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Giuseppe Acocella 1 *

3.   Razionalità economica e lex mercatoria: sfida alla politica

Del resto la convinzione propugnata dalla ragione che l’opinione corrente, in ciascun’epoca storica, non possa rappresentare di per sé un principio etico comunque accoglibile, ha sostenuto lo sforzo incessante con cui la riflessione etica e l’esperienza giuridica hanno motivato l’incessante aspirazione ad una etica sociale capace di individuare criteri di civiltà corrispondenti alla “natura” razionale umana, in nome della ragione non astratta. Se il mercato, secondo quanto ricordava T. Veblen, è un’istituzione sociale da regolamentare - e da proteggere anche da se stessa – occorre chiedersi se la

razionalità economica possa davvero modellare sulle proprie esigenze tutta la vita sociale e lo stesso ordinamento giuridico, o se invece anche le trasformazioni in atto nel meccanismo economico - e soprattutto in quello finanziario, come è stato messo in primo piano dalle crisi devastanti in atto - debbano restare soggette al controllo sociale e politico attraverso le regole pubbliche, che comportano anche un ineliminabile giudizio etico. Amartya Sen ha colto il punto centrale di questa nuova relazione tra diritto regolatore ed attività economica, giacché la seconda, scrive, diventa legislatrice della vita associata e degli Stati quando <<attraverso le figure dei consulenti e degli esperti, il sapere giuridico, che ha preso ad abitare stabilmente nei palazzi del potere economico, non si limita ad elaborare quell’insieme di technycalities e nuove modalità di scambio note come la già ricordata lex mercatoria, ma fa di più: cattura pezzi del sistema di legittimazione che è proprio del diritto, incorporandoli nel sistema produttivo>> 3

Il problema sta dunque nel chiedersi se le regole di diritto debbano rispecchiare l’esercizio della forza (economica) comunque prodotta, o piuttosto disciplinare le relazioni e le energie che vengono messe in campo nel “gioco” economico, facendosi guidare da una etica della responsabilità che privilegi le comunità e la tutela dei diritti personali rispetto alla libertà di manovra di gruppi finanziari impegnati nella creazione, talvolta illusoria, del profitto. In generale, la legge ha il significato ed il ruolo di consolidamento di una relazione razionale tra persone, cose e azioni, sottratta all’arbitrio del più forte, e restituita ad una regolazione che innanzitutto tuteli il più debole. In questa circostanza veramente appare fondata l’ammonizione a verificare la valenza etica della ricerca del profitto ad ogni costo, anche a spese della dignità umana, indifferente ai fini della giustizia sociale. La crisi ha portato in primo piano la domanda: può sopravvivere l’economia di mercato senza etica?

La domanda è antica, spesso accompagnata da risposte ricche di buone intenzioni. Oggi la domanda può favorire una risposta realistica e documentata, che coinvolge l’intero circuito economico, riportando in campo tutte le questioni sulla sovranità e sulla funzione che l’economia ed il contratto assumono nella dinamica giuridica� Soccorre una affermazione di Paul Ricoeur: <<Il contratto si rivela come il luogo delle controversie, dei conflitti fra diritti, o peggio della frode e dei delitti. È qui che il diritto si difende attraverso l’esercizio della costrizione: è sotto il segno della 3 Sen A� (2002), On Ethics and Economics, Basil Blackwell Oxford, 1987, (trad. it. Etica ed

dialettica del crimine e del castigo che il diritto rivela i suoi limiti>> 4

Il nuovo capitolo della tocquevilliana Democrazia in America è esemplare sotto tanti aspetti: si è detto che l’eccesso di debito negli Stati Uniti è all’origine dei disastri che hanno innescato in tutto il mondo la grande crisi dell’inizio di questo secolo XXI. Si osserva a questo proposito che, se il debito americano è superiore al PIL ed è più alto di quello registrato nella Grande Depressione, esso è stato l’esito non dell’azione di élites, ma dell’aspirazione di larghe masse a partecipare dei frutti materiali della democrazia, e dunque - se “passo più lungo” di quanto le masse potessero permettersi è stato fatto, indifferenti alle conseguenze poi lamentate - esso ha coinvolto gran parte delle popolazioni, trattandosi di un debito che ha finanziato essenzialmente i consumi, e questa è materia propria dei governi e della politica. Poiché gli effetti e le conseguenze personali non sono stati i medesimi per banchieri e manager, c’è da chiedersi però se, appunto, di fronte alla sproporzione di consapevolezza e di responsabilità che caratterizza le democrazie di massa, non ci sia - oltre ad una responsabilità imposta dalle norme giuridiche di amministratori di denaro e di gestori di fondi finanziari la cui credibilità era fondata su razionalissimi “algoritmi” - una responsabilità morale, oltre che politica, degli amministratori pubblici.

