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DIRETTORE GENERALE

strategica e programmazione operativa

DIRETTORE GENERALE

LEGALE ISTITUZIONALIAFFARI GESTIONE BILANCIO PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO ECONOMICO FINANZIARIO GESTIONE E SVILUPPO DEL PERSONALE E DELL’ORGANIZZAZIONE GESTIONE E SVILUPPO DELLE TECNOLOGIE E DEI SISTEMI INFORMATIVI

COMUNICAZIONE RELAZIONI ESTERNE E MARKETING PIANIFICAZIONE STRATEGICA SERVIZI ALLA CITTÀ SERVIZI ALLA PERSONA INGEGNERIA E GESTIONE DELLE INFRASTRUTTURE

LA CITTÀ SOLIDALE E DEL CAPITALE SOCIALE

LA CITTÀ SOSTENIBILE

LA CITTÀ DELL’UNIVERSITÀ DELLA CULTURA E DELLO

Per ora questo disegno sta muovendo i primi passi verso il model- lo ideale. Il Piano di riferimento delle attività dell’Area strategica è ancora uno strumento costruito su progetti alla ricerca di obiettivi complessi e il livello delle politiche stenta ancora ad essere considera- to come base per il coordinamento dei comportamenti settoriali; inoltre, il feed back rispetto all’andamento dell’attuazione degli inter- venti è ancora ancorato ai singoli progetti, mancando un sistema di valutazione in grado di fornire una visione integrata rispetto ai pro- blemi di policy affrontati (stimando, ad esempio, gli esiti a livello delle politiche e non solo dei singoli interventi); infine, la costruzione degli strumenti gestionali, in particolare del PEG e del Programma triennale delle opere pubbliche, è ancora debolmente influenzata dal- l’azione di quest’Area..

Tuttavia quest’esperienza appare nel panorama italiano come peculiare e in grado, anche per il contesto in cui è applicata, forte- mente motivato alle innovazioni, di evolvere gradualmente.

3.5 Conclusioni: lezioni apprese

I meccanismi di integrazione tra pianificazione strategica e pro- grammazione operativo/gestionale, che hanno costituito uno dei focus principali del Laboratorio Cantieri, si sono rivelati come una delle principali criticità nei casi analizzati.

Innanzitutto, i modelli che interpretano la pianificazione strategi- ca come una fase sinottica di orientamento delle intere attività degli apparati amministrativi sembrano non trovare elementi di successo nelle esperienze presentate in questo contesto.

Da un lato, infatti, i processi definiti di pianificazione strategica sembrano essere caratterizzati maggiormente da una logica di indivi- duazione di operazioni (piani, progetti, servizi) ritenute a vario titolo prioritarie, spesso anche indipendentemente dall’ampiezza della loro influenza (e cioè dal loro carattere operativo o più generale); insom- ma, un modo per porre sotto i riflettori azioni che il livello politico e l’alta amministrazione ritengono significativi.

Dall’altro lato, quando i tentativi sono stati portati più corretta- mente all’individuazione di politiche, e cioè di insiemi di azioni indi- rizzate a trattare problemi complessi (evidenziando con ciò il caratte- re di interdipendenza di varie attività settoriali) essi si sono scontrati con la difficoltà di stimare sistematicamente il raggiungimento degli esiti delle attività messe in opera rispetto a quel livello di complessità. In altre parole, il ciclo della pianificazione strategica si è bloccato, o ha trovato evidenti difficoltà, nella fase di monitoraggio e valutazione di politiche e strategie. E questo non tanto (o non solo) per problemi di tipo metodologico, quanto per l’aspettativa eccessiva di utilizzare e generalizzare a molte politiche, e nei tempi necessari per supportare i processi decisionali di pianificazione e programmazione:

• le tecniche di valutazione e assessment tese a mettere in luce i nessi causali tra interventi delle amministrazioni ed esiti. In nessu- na delle esperienze;

• gli aspetti di valutazione con quelli di controllo dell’efficacia e del- l’efficienza interna delle organizzazioni, compresa la valutazione delle prestazioni dei dirigenti.

Un sovraccarico di impegni cui non fa riscontro, nelle esperienze analizzate, un investimento di risorse adeguato, per cui in realtà il vero fuoco dei monitoraggi e dei controlli è rimasto quello impostato sulle attività di tipo settoriale: diretto alla verifica degli stati di avan- zamento dei progetti individuati come più significativi, oppure impo- stato sugli aspetti di qualità ed efficienza delle varie azioni attribuite alle varie articolazioni organizzative.

Tuttavia ciò non significa che la riflessione non abbia fatto passi in avanti rispetto al recente passato.

Si è consolidata nella cultura amministrativa interna alle organiz- zazioni amministrative l’idea che alla fase di pianificazione strategica possano essere attribuiti vari compiti, non necessariamente connessi al modello sinottico di tipo “top-down” (secondo cui dal piano gene- rale devono conseguire tutti i successivi passaggi settoriali ed operati- vi) ma piuttosto connessi alle prestazioni che il livello politico e di alta amministrazione devono assicurare, tra cui:

• lo sviluppo di analisi sull’andamento del contesto esterno; • lo sviluppo di relazioni con attori esterni (pubblici e privati) rile-

vanti per trattare problemi collettivi complessi e con cui è necessa- rio rapportarsi nell’ambito delle politiche multilivello;

• l’individuazione di interventi che è importante tenere sotto con- trollo in un certo periodo, poiché connessi a fattori critici di poli- tiche esterne o di politiche organizzative interne, indipendente- mente dal fatto che siano caratterizzati da contenuti settoriali o intersettoriali (ed anche indipendentemente dal fatto che prevalga l’aspetto gestionale/operativo).

Nello stesso tempo, si è fatta strada l’esigenza che la pianificazione strategica assuma anche compiti di tipo “top-down”, ma in modo pragmatico:

• al fine di progettare i processi in grado di assicurare coerenza fra interventi orientati a trattare da diversi punti di vista le stesse domande e bisogni, condizionando i comportamenti settoriali sulla base del riconoscimento delle relative interdipendenze (si pensi al tema delle politiche sociali, degli interventi in tema di sicurezza, del- l’integrazione fra interventi settoriali e politiche territoriali, ecc.); • al fine di selezionare in parte la direzione di una parte delle risorse

finanziarie ed organizzative, per contrastare l’orientamento alla formazione dei bilanci su base storica.

Inoltre, è avanzata la consapevolezza sull’esigenza di interpretare le metodologie e le tecniche provenienti dal settore privato per le spe- cifiche peculiarità del settore pubblico.

Ad esempio, il modello della balanced scorecard dopo le prime sperimentazioni è oggetto di interessanti proposte di adattamento.

In un contesto comunque in cui non mancano le esperienze empi- riche, la questione dell’integrazione tra pianificazione strategica e programmazione operativa appare ancora affrontata per prove, errori e nuovi tentativi. Per il momento sembrano prevalere i processi basati sull’organizzazione di momenti di confronto dialettico fra soggetti con compiti di coordinamento e responsabili settoriali, basati su descrizioni e concettualizzazioni di tipo qualitativo; mentre sono ancora carenti modelli strutturati incentrati su specifiche domande valutative e relative analisi tese a rilevare stime sugli esiti ottenuti dalle politiche.

Ma si tratta, come detto, di un ambiente se non ricco perlomeno in attiva evoluzione.