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Conclusioni: lezioni apprese

LINEE STRATEGICHE

METODOLOGIA APPLICATA PER LA LETTURA TRASVERSALE AMBIENTALE La scelta di dare particolare rilievo alla sostenibilità ambientale all’interno del

2.5 Conclusioni: lezioni apprese

Possiamo considerare i processi e gli strumenti di valutazione e controllo strategico come meccanismi di feedback che “chiudono” il ciclo di pianificazione strategica.

Come è emerso dai casi analizzati, si tratta di un passaggio che presenta non poche criticità, sia sotto il profilo tecnico-metodologico che sotto quello della funzionalità degli strumenti.

2.5.1. La valutazione delle politiche: un obiettivo complesso

In termini di approccio metodologico, le esperienze che si sono orientate alla valutazione delle politiche si sono scontrate con la diffi- coltà di stimare i risultati degli interventi, e cioè il grado di modifica- zione dei problemi trattati e l’effettivo apporto delle azioni messe in opera (stima dei nessi di causalità). Innanzitutto, le analisi dirette alla valutazione dell’efficacia esterna delle politiche hanno bisogno di rile- vazioni ad hoc e raramente possono contare sui dati presenti nei siste- mi informativi e derivanti da rilevazioni sistematiche; in genere, infat- ti, possono fare facilmente riferimento solo sull’andamento di indica- tori statistici relativi situazione socio-economica, ambientale e territo- riale, ma raramente sono disponibili misure più accurate sugli specifici fenomeni toccati degli interventi. Ne deriva che un programma cen- tralizzato di analisi valutative si scontra con la notevole esigenza di risorse (di personale, di risorse finanziarie per realizzare le indagini, di know how settoriale, ecc.) per riuscire ad ottenere una discreta coper- tura di politiche da valutare. Inoltre, è tutta da verificare la capacità di ottenere una legittimazione politica continuativa per una funzione di questo tipo, poiché fatalmente va a costruire arene di confronto che, in quanto condotte da un organismo esterno ai settori responsabili delle singole politiche, eccedono la finalità dell’apprendimento e finiscono per costituire in genere occasioni anche di giudizio sull’operato di apparati e di rappresentanti del livello politico (assessori, sindaci, ecc.).

L’esperienza della Regione Emilia-Romagna è, in questo senso, indicativa; la sperimentazione della valutazione di efficacia esterna è stata sperimentata su tre politiche e poi non è proseguita. In Regione Lombardia le sperimentazioni si sono protratte per un certo tempo ma non hanno condotto ad una sistematizzazione delle attività.

Questi esiti sembrano rafforzare l’argomentazione secondo cui la valutazione degli esiti delle politiche ha un senso in quanto innesca processi di apprendimento tra gli attori coinvolti nell’elaborazione e nell’attuazione degli interventi. Se questi attori non sono protagonisti della valutazione l’effetto di apprendimento decade inevitabilmente e prendono piede comportamenti difensivi.

Ne consegue allora che queste analisi non dovrebbero essere con- dotte da uffici centrali delle organizzazioni ma attribuite ai singoli

settori. Insomma, laddove sta la domanda di apprendimento; sicura- mente una domanda che in molti casi deve essere forzata, sostenuta con attribuzione di responsabilità: ad esempio mediante l’introduzio- ne di clausole valutative nelle leggi oppure negli strumenti di pianifi- cazione strategica. Lasciando agli uffici centrali eventualmente fun- zioni di supporto metodologico.

2.5.2 Il controllo strategico: l’esigenza di tecniche in grado di cogliere le dimensioni rilevanti degli interventi e delle orga- nizzazioni in ambito pubblico

Nei casi analizzati il controllo strategico è stato declinato in tre modi diversi.

Quello più semplice e più adottato è il controllo sullo stato di avanzamento dei progetti considerati prioritari. In sostanza, la verifi- ca del rispetto dei tempi intermedi (e cioè i tempi di conclusione di fasi e sottofasi) e finali. Si veda il caso del Comune di Reggio Emilia, della Regione Friuli – Venezia Giulia e della Provincia di Torino; in quest’ultima esperienza è da sottolineare come il controllo sia alla base di incentivi e disincentivi in relazione all’effettivo rispetto dei tempi.

Una seconda modalità è quella che allarga la copertura agli obiet- tivi attribuiti ai dirigenti delle varie articolazioni (spesso un mix tra obiettivi di policy e obiettivi di tipo operativo) e tende ad associare a questi indicatori di tipo gestionale (quantità e qualità degli output, efficienza, utilizzo delle risorse). È il caso della Regione Lombardia, in cui il controllo strategico acquisisce anche la forma di “controllo delle strategie” utilizzate dai dirigenti per perseguire gli obiettivi assegnati. Generalmente questa modalità è associata ai sistemi di valutazione dei dirigenti per l’attribuzione della retribuzione accessoria connessa alle prestazioni (cosiddetta “retribuzione di risultato”). I problemi evidenziati stanno nella capacità di costruire per tutte le articolazioni organizzative indicatori significativi e assicurarne la rilevazione, aspetto che diventa critico quando questi compiti sono assegnati ad un ufficio centralizzato. Nella maggior parte dei casi si nota come gli indicatori “ben costruiti” ed effettivamente utili siano in numero ridotto, mentre abbondano misure sull’utilizzo degli input e variabili dicotomiche “si/no”. Inoltre, raramente questi sistemi permettono la costruzione di sistemi informativi in serie storica e la possibilità di effettuare benchmarking.