La discussione si è così spostata sulla diffusione di atteggiamenti che, specie in certi ambiti culturali e sociali, comportano soprattutto una sottovalutazione degli atteggiamenti relazionali – guidati dalla ragione comune - rispetto a quelli individualitico-utilitaristici. Ciò comporta una crisi di autorità (intesa nel senso capograssiano di realizzazione della libertà che si autocircoscrive), la quale viene sostituita dalla legittimazione della “opinione dei più numerosi” o dalla convinzione che acquistino validità i comportamenti più diffusi per il solo fatto che lo siano, elidendo ogni considerazione valoriale (e dunque universalistica), e optando per un politeismo dei valori in grado di legittimare una produzione individuale o di gruppo degli ordinamenti giuridici, in grado pertanto di legittimare una fonte non sociale della pretesa giuridica.

Presupporre così l’ordine razionale del mondo non esclude né il male né la libertà umana, quanto piuttosto prevede il criterio morale che consente il giudizio sulle azioni (e quindi anche la confrontabilità tra culture diverse, che consente e richiede la responsabilità della valutazione di esse in termini 4 Ricoeur P�, Il Giusto, la giustizia e i suoi fallimenti, (trad. di E. Bonan e S. Zanardo, dattiloscritto),

etici). Così l’uomo costruisce vichianamente l’umano mondo della storia, che non ha né sentieri obbligati né fini prefissati, ma che, tra cadute e conferme, rivela l’ordine del mondo. La libertà, infatti, comporta che la volontà debba scegliere tra ciò che realizza l’arbitrio del singolo o della singola cultura e ciò che corrisponde ad un criterio relazionale ed universalistico capace di considerare la condizione umana, cioè tra il caos singolaristico e l’ordine universalistico. In questo dover scegliere è riconoscibile l’eticità dell’atto, descritta nella kantiana legge del dovere che indirizza le pulsioni individuali all’universale.

Qualunque carattere deliberativo della politica, nei regimi democratici, non può trascurare di argomentare intorno al bene - anche quando dichiari di doversi limitare ad un percorso puramente procedurale che conduca ad una decisione condivisa quale che sia - giacché l’eguaglianza, che sta a fondamento della democrazia, va intesa come eguaglianza dei partecipanti, e non può quella delle ragioni (quali che siano) che i partecipanti stessi portano nella discussione. Questa distinzione è spesso misconosciuta, generando il grande equivoco che accompagna il dibattito sui valori e sulle scelte razionali in politica.

Come ha detto Benedetto XVI nella mancata lectio all’Università “La Sapienza”, riferendosi al pensiero di John Rawls, la ragionevolezza si definisce attraverso un processo storico che deriva da una tradizione responsabile e motivata, un modello razionale man mano enucleatosi dalla vita stessa, dalle motivazioni, senza subordinazioni ad alcun modello ideologico o astrattamente razionalistico pregiudizialmente assunto. Sono note le premesse del ragionamento di Rawls e la sua attenzione al pensiero morale kantiano, e il tentativo di conciliazione tra libertà individuale e giustizia sociale ricorrendo alla tesi secondo la quale la distribuzione dei beni primari in misura eguale a tutti è compatibile con l’eccezione che si possa accettare una distribuzione ineguale, quando questa giovi a tutti.

Bibliografia

Acocella G� (2003), Etica sociale, Guida, Napoli.

Acocella G� (2007), Etica, economia, lavoro. Riflessioni sulla democrazia  economica, Edizioni Lavoro, Roma, (prima ristampa 2008).

Acocella G� (2014), Etica, diritto, democrazia. La grande trasformazione, Il Mulino, Bologna�

Sen A� (2002), On Ethics and Economics, Basil Blackwell Oxford, 1987, (trad. it. Etica ed economia, Laterza, Bari)�

Ricoeur P�, Il Giusto, la giustizia e i suoi fallimenti, (trad� di E� Bonan e S� Zanardo, dattiloscritto), Comunicazione filosofica, Rivista telematica di ricerca e di didattica filosofica della SFI.

