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Giuseppe Acocella 1 *

3.  L’accentuazione del disprezzo della carità

Dal 1800 in poi si osserva un’accentuazione del disprezzo della carità a causa dell’individualismo fatto proprio dalla borghesia, che ha portato ad un rifiuto generalizzato della carità.

3 Cfr� narvaja J. L., (2016), L’eresia intra-ecclesiale, Civiltà Cattolica, 3992, 22 ottobre 2016, 105-113�

Nel periodo dell’affermazione della borghesia liberale in tutta Europa, iniziando dalla Francia, si parte dal principio che la carità è sempre un’espressione della libertà nelle relazioni umane. La propria libertà al primo posto. La carità diventa espressione individuale di questa libertà. Di conseguenza, la carità è interpretata come liberalità, elemosina. Questa visione è stata accentuata soprattutto nella prima metà del 1800 quando si è realizzata la rivoluzione borghese e l’accentuazione della proprietà privata come espressione della libertà.

La carità è stata interpretata da un punto di vista individuale, anche attraverso le libere associazioni che si dedicavano all’elemosina per temperare il sistema di proprietà proprio del capitalismo che provocava eccessi di ingiustizia nei confronti dei poveri. Si creò anche una “mistica” della carità, cioè un sentirsi più genuinamente cristiani proprio perché si dedicava una piccola parte dei propri beni alla carità. Ma ciò avveniva all’interno di un sistema profondamente ingiusto, senza sentire la responsabilità di cambiare il sistema, senza riconoscere il diritto di tutti allo sviluppo umano.

Questa visione individualistica che non tiene conto in modo sufficiente della dignità delle persone, è stata criticata giustamente dai socialisti, dai comunisti e dai rivoluzionari anarchici. Essa non rispecchia la genuina visione cristiana, ben espressa dal magistero di Leone XIII, anche se questo fu troppo cerebrale nella formulazione e troppo lento nell’attuazione per avere risultati concreti apprezzabili dal popolo. Tuttavia quella visione borghese di fatto è nata nelle nazioni cristiane, ed è stata accettata da tanti cristiani, soprattutto protestanti, ma anche dalla maggioranza dei cattolici e da tanta parte del clero. Alla base di questa deformazione c’è il rifiuto da parte dei cristiani della vera carità predicata da Cristo.

La società odierna è ancora profondamente impregnata di questo concetto sbagliato, non evangelico. Uno studio importante su questo punto è stato svolto, nel 1985, da H� de Lubac, un grande teologo del Concilio Vaticano II5

Dalle sue riflessioni possiamo cogliere anche la critica alla carità concepita in modo individualistico e spregevole. La carità individualista copre l’egoismo della proprietà privata mal considerata, cioè esclusivamente per se stessi, senza responsabilità per gli altri.

Da una parte la proprietà privata è vista come unico principio di vero sviluppo e di vera dignità (e anche questa spiegazione dello sviluppo è una 5 Cfr. De Lubac H. (1985), Proudhon e il cristianesimo, Jaka Book, Milano.

riduzione della realtà alla propria esperienza di egoismo). D’altra parte si accetta che la proprietà privata non può essere per tutti, e che quindi soltanto alcuni possono essere liberi e sviluppati. Gli altri uomini (i “cialtroni”, i “pezzenti”, i “disgraziati”) sono al servizio di questa élite� Coloro che non hanno proprietà vendono il proprio lavoro, persino i propri figli, le uniche risorse di cui dispongono, per sussistere. Si crea così un eccesso di ingiustizia, che peraltro è considerata inevitabile da molti cristiani, anzi disposta da Dio stesso. La carità attenua questo eccesso. Essa rimane però un atto libero e completamente volontario da parte di coloro che possiedono la proprietà e possono, quindi, più degli altri.

Accettando l’ordine sociale disposto in questo modo, la carità appare come la virtù che rende la società più umana. Dio da una parte crea un mondo nel quale alcuni sono privilegiati rispetto agli altri; dall’altra ispira la carità, soprattutto grazie alle parole di Gesù, per correggere gli eccessi. Secondo questa visione del mondo, Dio rende il mondo vivibile per tutti. La carità è interpretata come compassione, come redistribuzione di alcuni beni, come elemosina. E tutto questo appare molto bello, perché ai privilegiati viene attribuito anche il grande merito di essere i principali collaboratori di Dio e della Provvidenza divina�

Dio garantisce la proprietà privata. L’uomo che possiede i beni ne dispone perché Dio glieli ha concessi o perché se li è meritati con le sue capacità. Egli opera nel mondo usando la libertà, come fa Dio, come vuole, dando a chi vuole e quando vuole. Ne deriva che non tutti possono fare questo bensì soltanto coloro che sono predestinati da Dio secondo il suo volere. Ma questo è un modo odioso di concepire la predestinazione.

La fede nella Provvidenza è considerata e predicata come sottomissione a Dio sapiente, come accettazione del proprio stato e ruolo nella società. Passivamente, l’uomo aspetta da Dio i beni di cui disporre. Non può sottrarli agli altri o pretenderli da coloro che li posseggono. Anche di fronte alle necessità non si può mai superare il presupposto dell’individualismo e del possesso egoistico. Non resta che la rassegnazione. Questo insegnamento è proprio anche dei rabbini ebrei.

Il beneficio gratuito, che i poveri ricevono grazie alla carità che Dio ispira nelle persone possidenti, accentua in tutti il senso della sottomissione a Dio e della fiducia in Lui che dispone il bene anche per coloro che non hanno niente. Coloro che donano i loro beni ai poveri saranno ricompensati nel mondo futuro per il bene che fanno agli altri figli di Dio. Aspettare la consolazione nella vita eterna che verrà, non in quella terrena, aiuta ad

accettare la mancanza di beni, le sofferenze, le ingiustizie. L’escatologia non è vista come l’esito del cammino in questo mondo attraverso la storia. La carità concepita in questo modo non risolve le differenze fra gli uomini e accentua ulteriormente la distanza fra coloro che hanno i beni e coloro che non li hanno�

Questa concezione antropologica è sbagliata così come la concezione di Dio e della Provvidenza. La carità insegnata in questo modo è odiosa. La critica nei confronti di questa visione individualistica e “mistica”, si è trasformata in ribellione a Dio che vuole la differenza fra gli uomini. La figliolanza di tutti gli uomini nei confronti di Dio Padre e la fratellanza in Cristo non possono essere considerati in questo modo. Un Dio così è insopportabile e, di conseguenza, anche la prassi della carità così concepita è inaccettabile.