si riducono a “deviazioni dalla crisi stessa”70. Si tratta, allora, di saper attraversare la crisi, di maturare la consapevolezza dei propri turbamenti, nonché la presa di coscienza degli intimi vissuti emotivi; di guardare apertamente le inquietudini, di mettere in discussione i consolidati equilibri, di porsi coraggiosamente interrogativi esistenziali giacché il problema, semmai, sussiste proprio qualora non vengano espressi. E tale inespressività diventa maggiormente preoccupante

67 A. Fabbrini, A. Melucci, L’età dell’oro, cit. pp. 31-32

68 Ibid., p. 34. Questo concetto risulta centrale anche nel testo di M.A. Galanti, Sofferenza psichica e pedagogia, cit., dove si afferma la necessità, in ogni ciclo della vita, di educare il soggetto ad attraversare le paure e i conflitti, e trasformare la sofferenza da elemento distruttivo in risorsa creativa.

69 R.Sala, “Il disagio scolastico nella relazione alunno-insegnante: la prospettiva psicologica”, in P. Triani (a cura di), Leggere il disagio scolastico, cit., p. 84

70 A. Fabbrini, A. Melucci, L’età dell’oro, cit. p. 35

nei giovani, se consideriamo che “la domanda sul senso e sul significato della propria vita (…) diventa sempre più conscia man mano che ci si avvicina all’adolescenza.”71 Di talché, nel richiamo alla ‘teoria focale dell’adolescenza’,72 puntiamo l’attenzione alla valenza creativa e costruttiva del periodo adolescenziale (indubbiamente denso di significative implicazioni per lo sviluppo futuro della personalità); sulle modalità di coping, defending e resilienz differentemente attivate dai giovani in virtù del grado di maturità e consapevolezza raggiunto. In questa prospettiva, allora, “non è tanto la crisi in se stessa ad essere problematica, quanto le risorse messe in campo per fronteggiarla e il loro utilizzo.(…) L’uso, apparentemente semplice, di competenze e risorse comporta un’attenta valutazione del rapporto costi-benefici; nei casi più problematici ciò può indurre a un progressivo adattamento per rinuncia: la persona «sceglie» di «non scegliere»”73.

Spesso questa non-scelta può essere dettata dall’ampliamento della gamma di possibilità74 che si prospettano al giovane il quale, non di rado, si trova nell’incapacità di decidersi per l’una a scapito dell’altra. Così, “un tempo dai troppi possibili si trasforma in una possibilità senza tempo, cioè in un puro fantasma della durata. Esso può diventare un involucro vuoto, una attesa interminabile, trascorsa aspettando Godot”,75 in un percorso esistenziale che può assumere i toni dell’inconcludenza.

Così, quando le possibilità non vengono colte dai ragazzi, quando non c’è l’energia necessaria per affrontare il rischio che la scelta comporta, la risposta più frequente è quella della rinuncia e del ritiro: dell’immobilismo e del fatalismo. Si palesa, dunque, il disagio di chi sperimenta l’incapacità di decifrare le situazioni nelle quali vive, a causa della moltiplicazione dei codici e dei messaggi con cui si trova ad interagire;76 la sofferenza di chi si sente sguarnito di fronte ad ostacoli incerti ed arrischianti, il cui

71 A Pacciolla, “La prevenzione noogena”, in E. Fizzotti (a cura di), “«Chi ha un perché nella vita…», cit., p. 146

72 Teoria avanzata, nell’ambito della life-span, da J. Coleman e L. Hendry, che mette in luce come ciascun individuo debba affrontare, nell’arco della sua vita, problematiche diverse in momenti esistenziali diversi. Si tratta di un percorso prolungato, che consente l’elaborazione di importanti strategie di coping (cfr. J. Coleman, L. Hendry, La natura dell’adolescenza, Il Mulino, Bologna, 1992)

73 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, cit., p. 63

74 Tale aumento di possibilità sembra caratterizzare particolarmente la nostra epoca, dato che

“l’eccedenza non riguarda (infatti) solo le cose, ma la percezione delle possibilità di vita fra cui scegliere”