Professore di diritto ecclesiastico e canonico, Università Telematica Giustino Fortunato di Benevento

Le interrelazioni tra religione ed economia sono state nel corso della storia costanti e fitte in quanto è comune il sentire che la persona umana, credente o non credente nel trascendente, esprime la necessità di rapportarsi con la concretezza e storicità del vivere quotidiano. Tutte le religioni hanno una concezione del come vivere e, con differenze più o meno accentuate, la problematica economica dell’esistenza si trova espressa in tutti i testi sacri1. Il rapporto tra le varie esperienze religiose oscilla tra

la conflittualità e la tolleranza, lo scambio reciproco o la collaborazione per il bene comune dei cittadini/fedeli. Alla base di ogni rapporto economico sta però nella concezione religiosa un principio fondamentale: la “fiducia” nell’altro e nel sistema che permette la relazione economica ma, nello stesso tempo, le religioni mostrano come sia facile finire su un terreno scosceso quando la morale e l’etica vengono escluse dall’economia2� Se un autentico

sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione la riflessione su etica ed economia deve tendere innanzitutto, per la riflessione religiosa, a rimettere l’uomo al centro del sistema di misurazione del progresso della società per trovare un nuovo paradigma sociale ed economico3. Questa riflessione ed il conseguente

contributo che le religioni possono portare è tanto più importante ed urgente quanto più ci si accorge che la definizione di bene comune rimane ancora oggi in gran parte non attuata nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell’influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche4. Le religioni possono ancora contribuire

alla riflessione etica in ambito economico stimolando a vedere l’uomo come soggetto morale e responsabile delle sue azioni e non come un individuo ridotto a mezzo per lo sviluppo. Se l’economia ha bisogno dell’etica per il suo

1 Cfr� Giorda M�, Palmisano S�, Turri M�G� (2014), Religione ed economie. Idee ed esperienze, Mimesis, Milano; per un approfondimento cfr. il n. 9/2015 della rivista Confronti interamente dedicata al tema Religioni ed economia�

2 Cfr� Sen A� (2002), Etica ed economia, Laterza, Bari-Roma�

3 Cfr� Bruni L� (2006), Il prezzo della gratuità, IdeEconomia, Città Nuova, Firenze.

4 Cfr. Bruni L., Zamagni S. (2004), L’economia  civile.  Efficienza,  equità,  felicità  pubblica, Il Mulino, Bologna�

corretto funzionamento, non può essere un’etica qualsiasi, bensì di un’etica “amica della persona”5 capace di riconoscere che il principio di gratuità e la

cura devono avere spazio nella sfera pubblica. Ed in ciò il contributo della riflessione religiosa resta centrale perché ogni problematica economica non deve farci dimenticare che alla sua origine vi è anche una profonda questione antropologica e, pertanto, che è soprattutto su questo piano che bisogna ristabilire un giusto ordine gerarchico, pena l’alternativa rappresentata da «un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano»6. Ma c’è

dell’altro, in ragione del fatto che la relazione etica/economia/religioni attiene alla concretezza dell’esperienza umana. Gli universi religiosi guardati nella loro dimensione antropologica non si limitano a segnalare e prescrivere modalità rituali e forme di preghiera ma sono colmi di proiezioni etiche volte a fornire ai soggetti coordinate per la loro azione. In altre parole, la religione non può essere relegata, come spesso si è pensato, al solo “foro interno”. Anche in ambito economico essa dispiega una serie di implicazioni, fornendo agli individui coordinate per l’azione nelle loro scelte quotidiane7� Lo

stesso comportamento religioso può essere interpretato da un punto di vista economico, applicando la teoria microeconomica alle scelte di singoli e gruppi e le stesse organizzazioni religiose possono essere studiate come attori economici a tutto tondo, simili cioè ad altre operanti nelle economie di mercato ma contrassegnate dal fine di tendenza8. Una recente ricerca ha

infatti evidenziato la matrice economica di ebraismo, cristianesimo ed islam, ponendo all’attenzione degli studiosi come l’economia ci offra anche una «singolare chiave di volta per interpretare, sotto una diversa luce, la storia religiosa degli ultimi quattromila anni»9. La religione diviene quindi un

motore per l’economia, ma anche un importante fattore di condizionamento dei mercati. Ma i maggiori benefici si realizzano in un ambiente giuridico contrassegnato dalla libertà religiosa e dal pluralismo che diviene il contesto più adatto, e da favorire, per una competizione economica che metta le stesse organizzazioni religiose nelle condizioni di favorire la crescita di ricchezza complessiva. La religione, quindi, cementa la solidarietà sociale 5 Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n� 45�

