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Giuseppe Acocella 1 *

5.  Conclusioni e prospettive

La carità e, in modo surrettizio, Dio stesso vengono usati dai borghesi capitalisti e individualisti come giustificazione per il proprio egoismo. Si tratta di un peccato contro il secondo comandamento, che proibisce di usare il nome di Dio invano. Invece, coloro che lottano contro la proprietà privata e questa visione sbagliata della carità, attribuiscono a Dio stesso, alla Chiesa cattolica e alle Chiese protestanti la colpa di ingannare i poveri. Alle chiese istituzionali sarebbe mancata la profezia, il coraggio di non prendere le distanze�

Pertanto i promotori di questa lotta rifiutano Dio e promuovono l’ateismo. Solo liberandosi da Dio che opprime i poveri, l’uomo può riscattarsi e progredire. Di conseguenza, l’ateismo diviene una condizione necessaria per favorire lo sviluppo, che è il primo passo per l’emancipazione. Pertanto essi sono rimasti schiavi di un’idea di produzione e di mercato legati all’egoismo.

L’insegnamento della Chiesa, secondo la tradizione che viene dagli apostoli, dalla Scrittura, dai Padri, e dalla pratica di tante comunità cristiane, non ha mai inteso la carità in senso individualistico. Oggi per la chiesa e per il mondo è importantissimo riscoprire la carità e la misericordia, visti anche gli insuccessi dei programmi di sviluppo affidati alla sola giustizia. Essa, da sola, non basta se si coniuga all’egoismo e non ad un quadro di riferimento più profondo costituito dall’amore.

Giovanni Paolo II, che proveniva da un mondo nel quale ufficialmente si proclamava il rifiuto di Dio e il primato della giustizia sociale, constatava che in pratica essa spesso finisce per autonegarsi. A quindici anni dal Concilio - ricordando la Gaudium et Spes -, nella sua enciclica Dives in Misericordia (n�12 e 14), affermava che:

«… non è difficile constatare che nel mondo contemporaneo il senso della giustizia si è risvegliato su vasta scala. (…) Tuttavia, sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi che prendono avvio dall’idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l’esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l’odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell’azione; e ciò contrasta con l’essenza della giustizia. (…). Il Concilio Vaticano II,

parlando ripetutamente della necessità di rendere il mondo più umano, individua la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo appunto nella realizzazione di tale compito. Il mondo degli uomini può diventare sempre più umano solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insieme alla giustizia, quell’“amore misericordioso” che costituisce il messaggio messianico del Vangelo».

Questo richiamo al vangelo dell’amore è stato perpetrato con molta chiarezza dai successori del grande papa santo: Benedetto XVI e Francesco. Basta soltanto scorrere i titoli dei molti documenti da loro licenziati, dalla Caritas in veritate, alla Amoris letitia�

In proposito, volendo farsi eco del cammino intrapreso dalla Chiesa per introdurre la carità nel mondo, si è espresso recentemente il vescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte6:

«La priorità per la nostra cultura dovrà essere dunque anzitutto quella di riconoscere l’“immemorabile evangelio” nascosto sotto la melma o sepolto nelle rocce, onde farne sprigionare l’incendio: non la forza dei potenti e la logica dei violenti salverà il mondo, ma l’irradiarsi evangelico della carità. Sarà la carità a consentirci di valorizzare il bene presente in ogni frammento, senza rinunciare all’orizzonte unificante dell’amore che salva, facendoci riconoscere il Vangelo nei segni dei tempi, nei frammenti della vita e della storia comune, nel servizio alla persona umana e al bene comune. Un tale esercizio della carità richiederà certo uno sforzo esigente, che impegni nella costruzione della convivenza civile donne e uomini nuovi, ricchi di forti motivazioni etiche e pronti a dialogare con tutti, capaci di dare e ricevere il perdono e, se necessario, disposti a sacrificarsi per il bene di tutti. Ne deriverà in primo luogo l’urgenza di formarsi a un’etica della responsabilità, capace di anteporre il primato della rettitudine della coscienza a ogni interesse e profitto, per quanto vantaggiosi. A questa occorrerà affiancare una non meno necessaria etica della solidarietà, che impedisca all’impegno morale di chiudersi nella sfera rassicurante della “retta intenzione” e lo proietti verso la ricerca delle mediazioni storiche necessarie al servizio di tutti� Su questo fronte, credenti e non credenti dovranno camminare insieme, poiché la posta in gioco è l’uomo e la costruzione di una famiglia dei popoli e delle culture a misura della dignità di ogni persona umana. (…) In questa luce, Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in veritate avanza un’idea che sembra 6 Forte B., La carità umile e discreta compagna di vita, https://francescomacri.wordpress.