La terza modalità è quella che riconosce il carattere multidimen- sionale dei fattori da tenere sotto controllo negli interventi pubblici e tenta di coglierlo attraverso l’individuazione di batterie di indicatori; quando oltre a ciò persegue obiettivi di apprendimento organizzativo, il modello maggiormente seguito è quello della balanced scorecard. L’esperienza di riferimento è quella della Regione Emilia-Romagna.

L’aspetto qui da sottolineare, al di là del caso emiliano-romagnolo citato (che emerge come significativamente approfondito), riguarda l’utilizzo che nel settore pubblico è stato spesso fatto del modello pro- posto da Kaplan e Norton. Come noto, la struttura originaria della balanced scorecard è stata creata per le imprese del settore privato e prevedono quattro gruppi di indicatori relativi a: andamento finan- ziario, clienti, prospettiva interna (controllo dell’efficienza), capacità innovativa. Inoltre, il processo di elaborazione degli indicatori segue un percorso gerarchico, poiché si tratta di collegare i target finanziari (quota di mercato, profittabilità, ecc.) con le strategie da mettere in pratica per raggiungerli.

Nel settore pubblico questa impostazione è limitativa e sviante; infatti, nella pubblica amministrazione le dimensioni finanziarie costituiscono più un vincolo che un obiettivo discrezionale; e le dimensioni da perseguire possono essere più articolate rispetto a quelle proposte per il settore privato.

In modo più significativo e proficuo, le etichette che definiscono le varie “prospettive” dovrebbero non essere considerati dei semplici termini ma utilizzate per delineare veri e propri obiettivi strategici adottati dalle strutture organizzative per le politiche loro attribuite (o per i compiti loro attribuiti nell’ambito di politiche più ampie); ogni “card” dovrebbe, quindi, essere elaborata in relazione alle priorità strategiche da perseguire. Ad esempio, può essere definito un obietti- vo connesso alla qualità e derivati indicatori rispetto ad esso; oppure rispetto a specifici indirizzi di innovazione, ecc. Una esperienza italia- na può essere presa come esempio di questo orientamento, ed è quel- la del Dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze.

Rimane, comunque, anche in questo caso il problema di gestione complessiva di una sistema di balanced scorecard gestito a livello cen- tralizzato. L’esperienza della Regione Emilia-Romagna e quella della Regione Lombardia (che ha sperimentato questa modalità, salvo abbandonarla) sono emblematiche, in quanto ambedue non sono andate – per il momento - al di là di sperimentazioni prototipali.

2.5.2 La rendicontazione: una funzione in cui la comunicazione prevale sul rendere conto?

Infine, sul tema degli strumenti e dei processi di accountability, le esperienze analizzate non hanno aggiunto molto rispetto a quanto già noto, a parte il caso dell’Azienda Usl di Piacenza.

In generale, emerge come in contesti poco caratterizzati da una “domanda esterna” di informazioni, i bilanci di mandato e i bilanci sociali finiscono per risolversi in strumenti di comunicazione sull’o- perato delle amministrazioni; hanno certamente il pregio di indurre le strutture alla costruzione e manutenzione di sistemi informativi

per aree di intervento, ma solo nelle realtà dove le esperienze di con- trollo interno sono più strutturate si assiste a documenti ricchi di informazioni su dimensioni significative delle realizzazioni effettuate (ad esempio, elementi di efficienza e non solo di spesa; di copertura rispetto alla domanda e non solo di realizzazione; di qualità percepita e non solo di qualità strutturale).

Poco significativi appaiono i processi partecipativi attivati, così come il ricorso a giudizi “esterni” (ad eccezione del caso della Provincia di Torino, peraltro non più ripetuto).

Laddove invece le organizzazioni operano all’interno di una arena decisionale complessa, come le aziende usl, la domanda locale e regio- nale di “contestabilità” è più forte e rafforza la significatività dei documenti di rendicontazione; nel caso segnalato, ad esempio, abbondano non solo le informazioni, ma anche le comparazioni in serie storica, le comparazioni con altre realtà e i giudizi degli utenti. Inoltre, il contesto peculiare vede formalizzata anche la partecipazio- ne degli stakeholder.

3.1 Introduzione

La manualistica che si è occupata dei sistemi di pianificazione, programmazione e controllo in ambito pubblico descrive il passaggio dalla pianificazione strategica alla programmazione direzionale e ope- rativa come un processo lineare di articolazione degli obiettivi gene- rali/trasversali. In sostanza, alla stregua di un processo di suddivisione degli obiettivi in micro-obiettivi da attribuire alle varie strutture, secondo un procedimento ad albero. Un esempio è quello sottostante, tratto dalla programmazione comunitaria.

Le esperienze analizzate nel Laboratorio Cantieri fanno emergere tuttavia una realtà più complessa. Innanzitutto, pongono in evidenza due tipi di difficoltà:

a) da un lato, la complessità insita nel processo di traduzione degli obiettivi generali in obiettivi specifici; spesso, infatti, gli obiettivi generali sono definiti in modo lasco e ambiguo, proprio per i

3.

L'Integrazione tra pianificazione

strategica e programmazione