6 Francesco, Evangelii Gaudium, n� 55�

7 Cfr� Bruni L� (2006), Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Mondadori, Milano.

8 Cfr. Fuccillo A. (2008), Dare etico. Agire non lucrativo, liberalità non donative e interessi religiosi, Giappichelli, Torino, in Fuccillo A. et al.. (2011), I mercanti nel tempio: economia, diritto e

religione, Giappichelli, Torino.

9 Simonnot P� (2010), Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo ed islam, Fazi, Roma.

ed il linguaggio antropologico e condiziona i comportamenti stabilendo ambiti sottratti alla negoziazione interindividuale intervenendo anche così nell’indirizzare le scelte economico-giuridiche dei propri fedeli10� Occorre

allora ripensare anzitutto alla definizione dei due oggetti, religione/i e economia/e, senza il timore di ambiguità e contraddizioni; occorre ritornare sul rapporto in termini di reciprocità e intrecci per costruire ambiti di sapere che possano avere anche ricadute divulgative e pratiche di interesse non solo scientifico ma ben più generale.

Bibliografia

Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n� 45�

Bruni L. (2006), Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Mondadori, Milano�

Bruni L., Zamagni S. (2004), L’economia civile. Efficienza, equità, felicità  pubblica, Il Mulino, Bologna�

Bruni L� (2006), Il prezzo della gratuità. IdeEconomia, Città Nuova, Firenze. Francesco, Evangelii Gaudium, n� 55�

Fuccillo A. et al. (2011), I mercanti nel tempio: economia, diritto e religione, Giappichelli, Torino.

Fuccillo A. (2008), Dare etico. Agire non lucrativo, liberalità non donative e interessi religiosi, Giappichelli, Torino.

Giorda M�, Palmisano S�, Turri M� G� (2014), Religione ed economie. Idee ed esperienze, Mimesis, Milano�

Ricca M� (2008), Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale, Dedalo, Bari, 179�

Sen A. (2002), Etica ed economia, Laterza, Bari-Roma�

Simonnot P� (2010), Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo ed islam, Fazi, Roma.

Professore aggregato di Economia politica, Università Telematica Giustino Fortunato di Benevento

Per molto tempo etica ed economia sono state considerate come due aspetti della stessa disciplina; con l’illuminismo e con studiosi, come Adam Smith, l’etica e l’economia hanno preso strade diverse. L’Homo oeconomicus veniva descritto come un uomo utilitarista e autointeressato. Ancora prima, Mandeville (1714) aveva contribuito a separare la riflessione economica da quella morale. Per lui, l’egoismo, il tornaconto personale e i vizi personali potevano contribuire a realizzare benefici collettivi. Di conseguenza, l’economia veniva separata dai valori morali. La redenzione morale porta al crollo economico, ecco perché per Mandeville il “vizio” è alla base di una società ricca e prospera. Attraverso la Favola delle Api, egli afferma che seguendo le regole morali non si arriva alla realizzazione del bene pubblico. Al contrario, se l’azione si basa su un interesse egoistico si può conseguire più facilmente il bene pubblico. Questa concezione ha legittimato la netta separazione tra etica ed economia.

In controtendenza, Amartya Sen1 ha messo in luce che il sistema

economico può diventare più produttivo se si tiene conto anche dell’aspetto morale. Di conseguenza, bisogna guardare oltre l’Homo oeconomicus D’altra parte, in precedenza, Durkheim2 aveva riconosciuto all’etica un ruolo

fondamentale nelle scelte di natura economica, sia riguardo la produzione che al consumo:

«L’uomo reale, che tutti noi conosciamo e siamo è ben altrimenti complesso: appartiene ad un epoca e a un paese, ha una famiglia, una città, una patria, una fede religiosa e politica, e tutti questi elementi e altri ancora si uniscono, si combinano in mille modi, si incrociano e intersecano la loro influenza senza che sia possibile dire a prima vista dove l’uno cominci e dove termini l’altro.»