provocatoria ed è tuttavia suffragata dall’esperienza delle varie forme di “finanza etica” e di “economia di comunione” che vanno sviluppandosi nel mondo: la rilevanza del principio di gratuità in economia (n. 34). Se è vero che non si crescerà se non insieme, il reinvestimento di una parte degli utili al servizio della promozione umana e sociale dei più deboli potrà essere garanzia di benessere per tutti: “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica” (n. 35). Senza la carità l’economia implode, perché resta priva dell’audacia e della tensione al bene comune necessarie a ispirare scelte a fondo perduto, capaci di innescare processi positivi di cambiamento, perfino di rivoluzionaria portata sociale ed economica».7

La ricerca del “bene comune” sembra essere la chiave di lettura propria della carità, che nella creazione e nella distribuzione dei beni supera l’individualismo o la selezione di alcuni privilegiati beneficiari, e muove l’azione libera dell’uomo verso il bene di ogni essere umano e di ogni creatura�

In occasione della beatificazione di Giuseppe Toniolo nel 2011 il prof. Stefano Zamagni si esprimeva in questo modo in una intervista8:

« …. l’economia di mercato esisteva già secoli prima del capitalismo di matrice protestante, ed è nata dalla Chiesa, l’hanno inventata i francescani. Le banche, la partita doppia, la cambiale, pure la divisione del lavoro (…). “Il problema dei francescani era l’imbarazzo della ricchezza: i monasteri sono floridi, ma intorno la gente muore di fame. Come si fa? Occorreva inventare un meccanismo che permettesse di produrre, di creare ricchezza e di farla circolare nei borghi, nelle città: l’economia di mercato». Seguendo un principio: «Il bene comune. La prevalenza del bene sul giusto. (…) Benedetto XVI, che fece il dottorato su San Bonaventura, segue la linea francescana: la sua enciclica economica si intitola Caritas in veritate e quindi afferma il primato della carità. (…) L’idea dell’economia civile è questa: un’economia di mercato che ha come fine il bene comune».

Non è certamente un caso che il successore di papa Benedetto, che è ancora in vita, abbia preso il nome di Francesco, per seguire con decisione la linea di reintrodurre la carità nella Chiesa e nel mondo, per lo sviluppo di tutti, per il 7 Le espressioni sono riprese da una poesia di Mario Luzi, citata nell’intervento di Bruno

Forte (nota degli autori).

8 Corriere della Sera, Da Tovini a Toniolo. Perché gli economisti diventano beati, 17 gennaio

“bene comune”. In questo grande impegno lo strumento fondamentale è la creazione di una nuova mentalità diffusa. Diventa importante l’educazione, specialmente sulla libertà, affinché non sia vista soltanto come il permesso di essere egoisti e di guardare ai propri interessi, obbligando di fatto tutti gli altri con la propria forza; ma come opportunità per cercare il bene di molti, anzi di tutti, cioè di esercitare la carità.

La Chiesa può e deve svolgere un ruolo rilevante in questo processo educativo. Le istituzioni alle quali guardiamo con aspettativa sono le scuole e soprattutto le università. Se queste ultime si riducono a ripetere gli asserti dettati dalle teorie economiche formulate nell’ambito di una razionalità fatta propria dai grandi gruppi imprenditoriali e soprattutto bancari, continuerà a prevalere la mentalità del profitto egoista, del privilegio di alcuni e dello scarto di molti. Se dalle università, soprattutto dagli studenti, emergerà il coraggio di essere liberi e creativi, allora si potrà capire che la libertà non è l’equivalente dell’egoismo, ma la possibilità di inventare una grande quantità di soluzioni nell’ambito dell’economia per poter guardare al pieno sviluppo di tutti gli uomini nel rispetto del creato. Questa è la nostra concreta speranza.

Bibliografia

Corriere della Sera (2011), Da Tovini a Toniolo. Perché gli economisti diventano beati, 17 gennaio, 21�

De Lubac H. (1985), Proudhon e il cristianesimo, Jaka Book, Milano.

Forte B. La carità umile e discreta compagna di vita, https://francescomacri. wordpress.com, 14 gennaio, 2018�

narvaja J. L. (2016), L’eresia intra-ecclesiale, Civiltà Cattolica,. 3992, 22 ottobre, 105-113