(P. Jedlowski, Il sapere dell’esperienza, cit., p. 109)

75 A. Fabbrini, A. Melucci, L’età dell’oro, cit., pp. 79

76 F. Neresini, C. Ranci, Disagio giovanile e politiche sociali, cit., p. 31

fronteggiamento implica l’allenamento, anche, alla rinuncia77 inevitabilmente sottesa ad ogni scelta. Una «angoscia paralizzante», allora, può costituire il correlato emotivo di tale condizione esistenziale: angoscia “intimamente connessa con il possibile e ancorata, nella sua origine, alla stessa struttura della condizione umana”,78 all’azione irrevocabile della scelta, che arreca sempre con sé la “nullificazione del possibile implicito nel

«possibile escluso»”.79 Su questa linea appare, dunque, come il disagio adolescenziale risulti particolarmente connesso – come vedremo anche in seguito - al tema della decisionalità, nonché all’urgenza di dover operare delle scelte non procrastinabili,80 poiché se è vero che in nessun momento della sua vita l’uomo può sottrarsi alla costrizione di scegliere tra le varie possibilità che gli si offrono, questo sembra caratterizzare, a maggior ragione, la stagione adolescenziale. Ma non sempre (come sono lì a testimoniarci le molteplici forme del disagio) gli adolescenti hanno maturato gli strumenti necessari – cognitivi, emotivi e valoriali – per poter operare delle scelte significative: spesso, infatti, si verificano situazioni di attendismo e di mancata presa di posizione nei confronti delle opportunità che si profilano. Così, la tendenza al conformismo sembra guidare il giovane negli importanti snodi del suo percorso esistenziale, dove non ci sono criteri personali in grado di orientare le scelte cruciali, e l’atteggiamento imperante risulta acriticamente volto ad “imitare pedestremente gli altri”.81

D’altro canto, operare delle scelte realistiche e sensate (perché rispondenti alle aspirazioni personali ed a un progetto di sé) richiede, al giovane, di appellarsi ad un

77 Il tema della rinuncia, e della incapacità dei giovani di tollerare le inevitabili frustrazioni che ogni parabola esistenziale porta con sé, sembra particolarmente connesso al disagio del giovane di oggi il quale, essendo per lo più “abituato a vedere nel proprio benessere il metro di tutte le cose precipita in un abisso senza fondo quando il suo benessere vacilla. (…) Proprio là dove non si è mai operata una rinuncia pervasa di senso, le esperienze fondamentali a livello esistenziale s’ingigantiscono fino a diventare una vera e propria minaccia nei confronti della vita. Poiché tutto ciò che è facile esige che si continui su un piano facile, per chi «vive alla legge» le cose pesanti e difficili diventeranno gradualmente inconcepibili, fino ad arrivare all’horror vitae” (E. Lukas, “Giovani e ricerca di senso. Elementi per una lettura logoterapeutica”, in E. Fizzotti e A. Gismondi (a cura di), Giovani, vuoto esistenziale e ricerca di senso, cit., p. 54)

78 E. Fizzotti, “Fondamenti antropologici della ricerca di senso”, in Id., Adolescenti in ricerca, cit., p. 14

79 Ibid., p. 15. Così, continua Fizzotti, la radice profonda dell’angoscia “consiste nell’impossibilità di portare all’essere ciò che, necessariamente, per l’atto stesso della scelta è escluso dall’essere e condannato al non-essere. In questo l’uomo si coglie, e si riconosce, immediatamente e inevitabilmente nella possibilità di annientare, di nientificare” (Ibidem)

80 Questo richiama l’importante tema della temporalità (che, nell’ultimo capitolo, verrà argomentato anche in riferimento al concetto di limite), quale categoria esistenziale che ineluttabilmente “investe l’esser dell’uomo quanto al suo originario e costitutivo essere possibile e lo determina nella sua esistenza instabile e precaria (…) ed evidenzia l’orizzonte entro cui si colloca ogni scelta” (ibid., pag. 17)

81 V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., pp. 28

Nel documento UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO (pagine 126-136)