Siamo consapevoli che all’interno dell’economia rivestono un ruolo cruciale le motivazioni intrinseche e che ogni azione dovrebbe essere conforme ad un principio morale. Ma viviamo in una società in cui l’uomo 1 Sen A� (2002), On Ethics and Economics, Basil Blackwell, Oxford, 1987, (trad. it. Etica ed

economia, Laterza, Bari)�

è sovente mosso dall’utilitarismo finalizzato solo alla massimizzazione del proprio benessere perché “vi è un relativismo dei valori (…) un logoramento dell’etica deontologica che accetta divieti e prezzi infiniti”3L’etica a cui

fa riferimento l’uomo moderno presuppone la sua autonomia morale ma, in ogni caso, ci deve essere una “costituzione della soggettività” che si manifesta egualmente nella sfera economica e nella sfera morale (Deleuze, 1953). Kant4 scriveva:

«Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri).»

Siamo di fronte ad un nuovo Umanesimo nel contesto della globalizzazione e della crisi finanziaria mondiale del 2007-2009, che hanno messo in luce come i sistemi economici siano deboli e facile preda della decadenza morale. Questa consapevolezza dovrebbe riconciliare etica ed economia. Parafrasando Perroux5, il mercato non può essere tenuto separato

dalla società, è fondamentale prendere in considerazione l’uomo e la sua partecipazione attiva nella società, andare oltre la visione secondo la quale l’economia si riduce a uno scambio basato solo su un razionalismo egoistico. In realtà, tutto si basa sulla coesione e sulla reciprocità: dare ricevere e restituire�

Bibliografia

Durkheim E. (2013), La scienza sociale e l’azione, Il Saggiatore, Milano� Kant I. (1970), Critica della ragion pratica, Utet, Torino.

Perroux F. (1967), L’Economia del XX secolo, EtasKompass, Milano. Romagnoli G.C., in questo volume.

Sen A� (2002), On Ethics and Economics, Basil Blackwell, Oxford, 1987, (trad. it. Etica ed economia, Laterza, Bari)�

3 Cfr. G.C. Romagnoli, in questo volume.

4 Kant I. (1970), Critica della ragion pratica, Utet, Torino.

Professore ordinario di Politica economica, Università degli Studi Roma Tre

Introduzione

Il tema del convegno che tratta la relazione tra economia ed etica è complesso e difficile. Complesso quanto può esserlo il comportamento umano, difficile per la sua ampia dimensione interdisciplinare.

L’etica indica, sulla base di una capacità individuale di discernimento del senso della vita, ciò che è bene per l’uomo, quello che è giusto fare o non fare nella vita pratica, mentre per economia si intende l’organizzazione dell’utilizzo di risorse scarse, limitate e comunque finite attuata al fine di soddisfare al meglio i bisogni individuali o collettivi�

È diffusa la percezione che l’Europa sia esposta a una crisi del senso che, a sua volta, deriva da una crisi dell’identità minacciata dal relativismo dei valori� Esso ne frantuma la struttura, fino a quello fondamentale della vita. Si assiste al logoramento dell’etica deontologica che accetta divieti e prezzi infiniti, incompatibili con mercati completi, a favore di un’etica consequenzialista secondo cui la scelta è guidata dalla convenienza economica� I giovani, soprattutto quelli privi di una fede, sono disorientati dal relativismo che inibisce l’ideologia, riduce l’uomo a una dimensione, priva le ambizioni di sogno, la vita di senso e può condurre al nichilismo� La stessa cultura, intesa come l’insieme delle credenze, tradizioni, norme sociali, conoscenze pratiche, prodotti, propri di un popolo in un determinato periodo storico, non si esime da questo riduzionismo, orientato a farla garante di un mero benessere materiale� Nella società postmoderna, il processo di crescita delle giovani generazioni è a rischio, perché la frammentazione del vissuto degli adulti non lascia intravedere un orizzonte di approdo.

Il relativismo è invece ineludibile nel contesto delle scienze empiriche superorganiche. Parlare di verità al di fuori delle proposizioni analitiche basate su delle convenzioni, dove il concetto mutua necessariamente la qualità suddetta, è semplicemente infondato. In generale le proposizioni delle scienze empiriche sono vere in probabilità. In particolare, il punto debole